Le città crescono. Oggi, che la globalizzazione permette di essere on-line con lo sviluppo sterminato delle città asiatiche e con la stereotipata identità della città delle grande ricchezze petrolifere, sembra inutile tornare a guardare altro, quando, da sempre, le città grandi hanno richiamato l’attenzione dei modellatori di Piani e degli inventori tipologici di forme descrittive, come di “ridondanti” infrastrutture, di luoghi in cui l’idolatrata “qualità del progetto” poteva positivamente contaminare la progressione del degrado e del tessuto senza identità. Ma, come scriveva Mario G. Cusmano nel suo ormai famoso Elogio della città dimensionata, “soprattutto in Italia, ma, in generale, per tutta la vecchia Europa, l’armatura urbana più diffusa e portante è costituita, proprio, dalle altre città”, quelle che possono veramente rappresentare il modello consolidato di una traccia ancora riconoscibile, non deformata e de-spazializzata, dei caratteri riconducibili agli “antichi significati”: dimensione, ruolo, forma, immagine, identità e qualità.Sono “parole antiche” che sembrano trovare “attrazione nulla” nella vita liquida moderna in cui vincono: “la permanenza della transitorietà; la durevolezza dell’effimero; la determinazione oggettiva che non trova riflesso nella consequenzialità soggettiva delle azioni; il ruolo sociale definito in maniera sempre inadeguata, o più esattamente l’inserirsi nel flusso della vita sociale senza l’ancora di salvezza di un ruolo sociale”. Aspirazioni e comportamenti per i luoghi di vita che, con un’immagine potente, Bauman delinea iperghetti per minisocietà dove le città sembrano “diventate le discariche di problemi concepiti e partoriti a livello globale”. Allora il delinearsi all’orizzonte di una claustropolis, realizzata ad immagine e somiglianza del secolo dell’illuminismo audiovisivo (come ci ricorda Virilio), pone netta la domanda se ha ancora significato sentirsi a casa nel grande o nel piccolo, tanto non si è in nessun luogo veramente, perché ormai l’ubiquità è accecante, e la fuga dalle città (quella dallo spazio vissuto verso lo spazio virtuale) sembra desiderata. Eppure c’è bisogno di altro; e mai come in questo momento della storia delle città è stata netta l’esigenza di memoria. Una memoria che deve trovare una presenza corporea, ordinata, dimensionata per soddisfare (secondo una chiave simile a quella dei riformatori sociali venati di comprensibile utopia di oltre cent’anni fa) le attuali esigenze di identificazione di un “luogo nello spazio”. “La straordinaria varietà di situazioni presenti in territorio italiano ci esime dal tentare una qualsiasi precisa definizione del termine «centro minore»; anzi deve apparire subito chiaro che è solo per comodità che ci si riferisce qui a una terminologia da tempo in uso soprattutto nel linguaggio degli urbanisti, e che va considerata nient’altro che un puro riferimento di relazione quantitativa nei confronti sia degli insediamenti minimi o sparsi sia delle grandi città”. Con queste parole Enrico Guidoni introduceva il volume Inchieste sui centri minori della celebre enciclopedia della “Storia dell’arte italiana”, curata in questa parte da Federico Zeri, circa trent’anni fa ponendo l’accento critico sui termini del confronto, che non doveva costituire aprioristicamente parametri qualitativi (sul tessuto, la forma o l’architettura) quanto piuttosto tentare un’indagine delle relazioni. Non ci saranno metodologie omogenee, non ci saranno univoche interpretazioni storiografiche, oppure “soluzioni miracolistiche alla crisi di identità culturale e di prospettive economiche che attualmente investe gran parte delle aree non industrializzate”. L’Italia ha un patrimonio diffuso di grande livello. La qualità e la consistenza delle preesistenze costituisce quasi sicuramente uno dei principali caratteri di originalità del nostro Paese rispetto alla maggioranza dei Paesi europei. In questi sistemi urbani abita ancora un numero importante di persone che non sono attirate dal potere di richiamo dei grandi centri e che individuano spesso nel “centro minore” un luogo di vita e di sviluppo di attività produttive e di servizio. Tuttavia negli ultimi anni molti indicatori segnalano il progredire di alcuni effetti devastanti, come se la “sindrome dei grandi centri” avesse un effetto contaminante in tutto il territorio, al di là dei reali modelli strutturali. In questo quadro si può innestare, soprattutto in questo momento storico-politico, l’interesse per un confronto che deve riportare alla luce alcuni aspetti fondamentali: 1 – i centri minori sono ancora un modello di qualità e di sperimentazione? Penso di sì. Credo che nella dimensione medio-piccola ci siano ancora tutti gli ingredienti per definire percorsi alternativi al progetto ipermetabolico e congestionante degli agglomerati urbani in incessante espansione; 2 – i centri e i nuclei storici che sono il principale elemento di caratterizzazione dei piccoli centri che ruolo giocano? Io credo che giochino un ruolo determinante. Sospesi tra il restauro-recupero e la