Il termine «ricerca» ha, per il campo della moda, un significato del tutto peculiare che riunisce l’esigenza creativa di individuare nuovi input progettuali e idee per le future collezioni e l’interesse, in apparenza meramente tecnico, per le innovazioni nei materiali e nei processi di produzione dei capi. L’interdipendenza dei vari nodi che compongono la filiera della moda, ben descritta da Volonté come «sistema della creatività diffusa», rende la ricerca un’azione estremamente sfaccettata e complessa, cui prendono parte i diversi tasselli che formano il mosaico delle fashion companies, nonostante sia l’ufficio stile, tradizionalmente, a rappresentarsi ed essere rappresentato come attore principale della ricerca e selezionatore, se non plasmatore, delle tendenze moda. La definizione delle tendenze diventa un problema centrale per il sistema moda a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, dopo che per tutto il periodo della «moda dei cent’anni», dall’apertura dell’atélier di Charles-Frédéric Worth nel 1857 al primo Salon du prêt-à-porter a Parigi nel 1957, il sistema della moda aveva funzionato secondo una logica altamente centralizzata in cui la capitale francese costituiva l’indiscusso centro propulsore degli stili, in un contesto caratterizzato da un livello di consenso relativamente alto su ciò che poteva considerarsi «moda» (definita da un ristretto gruppo di couturiers) e da una diffusione degli stili secondo il modello simmeliano del trickle-down in società dalla struttura di classe piuttosto rigida e definita. Negli anni Sessanta l’alta moda, da una parte, non è più in grado di reggere il ritmo delle richieste di nuove linee, dall’altra la confezione industriale non è ancora sufficientemente flessibile per stare al passo con le richieste dei consumatori. Questo doppio ritardo viene colmato dal prêt-à-porter, che dalla seconda metà del decennio si afferma come segmento produttivo intermedio tra alta moda e confezione industriale, capace di sostenere il rapido avvicendarsi delle richieste dei consumatori. L’impossibilità di realizzare collezioni così ampie da comprendere tutte le varianti della moda favorisce la nascita di fashion’s councils nazionali con l’obiettivo di realizzare una pianificazione collettiva, coordinando l’industria della confezione per dare indicazioni ai produttori sui gusti dei consumatori e le conseguenti possibilità di successo dei nuovi capi. A metà degli anni Sessanta i comitati moda nazionali raggiungono un primo coordinamento internazionale dei colori moda; ma nello stesso periodo il modello piramidale che vedeva nell’haute couture l’origine delle tendenze moda e nella confezione industriale l’eterno inseguitore si incrina, con il crescere delle fonti di influenza esterne alla moda (il cinema, la musica, le donne, i giovani ecc.) e un prêt-à-porter capace di assorbire questi nuovi stimoli in modo rapido. La strategia dirigistica dei fashion’s councils, improntata al governo delle tendenze, è destinata a fallire poiché non può orientare un campo su cui vengono esercitate pressioni da direzioni tanto numerose e diverse. Il prêt-à-porter incarna un nuovo modello di propagazione delle tendenze, ma attraverso un logica ricettiva di stimoli esterni molto diversa dal sistema completamente autoreferenziale dei sarti dell’haute couture. Nasce così il fashion forecasting come attività previsionale delle tendenze. Nel sistema moda esistono alcuni modelli di ricerca piuttosto consolidati, almeno nelle loro linee guida, e gruppi di agenti sociali dotati di un particolare ruolo nella trend analysis: in particolar modo, le fiere di settore e i bureaux de style e le agenzie che pubblicano i quaderni di tendenze. Nel modello sartoriale francese si sono affermati i bureaux de style, strutture esterne alle imprese di moda nelle quali, sotto la supervisione di un direttore artistico, un team di ricercatori con competenze progettuali, artistiche e umanistiche raccoglie informazioni e materiali relativi ai cambiamenti dell’immaginario collettivo; i materiali vengono successivamente organizzati in macrotemi e presentati nella forma di moodboard, attraverso un lavoro di codifica che visualizza i concetti sotto forma di colori e materie. La ricerca segue il ritmo semestrale delle collezioni di moda: viene avviata 24 mesi prima della proposta del prodotto finale e presentata dopo sei mesi (cioè con 18 mesi di anticipo) e si rivolge ai produttori tessili e agli uffici stile delle imprese, cui fornisce stimoli progettuali e novità. Il modello industriale italiano dà invece vita a studi professionali orientati a una maggiore specializzazione sulle produzioni di semilavorati e fortemente legati al contesto territoriale; come per i bureaux de style, l’output di questi Trend Studio sono i quaderni di tendenza, che rispetto ai francesi hanno un taglio meno «intellettuale» e più operativo-tecnico, e sono spesso creati ad hoc per i clienti. Sono invece orientati a un modello consulenziale le Trend Agency nate nella seconda metà degli anni Ottanta che, con un approccio improntato al marketing, integrano la ricerca tendenze all’analisi dei mercati internazionali e ai dati di vendita dei prodotti moda, proponendo quaderni di tendenza specializzati per settore merceologico che sembrano meglio prestarsi alle esigenze del prêt-à-porter che non alla ricerca di ispirazioni della haute couture. Quando il termine «coolhunting» compare sulla scena negli anni Novanta, dunque, la ricerca tendenze ha già una consolidata tradizione nel mondo della moda.

Dal fashion forecasting al coolhunting. Un nuovo modello di ricerca per le aziende italiane?

