Introduzione Alcuni dati recenti, grazie all’utilizzo delle metodologie per la codifica del comportamento facciale, hanno mostrato la complessità delle prime manifestazioni del sorriso ampliando e approfondendo alcuni studi classici condotti negli anni sessanta, e fornendo nuove informazioni essenziali circa la traiettoria evolutiva di questa espressione (Dondi, Messinger, Colle, Tabasso, Fogel, & Simion, submitted; Fogel, Nelson-Goens, & Hsu, 2000; Messinger, Dondi, Nelson-Goens, Beghi, Fogel, & Simion, 2002; Messinger, Fogel, & Dickson, 1999, 2001). Dal confronto puntuale tra i dati pubblicati negli anni sessanta (Emde & Koenig, 1969a, 1969b; Korner, 1969; Wolff, 1959, 1963, 1966) e quelli più recenti (Messinger et al., 2002; Dondi et al., submitted), emerge in modo interessante che la probabilità di comparsa del sorriso endogeno o neonatale rilevata nel passato era circa il 50% in meno di quella indicata negli ultimi anni in letteratura, e che la durata media risultava circa due volte maggiore rispetto agli ultimi studi condotti. Sembra scontato ipotizzare che queste differenze possano derivare da ragioni di ordine metodologico: oggi il volto viene videoripreso in primo piano e vengono utilizzate metodologie costruite su base anatomica per descriverne l’attività, nel passato, invece, la rilevazione del sorriso veniva compiuta sul campo utilizzando griglie osservative carta e matita. Nonostante la plausibilità di tale ipotesi, queste differenze quantitative potrebbero indicare anche la presenza di contrazioni molto rapide dello zygomaticus major (il muscolo responsabile dell’innalzamento degli angoli esterni delle labbra e della configurazione che riconosciamo come sorriso) riconoscibili ad un analisi fotogramma per fotogramma ma pressoché invisibili in tempo reale. Tale attività di basso livello (rapida e di scarsa intensità) non è mai stata descritta in letteratura per quanto riguarda le prime fasi dello sviluppo e potrebbe apparire analoga al fenomeno delle micro-espressioni osservate negli adulti (Ekman, 2003). Con l’obiettivo di approfondire questa possibilità, abbiamo sottoposto lo stesso materiale video relativo a neonati di poche ore a un gruppo di giudici esperti e a un gruppo di giudici ingenui. Entrambi i gruppi avevano il compito di identificare il sorriso sul volto del neonato. Allo scopo poi di indagare se e come questa eventuale attività di basso livello si distribuisce all’interno degli stati comportamentali, le videoriprese dei neonati sono state effettuate sia durante gli stati di veglia sia durante gli stati di sonno. Metodo Tutte le azioni facciali che secondo il Baby FACS (Oster, in corso di stampa) specificano il sorriso (AU12; sorriso semplice e AU12 + AU6, sorriso di Duchenne), manifestate da 32 neonati videoripresi in quattro diversi stati comportamentali, veglia, sonno attivo, sonno calmo, sonnolenza (per un totale di 192 minuti), sono state codificate da tre giudici esperti nell’uso del Baby FACS. Successivamente, le stesse videoriprese sono state sottoposte ad un gruppo di giudici ingenui (N = 48) a cui era stato affidato il compito di identificare, premendo un tasto del mouse, tutti i sorrisi manifestati dai bambini. Risultati Il confronto tra le azioni facciali rilevate dai codificatori esperti e i sorrisi rilevati dai giudici ingenui ha messo in evidenza l’effettiva presenza di una attività motoria di basso livello a carico del muscolo zigomatico maggiore. Tale attività, piuttosto frequente e che interessava tutti gli stati comportamentali indagati, è stata rilevata dai codificatori esperti ma non è stata riconosciuta come sorriso dai giudici ingenui. Accanto a questo risultato è emerso che i sorrisi di Duchenne, rilevati sia dai giudici esperti sia dai giudici ingenui, tendevano ad apparire più frequentemente e mostravano una durata significativamente maggiore durante la fase di sonno attivo (sonno REM) rispetto agli altri stati. Presi complessivamente questi risultati sembrano specificare in modo più preciso, rispetto ai dati disponibili in letteratura, le condizioni iniziali che caratterizzano l’emergere del sorriso e si pongono come utile riferimento per l’approfondimento, nel corso delle primissime fasi dello sviluppo, di altre configurazioni espressive di natura emozionale.

