Il pezzo affronta la questione della riforma del reato di falso in bilancio e della sua contrarietà alla direttiva comunitaria sulla trasparenza dei bilanci delle imprese. In particolare, viene criticata l'impostazione secondo cui da tale contrarietà deriverebbe la possibilità per il giudice comune di applicare la previgente disciplina codicistica che puniva anche le fattispecie oggi depenalizzate. La reviviscenza di norme abrogate non è, infatti, una soluzione generalmente condivisa nel nostro ordinamento, tantomeno da parte della Corte costituzionale. Analogamente, invocare la giurisprudenza della Corte di giustizia che, nei confronti di altri Stati, ha dichiarato la contrarietà della disciplina interna alla direttiva non implica dimostrare la capacità della direttiva stessa di avere effetti diretti e di abilitare i giudici nazionali alla disapplicazione della legge nazionale contrastante. Ciò perché, in particolare, quella giurisprudenza comunitaria è costituita da sentenze di condanna su procedimenti di infrazione, le quali non stabiliscono affatto la natura "self-executing" delle direttive violate e rimettono allo Stato condannato la scelta dei mezzi per porre rimedio alla violazione accertata, salva la possibilità di applicare, in caso di mancata ottemperanza alla prima decisione, una sanzione pecuniaria con una nuova condanna ad hoc.
Il “nuovo falso in bilancio” tra diritto comunitario e diritto costituzionale
GUAZZAROTTI, Andrea
2003
Abstract
Il pezzo affronta la questione della riforma del reato di falso in bilancio e della sua contrarietà alla direttiva comunitaria sulla trasparenza dei bilanci delle imprese. In particolare, viene criticata l'impostazione secondo cui da tale contrarietà deriverebbe la possibilità per il giudice comune di applicare la previgente disciplina codicistica che puniva anche le fattispecie oggi depenalizzate. La reviviscenza di norme abrogate non è, infatti, una soluzione generalmente condivisa nel nostro ordinamento, tantomeno da parte della Corte costituzionale. Analogamente, invocare la giurisprudenza della Corte di giustizia che, nei confronti di altri Stati, ha dichiarato la contrarietà della disciplina interna alla direttiva non implica dimostrare la capacità della direttiva stessa di avere effetti diretti e di abilitare i giudici nazionali alla disapplicazione della legge nazionale contrastante. Ciò perché, in particolare, quella giurisprudenza comunitaria è costituita da sentenze di condanna su procedimenti di infrazione, le quali non stabiliscono affatto la natura "self-executing" delle direttive violate e rimettono allo Stato condannato la scelta dei mezzi per porre rimedio alla violazione accertata, salva la possibilità di applicare, in caso di mancata ottemperanza alla prima decisione, una sanzione pecuniaria con una nuova condanna ad hoc.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.