Nell’ordinamento dell’Unione europea, il principio del primato del diritto “comunitario” è oggetto di una costante opera di ridefinizione, aggiustamento e adattamento al caso concreto, nell’ambito del fitto dialogo tra la Corte di giustizia e i giudici nazionali. L’ordinanza 2020/19598 della Corte di cassazione ha rappresentato un episodio dirompente di questo dialogo che, almeno in questa fattispecie, ha coinvolto tutti i massimi giudici del nostro ordinamento: la stessa Corte di cassazione, il Consiglio di Stato e la Corte Costituzionale. Tale ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia si pone come (temporaneo) punto d’arrivo di una lunga diatriba sui limiti del controllo giurisdizionale che la Corte di cassazione può legittimamente esercitare sulle pronunce del massimo giudice amministrativo, a norma dell’art. 111, ottavo comma, della Costituzione. Proprio nel cercare di espandere questi limiti, le Sezioni Unite hanno riferito ai giudici di Lussemburgo una complessa controversia in materia di appalti, il cui fulcro è rappresentato da una prassi (invalsa da lungo tempo e da altrettanto lungo tempo contestata) del Consiglio di Stato relativa all’ordine di esame dei ricorsi principale e incidentale. Siffatto rinvio pregiudiziale pone la Corte di giustizia nella scomoda situazione di dover assicurare il rispetto del primato del diritto dell’Unione, rischiando però di intromettersi in una questione - quella dei limiti di giurisdizione - tutta interna all’ordinamento italiano. Il presente lavoro propone una ricostruzione attenta e puntuale delle vicende pregresse al c.d. caso Randstad, per poi volgersi a un esame critico dell’ordinanza di rinvio della Corte di cassazione e delle conseguenze che questa potrebbe produrre dal punto di vista dell’Unione europea. L’occasione consente, infatti, di avanzare alcune considerazioni sulle difficoltà, ormai piuttosto frequenti, che il giudice di Lussemburgo incontra nell’assicurare la preminenza del diritto “comunitario” di fronte ad attori nazionali dotati, talvolta, di scarsa sensibilità per il coordinamento tra ordinamento interno e ordinamento dell’Unione.
Il rinvio pregiudiziale nel “caso Randstad”: riflessioni critiche sul fragile primato del diritto dell’Unione europea
Torresan Riccardo
;
2021
Abstract
Nell’ordinamento dell’Unione europea, il principio del primato del diritto “comunitario” è oggetto di una costante opera di ridefinizione, aggiustamento e adattamento al caso concreto, nell’ambito del fitto dialogo tra la Corte di giustizia e i giudici nazionali. L’ordinanza 2020/19598 della Corte di cassazione ha rappresentato un episodio dirompente di questo dialogo che, almeno in questa fattispecie, ha coinvolto tutti i massimi giudici del nostro ordinamento: la stessa Corte di cassazione, il Consiglio di Stato e la Corte Costituzionale. Tale ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia si pone come (temporaneo) punto d’arrivo di una lunga diatriba sui limiti del controllo giurisdizionale che la Corte di cassazione può legittimamente esercitare sulle pronunce del massimo giudice amministrativo, a norma dell’art. 111, ottavo comma, della Costituzione. Proprio nel cercare di espandere questi limiti, le Sezioni Unite hanno riferito ai giudici di Lussemburgo una complessa controversia in materia di appalti, il cui fulcro è rappresentato da una prassi (invalsa da lungo tempo e da altrettanto lungo tempo contestata) del Consiglio di Stato relativa all’ordine di esame dei ricorsi principale e incidentale. Siffatto rinvio pregiudiziale pone la Corte di giustizia nella scomoda situazione di dover assicurare il rispetto del primato del diritto dell’Unione, rischiando però di intromettersi in una questione - quella dei limiti di giurisdizione - tutta interna all’ordinamento italiano. Il presente lavoro propone una ricostruzione attenta e puntuale delle vicende pregresse al c.d. caso Randstad, per poi volgersi a un esame critico dell’ordinanza di rinvio della Corte di cassazione e delle conseguenze che questa potrebbe produrre dal punto di vista dell’Unione europea. L’occasione consente, infatti, di avanzare alcune considerazioni sulle difficoltà, ormai piuttosto frequenti, che il giudice di Lussemburgo incontra nell’assicurare la preminenza del diritto “comunitario” di fronte ad attori nazionali dotati, talvolta, di scarsa sensibilità per il coordinamento tra ordinamento interno e ordinamento dell’Unione.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.