Il saggio analizza la traduzione italiana di Jacob’s Room (1922) di Virginia Woolf, curata da Anna Banti per Mondadori nel 1950, inquadrandola nelle dinamiche editoriali del secondo dopoguerra e nelle teorie traduttive di Banti stessa. La traduzione fu commissionata da Emilio Cecchi a Banti come parte dell'ambiziosa Opera Omnia woolfiana di Mondadori. Lo studio rivela le tensioni tra Banti e l'editore, che ritardarono la consegna del manoscritto. Le lettere d'archivio evidenziano i tentativi dell'editore di rassicurare Banti sul suo valore. L'analisi si sposta poi sulla pratica traduttiva di Banti la quale, sebbene avesse dimostrato una profonda comprensione critica delle innovazioni stilistiche di Woolf (il suo "impulso musicale", la "sconnessa rapsodia" e la frammentarietà), fa una traduzione di Jacob’s Room caratterizzata da una "domestication" stilistica. Attraverso il confronto con l'originale e traduzioni successive (Billi, Fusini), si nota come Banti tenda a normalizzare la sintassi complessa e sperimentale di Woolf, prediligendo un periodare più breve, una punteggiatura più convenzionale e scelte lessicali più poetiche e ricercate. Questa tendenza a "curare" le "ferite" stilistiche inferte da Woolf alla lingua inglese porta alla perdita del ritmo e dell'effetto polifonico del discorso indiretto libero, elementi cruciali per la rappresentazione del soggetto woolfiano. Sebbene, quindi, la poetica di Banti (es. in Artemisia) sia debitrice alla sperimentazione modernista di Woolf, la sua traduzione di Jacob’s Room non riesce a trasporre questa stessa alterità stilistica, limitandosi a una divulgazione più accessibile per il lettore comune.
Forme del frammento. Anna Banti e la lezione di Virginia Woolf
Elisa Bolchi
;Monica Farnetti
2025
Abstract
Il saggio analizza la traduzione italiana di Jacob’s Room (1922) di Virginia Woolf, curata da Anna Banti per Mondadori nel 1950, inquadrandola nelle dinamiche editoriali del secondo dopoguerra e nelle teorie traduttive di Banti stessa. La traduzione fu commissionata da Emilio Cecchi a Banti come parte dell'ambiziosa Opera Omnia woolfiana di Mondadori. Lo studio rivela le tensioni tra Banti e l'editore, che ritardarono la consegna del manoscritto. Le lettere d'archivio evidenziano i tentativi dell'editore di rassicurare Banti sul suo valore. L'analisi si sposta poi sulla pratica traduttiva di Banti la quale, sebbene avesse dimostrato una profonda comprensione critica delle innovazioni stilistiche di Woolf (il suo "impulso musicale", la "sconnessa rapsodia" e la frammentarietà), fa una traduzione di Jacob’s Room caratterizzata da una "domestication" stilistica. Attraverso il confronto con l'originale e traduzioni successive (Billi, Fusini), si nota come Banti tenda a normalizzare la sintassi complessa e sperimentale di Woolf, prediligendo un periodare più breve, una punteggiatura più convenzionale e scelte lessicali più poetiche e ricercate. Questa tendenza a "curare" le "ferite" stilistiche inferte da Woolf alla lingua inglese porta alla perdita del ritmo e dell'effetto polifonico del discorso indiretto libero, elementi cruciali per la rappresentazione del soggetto woolfiano. Sebbene, quindi, la poetica di Banti (es. in Artemisia) sia debitrice alla sperimentazione modernista di Woolf, la sua traduzione di Jacob’s Room non riesce a trasporre questa stessa alterità stilistica, limitandosi a una divulgazione più accessibile per il lettore comune.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


