Il fedecommesso, inizialmente utilizzato allo scopo di superare talune incapacità di ricevere per testamento, ha finito per assumere, nel corso del tempo, rinnovate finalità e differenti significati. In tale ambito, si collocano le disposizioni oggetto della presente indagine: i fedecommessi che imponevano di restituire - l'eredità o singoli beni - dopo la morte dell'onerato. Lo studio analizza, anzitutto, i fedecommessi - universali o particolari - lasciati al termine della morte ('cum morietur' o 'post mortem eius'), evidenziando soprattutto taluni aspetti legati alla natura della clausola e all’efficacia della disposizione (Cap. I). Vengono poi in considerazione i fedecommessi sottoposti a condizioni sospensive riferentisi al decesso: in stato di impubertà ('si impubes decesserit'), ovvero entro una diversa età ('si intra vicesimum annum moreretur'), senza discendenti ('si sine liberis decesserit'), senza testamento ('si intestatus decesserit'), senza aver contratto matrimonio ('si sine nuptiis decesserit') (Cap. II): particolare attenzione è stata riservata, in questo ambito, alla condizione ‘si sine liberis decesserit’ e ai problemi interpretativi da essa sollevati. Il Cap. III, nel considerare quali poteri e limiti competessero all’onerato, durante la vita, rispetto all’oggetto del fedecommesso da restituirsi alla morte, pone l’accento sul cosiddetto fedecommesso de residuo (o fideicommissum de eo quod supererit), mentre il Cap. IV dedica un’ampia trattazione ad un’altra figura speciale, che si collocava nella più ampia tendenza ad utilizzare le disposizioni fedecommissarie per garantire la conservazione del patrimonio familiare e che ha finito per assumere un’autonoma fisionomia: il fedecommesso di famiglia. Il conclusivo Cap. V appare dedicato, infine, alla cosiddetta sostituzione fedecommissaria. I fedecommessi da restituirsi dopo la morte, infatti, sono stati parallelamente percepiti come disposizioni che davano luogo ad una substitutio verbis precariis che si andava ad affiancare alle sostituzioni dirette, volgari e pupillari. L’indagine cerca di mettere il luce l’emersione di questa nuova species substitutionis, già a partire dall’epoca classica, e il suo consolidarsi in epoca tarda e giustinianea.
Restitutionis post mortem onus. I fedecommessi da restituirsi dopo la morte dell'onerato
DESANTI, Lucetta
2003
Abstract
Il fedecommesso, inizialmente utilizzato allo scopo di superare talune incapacità di ricevere per testamento, ha finito per assumere, nel corso del tempo, rinnovate finalità e differenti significati. In tale ambito, si collocano le disposizioni oggetto della presente indagine: i fedecommessi che imponevano di restituire - l'eredità o singoli beni - dopo la morte dell'onerato. Lo studio analizza, anzitutto, i fedecommessi - universali o particolari - lasciati al termine della morte ('cum morietur' o 'post mortem eius'), evidenziando soprattutto taluni aspetti legati alla natura della clausola e all’efficacia della disposizione (Cap. I). Vengono poi in considerazione i fedecommessi sottoposti a condizioni sospensive riferentisi al decesso: in stato di impubertà ('si impubes decesserit'), ovvero entro una diversa età ('si intra vicesimum annum moreretur'), senza discendenti ('si sine liberis decesserit'), senza testamento ('si intestatus decesserit'), senza aver contratto matrimonio ('si sine nuptiis decesserit') (Cap. II): particolare attenzione è stata riservata, in questo ambito, alla condizione ‘si sine liberis decesserit’ e ai problemi interpretativi da essa sollevati. Il Cap. III, nel considerare quali poteri e limiti competessero all’onerato, durante la vita, rispetto all’oggetto del fedecommesso da restituirsi alla morte, pone l’accento sul cosiddetto fedecommesso de residuo (o fideicommissum de eo quod supererit), mentre il Cap. IV dedica un’ampia trattazione ad un’altra figura speciale, che si collocava nella più ampia tendenza ad utilizzare le disposizioni fedecommissarie per garantire la conservazione del patrimonio familiare e che ha finito per assumere un’autonoma fisionomia: il fedecommesso di famiglia. Il conclusivo Cap. V appare dedicato, infine, alla cosiddetta sostituzione fedecommissaria. I fedecommessi da restituirsi dopo la morte, infatti, sono stati parallelamente percepiti come disposizioni che davano luogo ad una substitutio verbis precariis che si andava ad affiancare alle sostituzioni dirette, volgari e pupillari. L’indagine cerca di mettere il luce l’emersione di questa nuova species substitutionis, già a partire dall’epoca classica, e il suo consolidarsi in epoca tarda e giustinianea.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.