Il contributo contiene riflessioni sul rapporto tra le nuove tecnologie digitali, e segnatamente gli smart contracts che operano sempre più spesso all’interno di registri distribuiti utilizzati da imprese operanti nella filiera agroalimentare, per valutar se effettivamente tali nuovi strumenti possano aver reso superato il ruolo dell’uomo, e vi fornisce risposta negativa. E’ noto che le blockchain – stanti le loro caratteristiche – possono efficacemente essere utilizzate nel settore e già, seppure ancora in stato embrionale, lo sono a fini di tracciabilità dei prodotti o di certificazione della loro origine, non senza premettere che la tecnologia blockchain si compone di numerose e distinte variabili, così che occorre in primo luogo chiarire cosa si intende con l’utilizzo di tale termine. Ed infatti, a fronte di caratteristiche comuni alle varie, possibili tipologie, quali la tendenziale non manipolabilità del dato inserito e della data dell’inserimento, occorre distinguere tra blockchain, per restare alle categorie più rilevanti, pubbliche o private, permissioned o permissionless. Il contributo intende altresì esaminare se e in che misura l’utilizzo della tecnologia blockchain può utilmente servire per contrastare il ricorso a pratiche scorrette nei contratti della filiera agroalimentare. Ipotizzando il ricorso a forme di blockchain di maggior tutela, può ritenersi che il suo utilizzo possa ridurre alcuni potenziali comportamenti abusivi della parte forte e fornire, tra l’altro, un ulteriore strumento a fini di prova del contenuto del contratto che va ad aggiungersi al generalizzato obbligo di forma scritta previsto dalla normativa. Vero è, peraltro, che, come noto, la direttiva UE 2019/633 e la norma interna di attuazione (d. lgs. 198/2021) si occupano solo dei contratti traslativi della proprietà di prodotti agricoli e agroalimentari, essendo così esclusi dal loro ambito di applicazione i contratti di fornitura di servizi, ivi inclusi, dunque, quelli relativi alla blockchain. Così che le p.c.s., che si vogliono escludere dalla porta e che potrebbero essere contrastate, almeno in parte, con l’utilizzo della tecnologia blockchain, rischiano di rientrare dalla finestra, ovvero nel rapporto contrattuale con cui l’impresa agricola o alimentare si procura i servizi digitali. Sembrerebbe così necessario un adeguamento normativo per “chiudere il cerchio” e assegnare, così, alle imprese oggetto di tutela adeguata protezione non solo per quanto concerne i contratti di cessione, ma anche in relazione a quelli con cui tali imprese si procurano servizi, anche alla luce della sempre maggior rilevanza del ricorso ai servizi digitali, come evidenziato dalla recente modifica della normativa – parallela – in tema di contrasto alle p.c.s. nei confronti dei consumatori (cfr. il d. lgs. 26/23 di recepimento della dir. UE n. 2019/2161 e che modifica, tra l’altro, l’art. 18 del codice del consumo).
Blockchain e smart contracts nei contratti della filiera agroalimentare
Luigi Russo
2024
Abstract
Il contributo contiene riflessioni sul rapporto tra le nuove tecnologie digitali, e segnatamente gli smart contracts che operano sempre più spesso all’interno di registri distribuiti utilizzati da imprese operanti nella filiera agroalimentare, per valutar se effettivamente tali nuovi strumenti possano aver reso superato il ruolo dell’uomo, e vi fornisce risposta negativa. E’ noto che le blockchain – stanti le loro caratteristiche – possono efficacemente essere utilizzate nel settore e già, seppure ancora in stato embrionale, lo sono a fini di tracciabilità dei prodotti o di certificazione della loro origine, non senza premettere che la tecnologia blockchain si compone di numerose e distinte variabili, così che occorre in primo luogo chiarire cosa si intende con l’utilizzo di tale termine. Ed infatti, a fronte di caratteristiche comuni alle varie, possibili tipologie, quali la tendenziale non manipolabilità del dato inserito e della data dell’inserimento, occorre distinguere tra blockchain, per restare alle categorie più rilevanti, pubbliche o private, permissioned o permissionless. Il contributo intende altresì esaminare se e in che misura l’utilizzo della tecnologia blockchain può utilmente servire per contrastare il ricorso a pratiche scorrette nei contratti della filiera agroalimentare. Ipotizzando il ricorso a forme di blockchain di maggior tutela, può ritenersi che il suo utilizzo possa ridurre alcuni potenziali comportamenti abusivi della parte forte e fornire, tra l’altro, un ulteriore strumento a fini di prova del contenuto del contratto che va ad aggiungersi al generalizzato obbligo di forma scritta previsto dalla normativa. Vero è, peraltro, che, come noto, la direttiva UE 2019/633 e la norma interna di attuazione (d. lgs. 198/2021) si occupano solo dei contratti traslativi della proprietà di prodotti agricoli e agroalimentari, essendo così esclusi dal loro ambito di applicazione i contratti di fornitura di servizi, ivi inclusi, dunque, quelli relativi alla blockchain. Così che le p.c.s., che si vogliono escludere dalla porta e che potrebbero essere contrastate, almeno in parte, con l’utilizzo della tecnologia blockchain, rischiano di rientrare dalla finestra, ovvero nel rapporto contrattuale con cui l’impresa agricola o alimentare si procura i servizi digitali. Sembrerebbe così necessario un adeguamento normativo per “chiudere il cerchio” e assegnare, così, alle imprese oggetto di tutela adeguata protezione non solo per quanto concerne i contratti di cessione, ma anche in relazione a quelli con cui tali imprese si procurano servizi, anche alla luce della sempre maggior rilevanza del ricorso ai servizi digitali, come evidenziato dalla recente modifica della normativa – parallela – in tema di contrasto alle p.c.s. nei confronti dei consumatori (cfr. il d. lgs. 26/23 di recepimento della dir. UE n. 2019/2161 e che modifica, tra l’altro, l’art. 18 del codice del consumo).I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.