Nella prima metà dell’Ottocento le teorie estetiche si articolano lungo coordinate concettuali che mostrano la permanenza del pensiero illuminista e il suo superamento. Le relazioni fra l’artista, l’opera d’arte, il fruitore e il contesto storico-sociale si ridefiniscono nel corso del secolo, poiché l’atto creativo diviene il fulcro dell’esperienza artistica. Non più la fruizione, bensì la creatività sarà oggetto d’indagine primario delle speculazioni estetiche; l’artista si interrogherà sulla propria soggettività più che sulla finalità dell’oper e sul destinatario dell’opera d’arte. La seconda metà dell’Ottocento è attraversata da pensatori riformisti, che al degrado causato dall’industrializzazione alle strutture sociali, agli spazi del vivere, all’arte e all’architettura, contrappongono una concezione dell’arte fondata sulla sinergia fra l’opera dell’uomo e della natura. La volontà di agire sull’habitat accomuna i progetti dei “socialisti utopici” [«socialistes utopiques»]. Tenendo presente l’appartenenza ad aree culturali diverse e la specificità dei contenuti ideologici che sostengono le visioni socio-politiche di Saint-Simon, Charles Fourier, Jean-Baptiste André Godin, Robert Owen, William Cobbett e William Morris, si ravvisano linee comuni nella volontà concreta di costruire una nuova società fondata sui principi della comunità e dell’egualitarismo. Nelle ultime decadi dell’Ottocento il rapporto fra estetica ed etica muta profondamente, poiché l’arte entra in conflitto con la mimesi e si oppone all’educazione, per divenire fine dell’esperienza umana. L’interrogazione sul telos dell’attività artistica è il fulcro del discorso estetico di Oscar Wilde: in The Critic as Artist (1891) la catarsi, intesa come forma non morale ma estetica di purificazione e spiritualizzazione della natura umana, eleva l’uomo dalla materialità della vita quotidiana verso la perfezione. La portata utopica dell’estetismo risiede nella speculazione intorno ad una società perfettamente estetica, in cui l’Arte si dispiega libera da ogni tentativo di asservimento o manipolazione a fini pedagogici o ideologici, indifferente al canone dell’arte allegorica e al moralismo censorio dell’Inghilterra vittoriana. Le arti hanno il loro fine in se stesse, mirano soltanto a realizzare valori estetici, e sono per questo immorali. Se non sono immorali sono depotenziate, private della loro carica immaginifica, svilite, come l’arte sensuale, che istiga al male, o l’arte didattica, che persuade al bene. L’azione è sfera dell’etica, il fine dell’arte è creare uno stato d’animo cui si associa una finezza speculativa. Il nodo controverso della concezione secondo cui i valori estetici sono essenziali alla vita della società è che anch’essi, come i valori morali o conoscitivi, devono essere trasmessi, insegnati; l’aporia dell’arte come utopia estetica è concepire un puro diletto estetico completamente scevro da componenti pedagogiche e moralistiche. Il Romanticismo segna il momento più alto della speculazione intorno alle facoltà creative dell’artista come facoltà utopiche di evocazione dell’altrove. L’estetica idealistica dell’Ottocento segna l’identificazione fra l’arte in utopia e l’arte come utopia: l’arte stessa è utopia. Se l’arte romantica concepisce il mondo come un poema oppure come un mito, l’arte nella seconda metà dell’Ottocento si prefigge di mutare concretamente il reale: la speculazione è strettamente correlata all’elaborazione di piani programmatici per la realizzazione dei progetti utopici. Mentre la componente utopica del Romanticismo si esplica attraverso l’ideale creazione del mondo attraverso l’arte, l’utopismo del secondo Ottocento sostiene la trasformabilità del mondo attraverso l’arte.

Art et utopie

SPINOZZI, Paola
2008

Abstract

Nella prima metà dell’Ottocento le teorie estetiche si articolano lungo coordinate concettuali che mostrano la permanenza del pensiero illuminista e il suo superamento. Le relazioni fra l’artista, l’opera d’arte, il fruitore e il contesto storico-sociale si ridefiniscono nel corso del secolo, poiché l’atto creativo diviene il fulcro dell’esperienza artistica. Non più la fruizione, bensì la creatività sarà oggetto d’indagine primario delle speculazioni estetiche; l’artista si interrogherà sulla propria soggettività più che sulla finalità dell’oper e sul destinatario dell’opera d’arte. La seconda metà dell’Ottocento è attraversata da pensatori riformisti, che al degrado causato dall’industrializzazione alle strutture sociali, agli spazi del vivere, all’arte e all’architettura, contrappongono una concezione dell’arte fondata sulla sinergia fra l’opera dell’uomo e della natura. La volontà di agire sull’habitat accomuna i progetti dei “socialisti utopici” [«socialistes utopiques»]. Tenendo presente l’appartenenza ad aree culturali diverse e la specificità dei contenuti ideologici che sostengono le visioni socio-politiche di Saint-Simon, Charles Fourier, Jean-Baptiste André Godin, Robert Owen, William Cobbett e William Morris, si ravvisano linee comuni nella volontà concreta di costruire una nuova società fondata sui principi della comunità e dell’egualitarismo. Nelle ultime decadi dell’Ottocento il rapporto fra estetica ed etica muta profondamente, poiché l’arte entra in conflitto con la mimesi e si oppone all’educazione, per divenire fine dell’esperienza umana. L’interrogazione sul telos dell’attività artistica è il fulcro del discorso estetico di Oscar Wilde: in The Critic as Artist (1891) la catarsi, intesa come forma non morale ma estetica di purificazione e spiritualizzazione della natura umana, eleva l’uomo dalla materialità della vita quotidiana verso la perfezione. La portata utopica dell’estetismo risiede nella speculazione intorno ad una società perfettamente estetica, in cui l’Arte si dispiega libera da ogni tentativo di asservimento o manipolazione a fini pedagogici o ideologici, indifferente al canone dell’arte allegorica e al moralismo censorio dell’Inghilterra vittoriana. Le arti hanno il loro fine in se stesse, mirano soltanto a realizzare valori estetici, e sono per questo immorali. Se non sono immorali sono depotenziate, private della loro carica immaginifica, svilite, come l’arte sensuale, che istiga al male, o l’arte didattica, che persuade al bene. L’azione è sfera dell’etica, il fine dell’arte è creare uno stato d’animo cui si associa una finezza speculativa. Il nodo controverso della concezione secondo cui i valori estetici sono essenziali alla vita della società è che anch’essi, come i valori morali o conoscitivi, devono essere trasmessi, insegnati; l’aporia dell’arte come utopia estetica è concepire un puro diletto estetico completamente scevro da componenti pedagogiche e moralistiche. Il Romanticismo segna il momento più alto della speculazione intorno alle facoltà creative dell’artista come facoltà utopiche di evocazione dell’altrove. L’estetica idealistica dell’Ottocento segna l’identificazione fra l’arte in utopia e l’arte come utopia: l’arte stessa è utopia. Se l’arte romantica concepisce il mondo come un poema oppure come un mito, l’arte nella seconda metà dell’Ottocento si prefigge di mutare concretamente il reale: la speculazione è strettamente correlata all’elaborazione di piani programmatici per la realizzazione dei progetti utopici. Mentre la componente utopica del Romanticismo si esplica attraverso l’ideale creazione del mondo attraverso l’arte, l’utopismo del secondo Ottocento sostiene la trasformabilità del mondo attraverso l’arte.
2008
9782745317087
Utopia come genere letterario; utopismo; teorie estetiche; Europa; XIX secolo
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