Paesaggio è un termine dai molti significati che possiede un'origine espressiva, sul piano scientifico, deriva¬ta dalle discipline geografiche. Spesso settorializzato attraverso l'aggiunta di aggettivi qualificativi (naturale, agrario, umano, urbano, ...) il vocabolo può esprimere un'accezione vaga ed omni¬comprensiva che parte dal significare che "è tutto ciò che si vede e che viene percepito", per poi spiegare che la sua esistenza è permessa solo attraverso l'azione dell'uomo. Appare dunque in rilievo un carattere dominante, collegato alla percezione del mondo sensorialmen¬te condotta con l'atto della visione, che è volta però spesso a giudicare, attraverso il confronto con un'idea di armonia pre¬stabilita, ciò che è tipico e ciò che è estraneo. E questo presuntivo processo di classificazione, operante con inten¬zionalità selezionanti e protettive (o pro¬tezionistiche), tende pericolosamen¬te, come afferma Burckhardt, a "fabbricare fenomeni inesistenti" in cui attraverso un meccanismo di astra¬zione si finisce per voler rendere tipici tutti i paesaggi. L'azione dell'uomo si presenta, dunque, come la seconda ma¬trice attiva generatrice di nuovi signifi¬cati del termine: per Rosario Assunto il paesaggio diviene la forma che può as¬sumere un territorio (materia) sotto¬posto all'azione di modellazione eserci¬tata da uno specifico ambiente (funzione) e che per mezzo di una sco¬perta/rappresentazione trasforma in og¬getti estetici tutto ciò che prima poteva apparire come "semplici cose di natu¬ra" (Assunto). Il processo di trasformazione e di antropomorfizzazione determina una di¬stinzione tra un prima e un dopo, tra un naturale preesistente e un co¬struito di volta in volta storicamente consoli¬dato, oggetto dell'esperienza vi¬siva e dell'elaborazione percettiva. L'imposta¬zione culturale dominante, che affonda le sue radici anche nelle definizioni legi¬slative, impone spesso di trovare una corrispondenza estetica positiva (bellezza) con l'assunzione a ruolo del significato di paesaggio su una realtà geografica determinata in cui appaia es¬senziale "la spontanea concor¬danza e fu¬sione fra l'espressione della natura e quella del lavoro umano" (L. 1497/1939); come se, una volta messa a fuoco l'in¬quadratura comprendente i suoi ele¬menti d'insieme e di dettaglio, si potesse estraniare questo tassello di territorio dal contesto che lo circonda e riuscire a proteggerlo in un utopistico museo, in cui poter evadere e contemplare l'opera d'arte naturale ed umana. Diversamente, per un approccio più critico e concreto, in cui il concetto di paesaggio viene in¬tegrato all'interno di complesse proble¬matiche (ecologiche, urbanistiche, so¬ciali, economiche, ...) ci si deve riferire prima di tutto a Alexan¬der von Hum¬boldt, che, nei primi anni del XIX seco¬lo, riesce a formulare una nuova un'impostazione capace di estrarre l'esperienza visiva dalle dimen¬sioni poetiche e pittoriche, per di¬rigerla verso l'universo della conoscenza scienti¬fica. L'intuizione di Humboldt sull'ironica ambiguità del paesaggio, capace al contempo di descrivere e di rendere possibile l'esistente, verrà poi ripresa con accentuazioni più empiriche dalle teorie del landscape e del town¬scape, sviluppatesi soprattutto nel secondo dopoguerra nei paesi anglosas¬soni. Le potenzialità descrittive e di let¬tura, in diretto rapporto con lo spazio costruito, affinano lo strumento visuale per percepire le qualità dei luoghi, al di là dei giudizi di valore e dei modelli di tipicizzazione con più o meno forti ipo¬tesi estetiche. Il degrado, l'estraneo, l'abbandonato vengono finalmente inquadrati dall'obiettivo del paesaggio per essere compresi dalle ope¬ratività del progetto. E quando si parla di paesaggio urbano l’azione è ancora più “espressiva”.

