Dalla ricerca empirica condotta le banche risultano in grado di soddisfare in modo adeguato le esigenze di natura finanziaria espresse dalle imprese operative a livello internazionale. Come emerge dal capitolo due, questa impressione è confermata dalle risposte offerte dalle imprese clienti che si dichiarano abbastanza se non pienamente soddisfatte dell’operato delle banche. Ciò che più conta è poi il fatto che anche le imprese di medio-piccole dimensione possono ottenere, pur pagando in alcuni casi un premium price, lo stesso livello di assistenza offerto alla clientela di maggiori dimensioni. Il quadro varia quando si volge l’attenzione ai servizi accessori di assistenza e consulenza. Nessuna delle banche interpellate sembra avere una chiara direttrice di sviluppo in questo settore, pur considerandolo dal punto di vista strategico estremamente importante. Ci si trova in una classica area in cui l’erogazione del servizio è demand-push e non certamente supply-driven. A loro discolpa, gli intermediari denunciano la scarsa disponibilità delle imprese a sopportare i costi relativi, ma l’impressione che si trae è che la qualità dei servizi stessi sia spesso discutibile. In larga parte, manca la capacità o forse la volontà di fare leva in modo più incisivo sulle banche corrispondenti o di costruire rapporti consolidati con banche locali o altri corrispondenti in loco. Alla scarsa propensione delle banche a impegnarsi in questa area di attività corrisponde una generalizzata insoddisfazione da parte delle imprese richiedenti il servizio stesso. In generale, l’impressione che si trae è che non siano solo le banche a non offrire adeguata assistenza, ma che manchi a livello di sistema un interlocutore adeguato a cui le imprese possano rivolgersi per ottenere i vari servizi richiesti. Un secondo tema su cui fare qualche riflessione è il posizionamento strategico delle varie tipologie di intermediari. Ad un estremo, si collocano le banche estere e buona parte delle banche italiane non grandi. Ciò che accomuna queste istituzioni è la scelta di offrire una gamma meno diversificata di servizi, ma le somiglianze si fermano a questo punto. Le banche estere operano nel mercato italiano in logica di prodotto più che di servizio e concentrano la loro attività sui prodotti a maggiore valore aggiunto, in cui sono in grado di fare leva su un know how consolidato frutto dell’esperienza su più mercati internazionali. Dal canto loro, le banche italiane di minori dimensioni operano invece nel segmento dei servizi più elementari, incontrando spesso maggiori difficoltà rispetto ai concorrenti e ottenendo ritorni abbastanza modesti. All’estremo opposto, si collocano le grandi banche italiane e alcune selezionate banche minori con una chiara strategia di posizionamento nel settore. In questo caso, la gamma è ampia e diversificata e il consolidamento e il rafforzamento della relazione di clientela è l’obiettivo dichiarato. Tra le banche grandi, gli eventuali gap di conoscenza rispetto alle banche estere sono stati colmati e le strategie di offerta appaiono abbastanza aggressivi. Particolarmente interessante è poi il comportamento delle banche minori più focalizzate. In questo caso, sono l’innovazione di prodotto e il ricorso più incisivo alle relazioni internazionali che consentono di sopperire alla eventuale mancanza della massa critica. L’ultimo tema riguarda il generale contesto di riferimento in cui l’attività di “export finance” trova collocazione. A questo proposito è certamente la relazione che in prospettiva si avrà con la SACE, l’elemento di maggiore rottura con il passato. Da un lato, le banche la considerano un prezioso supporto per la loro attività; ad esempio, SACE è un’importante fonte per il rating del credito internazionale, quanto o più delle società di rating internazionali . Dall’altro lato, gli intermediari denunciano servizi non soddisfacenti o competitivi, se confrontati con quelli di altre ECA internazionali; ad esempio, i premi sarebbero troppo elevati rispetto alla concorrenza e l’incertezza sui tempi di risposta, sull’indennizzo e sulle percentuali di copertura danneggerebbero le imprese domestiche rendendo le loro offerte internazionali poco competitive. In generale, ciò che le banche temono è che in Italia, a seguito della nuova linea competitiva di SACE, il sistema di export finance, anziché muoversi nella direzione tracciata nei mercati francesi e tedeschi, in cui le ECA collaborano fattivamente con gli intermediari per i servizi internazionali, vada verso il modello americano caratterizzato dal ruolo perentorio di US Eximbank, dove gli intermediari non sono in grado di ottenere un apprezzabile redditività dal servizio e hanno lasciato o stanno progressivamente abbandonando il mercato.

