C. pneumoniae è un microrganismo intracellulare obbligato e, pertanto, per il suo isolamento è richiesto l’allestimento di colture su linee cellulari. Tra queste, particolarmente efficaci sono quelle che impiegano linee cellulari provenienti da tessuti respiratori quali Hep-2 e HL, che consentono uno sviluppo in 3-6 giorni secondo la quantità del materiale seminato. I test sierodiagnostici risultano significativi quando è determinata la classe (IgG, IgM e IgA) o è dimostrata una chiara sieroconversione. L’introduzione di tecniche biomolecolari ha apportato un ulteriore ed innovativo contributo per la diagnostica clinica delle infezioni da C. pneumoniae consentendo di identificare precocemente il microrganismo attraverso l’evidenza del suo materiale genetico ovviando ai limiti delle tecniche colturali e di quelle sierologiche. Se per C. trachomatis le tecniche molecolari di amplificazione genica sono diventate di ampio utilizzo nella diagnostica di routine, restano ancora irrisolti alcuni problemi nella messa a punto delle metodiche biomolecolari per l’identificazione di C. pneumonaie, che ne limitano l’uso nei laboratori di ricerca. Le tecniche biomolecolari di cui si dispone attualmente per la diagnosi di C. pneumoniae sono basate principalmente sull’amplificazione di sequenze specie-specifiche di geni bersaglio. Tra queste, la PCR costituisce la tecnica ampiamente più diffusa nonostante la sua applicazione in campo diagnostico sia limitata dall’assenza di tecniche standardizzate. La mancanza di una tecnica molecolare standard riconosciuta rende difficile valutare le numerose metodiche descritte in altrettanti studi. Numerosi fattori influenzano la ottimizzazione e la ripetibilità della metodica e l’uniformità dei risultati ottenuti sia in termini di sensibilità che di specificità. A tale riguardo, sono determinanti la raccolta del campione biologico da analizzare e la tecnica di estrazione degli acidi nucleici, la scelta di geni bersaglio appropriati alla amplificazione e di oligonucleotidi specie-specifici quali primers nelle tecniche di amplificazione genica mediante PCR. Tutte le metodiche basate sull’amplificazione di acidi nucleici (NAA), rispetto a quelle tradizionali, hanno il vantaggio di essere di rapida esecuzione consentendo di ottenere un risultato entro 12-24 ore al massimo, assicurando un efficace e mirato intervento terapeutico. Nella maggior parte dei casi, le metodiche biomolecolari sono state confrontate con quelle colturali e sierologiche con una certa difformità dei risultati ottenuti. Va tenuto in grande considerazione che C. pneumonaie può permanere nelle vie respiratorie dell’uomo anche per periodi prolungati senza causare malattia, rendendo difficile la comparazione, quindi, tra metodiche con significato diverso nella diagnosi dell’infezione acuta. I sistemi basati sulla PCR possono mettere in evidenza anche il DNA dei corpi reticolari, incapaci di infettare, o di corpi elementari non più vitali, con una sensibilità pari anche a meno di 1 inclusion-forming unit (IFU) per mL, conferendo a queste metodiche una elevata sensibilità che supera anche le tecniche di immunofluorescenza delle colture.
I Tests Molecolari nelle Infezioni da Chlamydia.
CULTRERA, Rosario;CONTINI, Carlo
2006
Abstract
C. pneumoniae è un microrganismo intracellulare obbligato e, pertanto, per il suo isolamento è richiesto l’allestimento di colture su linee cellulari. Tra queste, particolarmente efficaci sono quelle che impiegano linee cellulari provenienti da tessuti respiratori quali Hep-2 e HL, che consentono uno sviluppo in 3-6 giorni secondo la quantità del materiale seminato. I test sierodiagnostici risultano significativi quando è determinata la classe (IgG, IgM e IgA) o è dimostrata una chiara sieroconversione. L’introduzione di tecniche biomolecolari ha apportato un ulteriore ed innovativo contributo per la diagnostica clinica delle infezioni da C. pneumoniae consentendo di identificare precocemente il microrganismo attraverso l’evidenza del suo materiale genetico ovviando ai limiti delle tecniche colturali e di quelle sierologiche. Se per C. trachomatis le tecniche molecolari di amplificazione genica sono diventate di ampio utilizzo nella diagnostica di routine, restano ancora irrisolti alcuni problemi nella messa a punto delle metodiche biomolecolari per l’identificazione di C. pneumonaie, che ne limitano l’uso nei laboratori di ricerca. Le tecniche biomolecolari di cui si dispone attualmente per la diagnosi di C. pneumoniae sono basate principalmente sull’amplificazione di sequenze specie-specifiche di geni bersaglio. Tra queste, la PCR costituisce la tecnica ampiamente più diffusa nonostante la sua applicazione in campo diagnostico sia limitata dall’assenza di tecniche standardizzate. La mancanza di una tecnica molecolare standard riconosciuta rende difficile valutare le numerose metodiche descritte in altrettanti studi. Numerosi fattori influenzano la ottimizzazione e la ripetibilità della metodica e l’uniformità dei risultati ottenuti sia in termini di sensibilità che di specificità. A tale riguardo, sono determinanti la raccolta del campione biologico da analizzare e la tecnica di estrazione degli acidi nucleici, la scelta di geni bersaglio appropriati alla amplificazione e di oligonucleotidi specie-specifici quali primers nelle tecniche di amplificazione genica mediante PCR. Tutte le metodiche basate sull’amplificazione di acidi nucleici (NAA), rispetto a quelle tradizionali, hanno il vantaggio di essere di rapida esecuzione consentendo di ottenere un risultato entro 12-24 ore al massimo, assicurando un efficace e mirato intervento terapeutico. Nella maggior parte dei casi, le metodiche biomolecolari sono state confrontate con quelle colturali e sierologiche con una certa difformità dei risultati ottenuti. Va tenuto in grande considerazione che C. pneumonaie può permanere nelle vie respiratorie dell’uomo anche per periodi prolungati senza causare malattia, rendendo difficile la comparazione, quindi, tra metodiche con significato diverso nella diagnosi dell’infezione acuta. I sistemi basati sulla PCR possono mettere in evidenza anche il DNA dei corpi reticolari, incapaci di infettare, o di corpi elementari non più vitali, con una sensibilità pari anche a meno di 1 inclusion-forming unit (IFU) per mL, conferendo a queste metodiche una elevata sensibilità che supera anche le tecniche di immunofluorescenza delle colture.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.