PEDRONI M.
2011

Abstract

Il termine «ricerca» ha, per il campo della moda, un significato del tutto peculiare che riunisce l’esigenza creativa di individuare nuovi input progettuali e idee per le future collezioni e l’interesse, in apparenza meramente tecnico, per le innovazioni nei materiali e nei processi di produzione dei capi. L’interdipendenza dei vari nodi che compongono la filiera della moda, ben descritta da Volonté come «sistema della creatività diffusa», rende la ricerca un’azione estremamente sfaccettata e complessa, cui prendono parte i diversi tasselli che formano il mosaico delle fashion companies, nonostante sia l’ufficio stile, tradizionalmente, a rappresentarsi ed essere rappresentato come attore principale della ricerca e selezionatore, se non plasmatore, delle tendenze moda. La definizione delle tendenze diventa un problema centrale per il sistema moda a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, dopo che per tutto il periodo della «moda dei cent’anni», dall’apertura dell’atélier di Charles-Frédéric Worth nel 1857 al primo Salon du prêt-à-porter a Parigi nel 1957, il sistema della moda aveva funzionato secondo una logica altamente centralizzata in cui la capitale francese costituiva l’indiscusso centro propulsore degli stili, in un contesto caratterizzato da un livello di consenso relativamente alto su ciò che poteva considerarsi «moda» (definita da un ristretto gruppo di couturiers) e da una diffusione degli stili secondo il modello simmeliano del trickle-down in società dalla struttura di classe piuttosto rigida e definita. Negli anni Sessanta l’alta moda, da una parte, non è più in grado di reggere il ritmo delle richieste di nuove linee, dall’altra la confezione industriale non è ancora sufficientemente flessibile per stare al passo con le richieste dei consumatori. Questo doppio ritardo viene colmato dal prêt-à-porter, che dalla seconda metà del decennio si afferma come segmento produttivo intermedio tra alta moda e confezione industriale, capace di sostenere il rapido avvicendarsi delle richieste dei consumatori. L’impossibilità di realizzare collezioni così ampie da comprendere tutte le varianti della moda favorisce la nascita di fashion’s councils nazionali con l’obiettivo di realizzare una pianificazione collettiva, coordinando l’industria della confezione per dare indicazioni ai produttori sui gusti dei consumatori e le conseguenti possibilità di successo dei nuovi capi. A metà degli anni Sessanta i comitati moda nazionali raggiungono un primo coordinamento internazionale dei colori moda; ma nello stesso periodo il modello piramidale che vedeva nell’haute couture l’origine delle tendenze moda e nella confezione industriale l’eterno inseguitore si incrina, con il crescere delle fonti di influenza esterne alla moda (il cinema, la musica, le donne, i giovani ecc.) e un prêt-à-porter capace di assorbire questi nuovi stimoli in modo rapido. La strategia dirigistica dei fashion’s councils, improntata al governo delle tendenze, è destinata a fallire poiché non può orientare un campo su cui vengono esercitate pressioni da direzioni tanto numerose e diverse. Il prêt-à-porter incarna un nuovo modello di propagazione delle tendenze, ma attraverso un logica ricettiva di stimoli esterni molto diversa dal sistema completamente autoreferenziale dei sarti dell’haute couture. Nasce così il fashion forecasting come attività previsionale delle tendenze. Nel sistema moda esistono alcuni modelli di ricerca piuttosto consolidati, almeno nelle loro linee guida, e gruppi di agenti sociali dotati di un particolare ruolo nella trend analysis: in particolar modo, le fiere di settore e i bureaux de style e le agenzie che pubblicano i quaderni di tendenze. Nel modello sartoriale francese si sono affermati i bureaux de style, strutture esterne alle imprese di moda nelle quali, sotto la supervisione di un direttore artistico, un team di ricercatori con competenze progettuali, artistiche e umanistiche raccoglie informazioni e materiali relativi ai cambiamenti dell’immaginario collettivo; i materiali vengono successivamente organizzati in macrotemi e presentati nella forma di moodboard, attraverso un lavoro di codifica che visualizza i concetti sotto forma di colori e materie. La ricerca segue il ritmo semestrale delle collezioni di moda: viene avviata 24 mesi prima della proposta del prodotto finale e presentata dopo sei mesi (cioè con 18 mesi di anticipo) e si rivolge ai produttori tessili e agli uffici stile delle imprese, cui fornisce stimoli progettuali e novità. Il modello industriale italiano dà invece vita a studi professionali orientati a una maggiore specializzazione sulle produzioni di semilavorati e fortemente legati al contesto territoriale; come per i bureaux de style, l’output di questi Trend Studio sono i quaderni di tendenza, che rispetto ai francesi hanno un taglio meno «intellettuale» e più operativo-tecnico, e sono spesso creati ad hoc per i clienti. Sono invece orientati a un modello consulenziale le Trend Agency nate nella seconda metà degli anni Ottanta che, con un approccio improntato al marketing, integrano la ricerca tendenze all’analisi dei mercati internazionali e ai dati di vendita dei prodotti moda, proponendo quaderni di tendenza specializzati per settore merceologico che sembrano meglio prestarsi alle esigenze del prêt-à-porter che non alla ricerca di ispirazioni della haute couture. Quando il termine «coolhunting» compare sulla scena negli anni Novanta, dunque, la ricerca tendenze ha già una consolidata tradizione nel mondo della moda.
2011
Pedroni, M.
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