Il ruolo del sistema bancario italiano a supporto dell’internazionalizzazione delle imprese

MATTEI, Jacopo;
2006

Abstract

Dalla ricerca empirica condotta le banche risultano in grado di soddisfare in modo adeguato le esigenze di natura finanziaria espresse dalle imprese operative a livello internazionale. Come emerge dal capitolo due, questa impressione è confermata dalle risposte offerte dalle imprese clienti che si dichiarano abbastanza se non pienamente soddisfatte dell’operato delle banche. Ciò che più conta è poi il fatto che anche le imprese di medio-piccole dimensione possono ottenere, pur pagando in alcuni casi un premium price, lo stesso livello di assistenza offerto alla clientela di maggiori dimensioni. Il quadro varia quando si volge l’attenzione ai servizi accessori di assistenza e consulenza. Nessuna delle banche interpellate sembra avere una chiara direttrice di sviluppo in questo settore, pur considerandolo dal punto di vista strategico estremamente importante. Ci si trova in una classica area in cui l’erogazione del servizio è demand-push e non certamente supply-driven. A loro discolpa, gli intermediari denunciano la scarsa disponibilità delle imprese a sopportare i costi relativi, ma l’impressione che si trae è che la qualità dei servizi stessi sia spesso discutibile. In larga parte, manca la capacità o forse la volontà di fare leva in modo più incisivo sulle banche corrispondenti o di costruire rapporti consolidati con banche locali o altri corrispondenti in loco. Alla scarsa propensione delle banche a impegnarsi in questa area di attività corrisponde una generalizzata insoddisfazione da parte delle imprese richiedenti il servizio stesso. In generale, l’impressione che si trae è che non siano solo le banche a non offrire adeguata assistenza, ma che manchi a livello di sistema un interlocutore adeguato a cui le imprese possano rivolgersi per ottenere i vari servizi richiesti. Un secondo tema su cui fare qualche riflessione è il posizionamento strategico delle varie tipologie di intermediari. Ad un estremo, si collocano le banche estere e buona parte delle banche italiane non grandi. Ciò che accomuna queste istituzioni è la scelta di offrire una gamma meno diversificata di servizi, ma le somiglianze si fermano a questo punto. Le banche estere operano nel mercato italiano in logica di prodotto più che di servizio e concentrano la loro attività sui prodotti a maggiore valore aggiunto, in cui sono in grado di fare leva su un know how consolidato frutto dell’esperienza su più mercati internazionali. Dal canto loro, le banche italiane di minori dimensioni operano invece nel segmento dei servizi più elementari, incontrando spesso maggiori difficoltà rispetto ai concorrenti e ottenendo ritorni abbastanza modesti. All’estremo opposto, si collocano le grandi banche italiane e alcune selezionate banche minori con una chiara strategia di posizionamento nel settore. In questo caso, la gamma è ampia e diversificata e il consolidamento e il rafforzamento della relazione di clientela è l’obiettivo dichiarato. Tra le banche grandi, gli eventuali gap di conoscenza rispetto alle banche estere sono stati colmati e le strategie di offerta appaiono abbastanza aggressivi. Particolarmente interessante è poi il comportamento delle banche minori più focalizzate. In questo caso, sono l’innovazione di prodotto e il ricorso più incisivo alle relazioni internazionali che consentono di sopperire alla eventuale mancanza della massa critica. L’ultimo tema riguarda il generale contesto di riferimento in cui l’attività di “export finance” trova collocazione. A questo proposito è certamente la relazione che in prospettiva si avrà con la SACE, l’elemento di maggiore rottura con il passato. Da un lato, le banche la considerano un prezioso supporto per la loro attività; ad esempio, SACE è un’importante fonte per il rating del credito internazionale, quanto o più delle società di rating internazionali . Dall’altro lato, gli intermediari denunciano servizi non soddisfacenti o competitivi, se confrontati con quelli di altre ECA internazionali; ad esempio, i premi sarebbero troppo elevati rispetto alla concorrenza e l’incertezza sui tempi di risposta, sull’indennizzo e sulle percentuali di copertura danneggerebbero le imprese domestiche rendendo le loro offerte internazionali poco competitive. In generale, ciò che le banche temono è che in Italia, a seguito della nuova linea competitiva di SACE, il sistema di export finance, anziché muoversi nella direzione tracciata nei mercati francesi e tedeschi, in cui le ECA collaborano fattivamente con gli intermediari per i servizi internazionali, vada verso il modello americano caratterizzato dal ruolo perentorio di US Eximbank, dove gli intermediari non sono in grado di ottenere un apprezzabile redditività dal servizio e hanno lasciato o stanno progressivamente abbandonando il mercato.
2006
9788844903442
Servizi finanziari; Internazionalizzazione
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