Forze di riproduzione smaschera con grande efficacia la presunta neutralità del discorso-Antropocene, silente sulle molteplici diseguaglianze che devono essere invisibilizzate per portare sulla scena un Noi omogeneo e magniloquente. Per politicizzare l'Antropocene in maniera efficace, serve il realismo eco-capitalista. Tuttavia, ancor più necessario è che questa lotta di liberazione avvenga sotto la guida, esplicita e determinata, delle forze di riproduzione: solo questa inedita centralità può evitare che la retorica del Progresso torni a fare da sfondo a un compromesso tra capitale e lavoro insostenibile a livello ambientale e geopolitico, ma anche e forse soprattutto inaccettabile se si seguono le linee del genere e del colore. Difatti se l’Antropocene incarna la narrativa egemonica di una modernità capitalista e industrializzata in cui le forze di produzione (scienza occidentale e tecnologia industriale) assurgono a principale motore del Progresso e del benessere umano, destituirne l’egemonia implica smantellare le quattro dimensioni principali della razionalità padronale: classe, genere, razza e specie. Queste corrispondono a diversi livelli di rimozione su cui si basa la narrazione mainstream dell’Antropocene, che invisibilizza il lavoro riproduttivo o meta-industriale compiuto soprattutto dalle donne, dai contadini e dalle contadine, dai popoli indigeni e dal mondo non umano. Questa critica intersezionale svela la nudità del re: la modernità padronale e capitalista si regge sulla capacità di estrarre valore dal lavoro umano e non umano, trasformando l’attività di sostentamento del vivente in strumento di accumulazione. “Disfare l’Antropocene” significa riconoscere la centralità delle forze di riproduzione.

Prefazione [Forze di riproduzione : Per un'ecologia politica femminista]

Viviana Asara
Ultimo
2024

Abstract

Forze di riproduzione smaschera con grande efficacia la presunta neutralità del discorso-Antropocene, silente sulle molteplici diseguaglianze che devono essere invisibilizzate per portare sulla scena un Noi omogeneo e magniloquente. Per politicizzare l'Antropocene in maniera efficace, serve il realismo eco-capitalista. Tuttavia, ancor più necessario è che questa lotta di liberazione avvenga sotto la guida, esplicita e determinata, delle forze di riproduzione: solo questa inedita centralità può evitare che la retorica del Progresso torni a fare da sfondo a un compromesso tra capitale e lavoro insostenibile a livello ambientale e geopolitico, ma anche e forse soprattutto inaccettabile se si seguono le linee del genere e del colore. Difatti se l’Antropocene incarna la narrativa egemonica di una modernità capitalista e industrializzata in cui le forze di produzione (scienza occidentale e tecnologia industriale) assurgono a principale motore del Progresso e del benessere umano, destituirne l’egemonia implica smantellare le quattro dimensioni principali della razionalità padronale: classe, genere, razza e specie. Queste corrispondono a diversi livelli di rimozione su cui si basa la narrazione mainstream dell’Antropocene, che invisibilizza il lavoro riproduttivo o meta-industriale compiuto soprattutto dalle donne, dai contadini e dalle contadine, dai popoli indigeni e dal mondo non umano. Questa critica intersezionale svela la nudità del re: la modernità padronale e capitalista si regge sulla capacità di estrarre valore dal lavoro umano e non umano, trasformando l’attività di sostentamento del vivente in strumento di accumulazione. “Disfare l’Antropocene” significa riconoscere la centralità delle forze di riproduzione.
2024
9788866274094
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