L’emergere delle espressioni facciali di emozione: il caso del sorriso

DONDI, Marco
2006

Abstract

Introduzione Alcuni dati recenti, grazie all’utilizzo delle metodologie per la codifica del comportamento facciale, hanno mostrato la complessità delle prime manifestazioni del sorriso ampliando e approfondendo alcuni studi classici condotti negli anni sessanta, e fornendo nuove informazioni essenziali circa la traiettoria evolutiva di questa espressione (Dondi, Messinger, Colle, Tabasso, Fogel, & Simion, submitted; Fogel, Nelson-Goens, & Hsu, 2000; Messinger, Dondi, Nelson-Goens, Beghi, Fogel, & Simion, 2002; Messinger, Fogel, & Dickson, 1999, 2001). Dal confronto puntuale tra i dati pubblicati negli anni sessanta (Emde & Koenig, 1969a, 1969b; Korner, 1969; Wolff, 1959, 1963, 1966) e quelli più recenti (Messinger et al., 2002; Dondi et al., submitted), emerge in modo interessante che la probabilità di comparsa del sorriso endogeno o neonatale rilevata nel passato era circa il 50% in meno di quella indicata negli ultimi anni in letteratura, e che la durata media risultava circa due volte maggiore rispetto agli ultimi studi condotti. Sembra scontato ipotizzare che queste differenze possano derivare da ragioni di ordine metodologico: oggi il volto viene videoripreso in primo piano e vengono utilizzate metodologie costruite su base anatomica per descriverne l’attività, nel passato, invece, la rilevazione del sorriso veniva compiuta sul campo utilizzando griglie osservative carta e matita. Nonostante la plausibilità di tale ipotesi, queste differenze quantitative potrebbero indicare anche la presenza di contrazioni molto rapide dello zygomaticus major (il muscolo responsabile dell’innalzamento degli angoli esterni delle labbra e della configurazione che riconosciamo come sorriso) riconoscibili ad un analisi fotogramma per fotogramma ma pressoché invisibili in tempo reale. Tale attività di basso livello (rapida e di scarsa intensità) non è mai stata descritta in letteratura per quanto riguarda le prime fasi dello sviluppo e potrebbe apparire analoga al fenomeno delle micro-espressioni osservate negli adulti (Ekman, 2003). Con l’obiettivo di approfondire questa possibilità, abbiamo sottoposto lo stesso materiale video relativo a neonati di poche ore a un gruppo di giudici esperti e a un gruppo di giudici ingenui. Entrambi i gruppi avevano il compito di identificare il sorriso sul volto del neonato. Allo scopo poi di indagare se e come questa eventuale attività di basso livello si distribuisce all’interno degli stati comportamentali, le videoriprese dei neonati sono state effettuate sia durante gli stati di veglia sia durante gli stati di sonno. Metodo Tutte le azioni facciali che secondo il Baby FACS (Oster, in corso di stampa) specificano il sorriso (AU12; sorriso semplice e AU12 + AU6, sorriso di Duchenne), manifestate da 32 neonati videoripresi in quattro diversi stati comportamentali, veglia, sonno attivo, sonno calmo, sonnolenza (per un totale di 192 minuti), sono state codificate da tre giudici esperti nell’uso del Baby FACS. Successivamente, le stesse videoriprese sono state sottoposte ad un gruppo di giudici ingenui (N = 48) a cui era stato affidato il compito di identificare, premendo un tasto del mouse, tutti i sorrisi manifestati dai bambini. Risultati Il confronto tra le azioni facciali rilevate dai codificatori esperti e i sorrisi rilevati dai giudici ingenui ha messo in evidenza l’effettiva presenza di una attività motoria di basso livello a carico del muscolo zigomatico maggiore. Tale attività, piuttosto frequente e che interessava tutti gli stati comportamentali indagati, è stata rilevata dai codificatori esperti ma non è stata riconosciuta come sorriso dai giudici ingenui. Accanto a questo risultato è emerso che i sorrisi di Duchenne, rilevati sia dai giudici esperti sia dai giudici ingenui, tendevano ad apparire più frequentemente e mostravano una durata significativamente maggiore durante la fase di sonno attivo (sonno REM) rispetto agli altri stati. Presi complessivamente questi risultati sembrano specificare in modo più preciso, rispetto ai dati disponibili in letteratura, le condizioni iniziali che caratterizzano l’emergere del sorriso e si pongono come utile riferimento per l’approfondimento, nel corso delle primissime fasi dello sviluppo, di altre configurazioni espressive di natura emozionale.
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