In D. 47, 2, 52, 20 (Ulp. 39 ad ed.) si propone il caso in cui taluno, a scopo riproduttivo, avesse costretto un asino altrui ad accoppiarsi con le proprie cavalle. Ulpiano sembrerebbe affermare che costui avrebbe commesso furto (par di capire, dell’asino in questione o del relativo uso) solo se avesse nutrito l’animus furandi. La stessa risposta avrebbe dato a Modestino in relazione ad un analogo quesito. Il frammento, tuttavia, è fortemente discusso. Se alcuni studiosi ne hanno tentato una lettura almeno in parte conservativa, la maggioranza ha invece avanzato riserve, soprattutto sulla genuinità dei rimandi all’animus, sia pure pervenendo a conclusioni diverse e persino contrapposte. Il saggio si propone dunque di rivisitare la questione muovendo da un dato difficilmente controvertibile: D. 47, 2, 52, 20 (Ulp. 39 ad ed.) si inserisce in uno squarcio ulpianeo ove non si tocca il tema dell’elemento intenzionale, bensì il profilo della contrectatio e, propriamente, si illustra il principio furtum sine contrectatione non fit. Tale circostanza, già rilevata, ha però condotto a conclusioni che non appaiono soddisfacenti. Di qui il tentativo di suggerire una lettura alternativa. Ulpiano, nel caso di specie, non avrebbe ravvisato la sottrazione dell’animale maschio costretto all’accoppiamento, bensì del ‘seme’, della ‘stirpe’, della ‘razza’: dunque di un bene immateriale che sfuggiva al contatto fisico e che, pertanto, non poteva essere rubato proprio a causa del principio furtum sine contrectatione non fit. Il giurista, in definitiva, si sarebbe limitato ad escludere il furto per difetto della contrectatio (e senza menzionare l’animus furandi), suggerendo la concessione di un’azione in factum. La successiva alterazione del frammento, probabile frutto del fraintendimento del pensiero ulpianeo, avrebbe riferito la decisione al furto dello stallone (o del relativo uso) e, per completarla, avrebbe distinto due casi sulla base dell’elemento soggettivo: la sempice admissio a mero fine riproduttivo, sanzionata mediante un’actio in factum, nonché il furto quando concorresse l’intenzione di rubare.

D. 47, 2, 52, 20 (Ulp. 37 ad ed.) e la sottrazione della razza equina

Lucetta Desanti
2020

Abstract

In D. 47, 2, 52, 20 (Ulp. 39 ad ed.) si propone il caso in cui taluno, a scopo riproduttivo, avesse costretto un asino altrui ad accoppiarsi con le proprie cavalle. Ulpiano sembrerebbe affermare che costui avrebbe commesso furto (par di capire, dell’asino in questione o del relativo uso) solo se avesse nutrito l’animus furandi. La stessa risposta avrebbe dato a Modestino in relazione ad un analogo quesito. Il frammento, tuttavia, è fortemente discusso. Se alcuni studiosi ne hanno tentato una lettura almeno in parte conservativa, la maggioranza ha invece avanzato riserve, soprattutto sulla genuinità dei rimandi all’animus, sia pure pervenendo a conclusioni diverse e persino contrapposte. Il saggio si propone dunque di rivisitare la questione muovendo da un dato difficilmente controvertibile: D. 47, 2, 52, 20 (Ulp. 39 ad ed.) si inserisce in uno squarcio ulpianeo ove non si tocca il tema dell’elemento intenzionale, bensì il profilo della contrectatio e, propriamente, si illustra il principio furtum sine contrectatione non fit. Tale circostanza, già rilevata, ha però condotto a conclusioni che non appaiono soddisfacenti. Di qui il tentativo di suggerire una lettura alternativa. Ulpiano, nel caso di specie, non avrebbe ravvisato la sottrazione dell’animale maschio costretto all’accoppiamento, bensì del ‘seme’, della ‘stirpe’, della ‘razza’: dunque di un bene immateriale che sfuggiva al contatto fisico e che, pertanto, non poteva essere rubato proprio a causa del principio furtum sine contrectatione non fit. Il giurista, in definitiva, si sarebbe limitato ad escludere il furto per difetto della contrectatio (e senza menzionare l’animus furandi), suggerendo la concessione di un’azione in factum. La successiva alterazione del frammento, probabile frutto del fraintendimento del pensiero ulpianeo, avrebbe riferito la decisione al furto dello stallone (o del relativo uso) e, per completarla, avrebbe distinto due casi sulla base dell’elemento soggettivo: la sempice admissio a mero fine riproduttivo, sanzionata mediante un’actio in factum, nonché il furto quando concorresse l’intenzione di rubare.
2020
Desanti, Lucetta
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