La tradizionale distinzione delineata dal legislatore nazionale tra piani di azionariato diffuso e stock option si ritrova anche nell’ambito delle multinazionali che attuano piani incentivanti su scala internazionale. I gruppi multinazionali hanno infatti interesse da un lato ad acquisire risorse umane di grado elevato in un mercato globale, attraendole con politiche di incentivazione e di fidelizzazione; dall’altro, a integrare il più possibile il personale estero all’interno delle società localizzate nei vari Paesi, facilitandone la mobilità transnazionale e favorendo la diffusione di una forte identità aziendale. L’elemento internazionale amplifica però la complessità dei problemi legati ai piani di azionariato principalmente per due ordini di ragioni. In primo luogo, la normativa domestica è stata scritta senza perseguire un’effettiva armonizzazione con quella di paesi di più larga tradizione in materia di stock option. I piani delle multinazionali presentano quindi degli elementi per così dire di “estraneità” rispetto agli schemi su cui sono modellate le agevolazioni italiane. In secondo luogo, proprio perché si tratta di piani che coinvolgono dipendenti dall’elevata mobilità internazionale, essi pongono delicati problemi di intreccio fra diverse discipline fiscali non sempre omogenee. Talvolta, la diversa individuazione del momento impositivo o la diversa qualificazione del fenomeno reddituale sotteso alle stock option, riconducibile in parte ad una remunerazione del lavoro, in parte ad un utile da capitale, possono far sorgere delicati problemi di doppia imposizione, non sempre facilmente risolvibili neppure alla luce delle normative convenzionali a ciò specificamente dedicate. Il contributo in oggetto cerca di trattare in modo sistematico le difficoltà poste dall’applicazione della normativa domestica ai piani delle multinazionali che sono in genere adottati ed estesi, con le medesime caratteristiche, ai dipendenti delle controllate o di altre consociate residenti in Italia in ragione dei vantaggi fiscali nel paese di origine. Si esaminano anche i risvolti di doppia imposizione generati da conflitti tra pretese statuali diverse. Questi ultimi riguardano la mobilità internazionale del personale delle multinazionali, ma anche di quelle imprese italiane a forte vocazione internazionale, spesso in settori di attività di grande interesse per l’economia nazionale e a forte intensità di manodopera (cantieri, installazione impianti, ricerca ed estrazione di materie prime, e via enumerando).
I piani di stock option nell'impresa multinazionale
CROVATO, Francesco
2006
Abstract
La tradizionale distinzione delineata dal legislatore nazionale tra piani di azionariato diffuso e stock option si ritrova anche nell’ambito delle multinazionali che attuano piani incentivanti su scala internazionale. I gruppi multinazionali hanno infatti interesse da un lato ad acquisire risorse umane di grado elevato in un mercato globale, attraendole con politiche di incentivazione e di fidelizzazione; dall’altro, a integrare il più possibile il personale estero all’interno delle società localizzate nei vari Paesi, facilitandone la mobilità transnazionale e favorendo la diffusione di una forte identità aziendale. L’elemento internazionale amplifica però la complessità dei problemi legati ai piani di azionariato principalmente per due ordini di ragioni. In primo luogo, la normativa domestica è stata scritta senza perseguire un’effettiva armonizzazione con quella di paesi di più larga tradizione in materia di stock option. I piani delle multinazionali presentano quindi degli elementi per così dire di “estraneità” rispetto agli schemi su cui sono modellate le agevolazioni italiane. In secondo luogo, proprio perché si tratta di piani che coinvolgono dipendenti dall’elevata mobilità internazionale, essi pongono delicati problemi di intreccio fra diverse discipline fiscali non sempre omogenee. Talvolta, la diversa individuazione del momento impositivo o la diversa qualificazione del fenomeno reddituale sotteso alle stock option, riconducibile in parte ad una remunerazione del lavoro, in parte ad un utile da capitale, possono far sorgere delicati problemi di doppia imposizione, non sempre facilmente risolvibili neppure alla luce delle normative convenzionali a ciò specificamente dedicate. Il contributo in oggetto cerca di trattare in modo sistematico le difficoltà poste dall’applicazione della normativa domestica ai piani delle multinazionali che sono in genere adottati ed estesi, con le medesime caratteristiche, ai dipendenti delle controllate o di altre consociate residenti in Italia in ragione dei vantaggi fiscali nel paese di origine. Si esaminano anche i risvolti di doppia imposizione generati da conflitti tra pretese statuali diverse. Questi ultimi riguardano la mobilità internazionale del personale delle multinazionali, ma anche di quelle imprese italiane a forte vocazione internazionale, spesso in settori di attività di grande interesse per l’economia nazionale e a forte intensità di manodopera (cantieri, installazione impianti, ricerca ed estrazione di materie prime, e via enumerando).File | Dimensione | Formato | |
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