Corpi nel paesaggio delle città. Quando il percorso partecipativo funziona come un grimaldello per scassinare le porte dell'ambiguità e della tipicizzazione

BALZANI, Marcello
2007

Abstract

Paesaggio è un termine dai molti significati che possiede un'origine espressiva, sul piano scientifico, deriva¬ta dalle discipline geografiche. Spesso settorializzato attraverso l'aggiunta di aggettivi qualificativi (naturale, agrario, umano, urbano, ...) il vocabolo può esprimere un'accezione vaga ed omni¬comprensiva che parte dal significare che "è tutto ciò che si vede e che viene percepito", per poi spiegare che la sua esistenza è permessa solo attraverso l'azione dell'uomo. Appare dunque in rilievo un carattere dominante, collegato alla percezione del mondo sensorialmen¬te condotta con l'atto della visione, che è volta però spesso a giudicare, attraverso il confronto con un'idea di armonia pre¬stabilita, ciò che è tipico e ciò che è estraneo. E questo presuntivo processo di classificazione, operante con inten¬zionalità selezionanti e protettive (o pro¬tezionistiche), tende pericolosamen¬te, come afferma Burckhardt, a "fabbricare fenomeni inesistenti" in cui attraverso un meccanismo di astra¬zione si finisce per voler rendere tipici tutti i paesaggi. L'azione dell'uomo si presenta, dunque, come la seconda ma¬trice attiva generatrice di nuovi signifi¬cati del termine: per Rosario Assunto il paesaggio diviene la forma che può as¬sumere un territorio (materia) sotto¬posto all'azione di modellazione eserci¬tata da uno specifico ambiente (funzione) e che per mezzo di una sco¬perta/rappresentazione trasforma in og¬getti estetici tutto ciò che prima poteva apparire come "semplici cose di natu¬ra" (Assunto). Il processo di trasformazione e di antropomorfizzazione determina una di¬stinzione tra un prima e un dopo, tra un naturale preesistente e un co¬struito di volta in volta storicamente consoli¬dato, oggetto dell'esperienza vi¬siva e dell'elaborazione percettiva. L'imposta¬zione culturale dominante, che affonda le sue radici anche nelle definizioni legi¬slative, impone spesso di trovare una corrispondenza estetica positiva (bellezza) con l'assunzione a ruolo del significato di paesaggio su una realtà geografica determinata in cui appaia es¬senziale "la spontanea concor¬danza e fu¬sione fra l'espressione della natura e quella del lavoro umano" (L. 1497/1939); come se, una volta messa a fuoco l'in¬quadratura comprendente i suoi ele¬menti d'insieme e di dettaglio, si potesse estraniare questo tassello di territorio dal contesto che lo circonda e riuscire a proteggerlo in un utopistico museo, in cui poter evadere e contemplare l'opera d'arte naturale ed umana. Diversamente, per un approccio più critico e concreto, in cui il concetto di paesaggio viene in¬tegrato all'interno di complesse proble¬matiche (ecologiche, urbanistiche, so¬ciali, economiche, ...) ci si deve riferire prima di tutto a Alexan¬der von Hum¬boldt, che, nei primi anni del XIX seco¬lo, riesce a formulare una nuova un'impostazione capace di estrarre l'esperienza visiva dalle dimen¬sioni poetiche e pittoriche, per di¬rigerla verso l'universo della conoscenza scienti¬fica. L'intuizione di Humboldt sull'ironica ambiguità del paesaggio, capace al contempo di descrivere e di rendere possibile l'esistente, verrà poi ripresa con accentuazioni più empiriche dalle teorie del landscape e del town¬scape, sviluppatesi soprattutto nel secondo dopoguerra nei paesi anglosas¬soni. Le potenzialità descrittive e di let¬tura, in diretto rapporto con lo spazio costruito, affinano lo strumento visuale per percepire le qualità dei luoghi, al di là dei giudizi di valore e dei modelli di tipicizzazione con più o meno forti ipo¬tesi estetiche. Il degrado, l'estraneo, l'abbandonato vengono finalmente inquadrati dall'obiettivo del paesaggio per essere compresi dalle ope¬ratività del progetto. E quando si parla di paesaggio urbano l’azione è ancora più “espressiva”.
2007
Balzani, Marcello
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