riqualificazione urbana nei piccoli centri le dimensioni del tessuto connettivo svolgono una funzione determinante. Se nella grande città il nucleo storico è esteso ed immerso ormai in una progressiva cintura di periferie in cui appare molto difficile individuare confini, margini, funzioni, nei centri minori il nucleo storico è ancora definibile e soprattutto percepibile, identificabile (negli affetti come nelle qualità) e spesso proprio per le sue dimensioni si configura come un luogo deputato, un “gioiello” centrale a cui far pervenire valore e specificità. In altre parole il tessuto connettivo urbano più recente che aderisce al centro storico trova nell’identità del luogo storico una motivazione di riqualificazione; 3 – il rapporto riqualificazione urbana e conservazione/restauro come si può sviluppare? È in questo rapporto la scommessa sul destino dei piccoli centri in Italia. L’identità culturale dei centri storici minori, in un climax territoriale identificabile nei percorsi e nelle tracce diffuse, deve essere il volano della riqualificazione urbana del tessuto connettivo pubblico. Le strade, le piazze, i piccoli slarghi a parcheggio, le degradate funzioni commerciali, i modelli della peggiore urbanizzazione di prima periferia devono essere riconvertiti non con gli “ingredienti dell’antico”, che sarebbe anacronistico e fuori contesto, quanto piuttosto con un’azione di coerenza che trova nel recupero e nel restauro del patrimonio storico il fulcro dell’azione identitaria e nella ristrutturazione degli spazi e dei luoghi funzionali e di vita una progetto di riqualificazione sociale, economica con interessanti aspetti di richiamo e di valore turistico. Il confronto di processi di intervento che nella grande città possono sembrare antitetici e contraddittori nei centri minori invece possono trovare una ragion d’essere e un campo di sperimentazione interessante soprattutto perché la dimensione fa la differenza, nella possibilità del controllo, della partecipazione alle scelte, nell’individuazione di nuovi comportamenti e attività. Sono tutti ingredienti che possono collaborare alla realizzazione di un’azione concertata senza soluzioni di continuità, che sfrutta ed investe le poche risorse disponibili per definire una nuova rotta nella progressiva valorizzazione del patrimonio e dell’identità culturale.

Pensare e vedere le altre città. I centri storici minori, sospesi tra tentativi di recupero/restauro ed esigenze di riqualificazione urbana possono essere il luogo di una nuova stagione di sperimentazione progettuale

BALZANI, Marcello
2008

Abstract

Le città crescono. Oggi, che la globalizzazione permette di essere on-line con lo sviluppo sterminato delle città asiatiche e con la stereotipata identità della città delle grande ricchezze petrolifere, sembra inutile tornare a guardare altro, quando, da sempre, le città grandi hanno richiamato l’attenzione dei modellatori di Piani e degli inventori tipologici di forme descrittive, come di “ridondanti” infrastrutture, di luoghi in cui l’idolatrata “qualità del progetto” poteva positivamente contaminare la progressione del degrado e del tessuto senza identità. Ma, come scriveva Mario G. Cusmano nel suo ormai famoso Elogio della città dimensionata, “soprattutto in Italia, ma, in generale, per tutta la vecchia Europa, l’armatura urbana più diffusa e portante è costituita, proprio, dalle altre città”, quelle che possono veramente rappresentare il modello consolidato di una traccia ancora riconoscibile, non deformata e de-spazializzata, dei caratteri riconducibili agli “antichi significati”: dimensione, ruolo, forma, immagine, identità e qualità.Sono “parole antiche” che sembrano trovare “attrazione nulla” nella vita liquida moderna in cui vincono: “la permanenza della transitorietà; la durevolezza dell’effimero; la determinazione oggettiva che non trova riflesso nella consequenzialità soggettiva delle azioni; il ruolo sociale definito in maniera sempre inadeguata, o più esattamente l’inserirsi nel flusso della vita sociale senza l’ancora di salvezza di un ruolo sociale”. Aspirazioni e comportamenti per i luoghi di vita che, con un’immagine potente, Bauman delinea iperghetti per minisocietà dove le città sembrano “diventate le discariche di problemi concepiti e partoriti a livello globale”. Allora il delinearsi all’orizzonte di una claustropolis, realizzata ad immagine e somiglianza del secolo dell’illuminismo audiovisivo (come ci ricorda Virilio), pone netta la domanda se ha ancora significato sentirsi a casa nel grande o nel piccolo, tanto non si è in nessun luogo veramente, perché ormai l’ubiquità è accecante, e la fuga dalle città (quella dallo spazio vissuto verso lo spazio virtuale) sembra desiderata. Eppure c’è bisogno di altro; e mai come in questo momento della storia delle città è stata netta l’esigenza di memoria. Una memoria che deve trovare una presenza corporea, ordinata, dimensionata per soddisfare (secondo una chiave simile a quella dei riformatori sociali venati di comprensibile utopia di oltre cent’anni fa) le attuali esigenze di identificazione di un “luogo nello spazio”. “La straordinaria varietà di situazioni presenti in territorio italiano ci esime dal tentare una qualsiasi precisa definizione del termine «centro minore»; anzi deve apparire subito chiaro che è solo per comodità che ci si riferisce qui a una terminologia da tempo in uso soprattutto nel linguaggio degli urbanisti, e che va considerata nient’altro che un puro riferimento di relazione quantitativa nei confronti sia degli insediamenti minimi o sparsi sia delle grandi città”. Con queste parole Enrico Guidoni introduceva il volume Inchieste sui centri minori della celebre enciclopedia della “Storia dell’arte italiana”, curata in questa parte da Federico Zeri, circa trent’anni fa ponendo l’accento critico sui termini del confronto, che non doveva costituire aprioristicamente parametri qualitativi (sul tessuto, la forma o l’architettura) quanto piuttosto tentare un’indagine delle relazioni. Non ci saranno metodologie omogenee, non ci saranno univoche interpretazioni storiografiche, oppure “soluzioni miracolistiche alla crisi di identità culturale e di prospettive economiche che attualmente investe gran parte delle aree non industrializzate”. L’Italia ha un patrimonio diffuso di grande livello. La qualità e la consistenza delle preesistenze costituisce quasi sicuramente uno dei principali caratteri di originalità del nostro Paese rispetto alla maggioranza dei Paesi europei. In questi sistemi urbani abita ancora un numero importante di persone che non sono attirate dal potere di richiamo dei grandi centri e che individuano spesso nel “centro minore” un luogo di vita e di sviluppo di attività produttive e di servizio. Tuttavia negli ultimi anni molti indicatori segnalano il progredire di alcuni effetti devastanti, come se la “sindrome dei grandi centri” avesse un effetto contaminante in tutto il territorio, al di là dei reali modelli strutturali. In questo quadro si può innestare, soprattutto in questo momento storico-politico, l’interesse per un confronto che deve riportare alla luce alcuni aspetti fondamentali: 1 – i centri minori sono ancora un modello di qualità e di sperimentazione? Penso di sì. Credo che nella dimensione medio-piccola ci siano ancora tutti gli ingredienti per definire percorsi alternativi al progetto ipermetabolico e congestionante degli agglomerati urbani in incessante espansione; 2 – i centri e i nuclei storici che sono il principale elemento di caratterizzazione dei piccoli centri che ruolo giocano? Io credo che giochino un ruolo determinante. Sospesi tra il restauro-recupero e la riqualificazione urbana nei piccoli centri le dimensioni del tessuto connettivo svolgono una funzione determinante. Se nella grande città il nucleo storico è esteso ed immerso ormai in una progressiva cintura di periferie in cui appare molto difficile individuare confini, margini, funzioni, nei centri minori il nucleo storico è ancora definibile e soprattutto percepibile, identificabile (negli affetti come nelle qualità) e spesso proprio per le sue dimensioni si configura come un luogo deputato, un “gioiello” centrale a cui far pervenire valore e specificità. In altre parole il tessuto connettivo urbano più recente che aderisce al centro storico trova nell’identità del luogo storico una motivazione di riqualificazione; 3 – il rapporto riqualificazione urbana e conservazione/restauro come si può sviluppare? È in questo rapporto la scommessa sul destino dei piccoli centri in Italia. L’identità culturale dei centri storici minori, in un climax territoriale identificabile nei percorsi e nelle tracce diffuse, deve essere il volano della riqualificazione urbana del tessuto connettivo pubblico. Le strade, le piazze, i piccoli slarghi a parcheggio, le degradate funzioni commerciali, i modelli della peggiore urbanizzazione di prima periferia devono essere riconvertiti non con gli “ingredienti dell’antico”, che sarebbe anacronistico e fuori contesto, quanto piuttosto con un’azione di coerenza che trova nel recupero e nel restauro del patrimonio storico il fulcro dell’azione identitaria e nella ristrutturazione degli spazi e dei luoghi funzionali e di vita una progetto di riqualificazione sociale, economica con interessanti aspetti di richiamo e di valore turistico. Il confronto di processi di intervento che nella grande città possono sembrare antitetici e contraddittori nei centri minori invece possono trovare una ragion d’essere e un campo di sperimentazione interessante soprattutto perché la dimensione fa la differenza, nella possibilità del controllo, della partecipazione alle scelte, nell’individuazione di nuovi comportamenti e attività. Sono tutti ingredienti che possono collaborare alla realizzazione di un’azione concertata senza soluzioni di continuità, che sfrutta ed investe le poche risorse disponibili per definire una nuova rotta nella progressiva valorizzazione del patrimonio e dell’identità culturale.
2008
9788838746567
centri storici; rilievo urbano; riqualificazione urbana
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