La produzione agricola, nei secoli passati, è stata la prima e più importante forma per soddisfare i bisogni alimentari ed è stata anche quella più esposta alle richieste fiscali. La ricchezza agricola aveva infatti caratteristiche significative per la tassazione prima di tutto perché si trattava – e si tratta – della ricchezza più visibile insieme a quella immobiliare. Inoltre, i presupposti d’imposta collegati a tali attività sono stimabili in modo abbastanza preciso in base al rendimento dei terreni su cui la produzione si svolge, e sono anche oggi – almeno per una parte del comparto agricolo – tendenzialmente stabili nel tempo. La tassazione catastale, tuttora prevista per l’agricoltura, si è però sviluppata in periodi di crisi del settore agricolo, frammentato in piccole attività, gestite direttamente dal titolare e bisognevoli di sostegno. Le determinazioni catastali risentono di questo contesto; e per di più – come accade un po’ per tutte le forfettizzazioni – sono determinazioni tarate già in partenza al ribasso. I regimi catastali si sono inoltre progressivamente estesi, sia nel senso dell’allargamento delle attività agricole – ormai sviluppate e tecnologiche (attività intensive, attività connesse al ciclo biologico) – sia sotto il profilo soggettivo. In particolare, l’estensione dei criteri di tassazione catastale anche alle società agricole, di persone e di capitali (effettuata dalla manovra Finanziaria 2007 e precisata con regolamento del settembre 2007), ha fatto sì che le determinazioni catastali siano ormai istituti applicabili di fatto a tutte le aziende del settore, indipendentemente dalle dimensioni. Siamo così di fronte a situazioni in cui la determinazione della ricchezza, con tutte le variabili di precisione, semplicità, cautela fiscale ecc., viene effettuata in modo da essere implicitamente agevolativa man mano che il ciclo di formazione e consumo della ricchezza non è più solo quello dell’agricoltore in direzione del privato consumatore finale. In questi casi, l’esigenza di semplificazione e di sostegno a situazioni marginali perde progressivamente i suoi riferimenti naturali, considerando sia la crescita dimensionale delle aziende del comparto, e del numero dei loro addetti, sia la capacità produttiva di beni e servizi che caratterizza ormai una significativa parte di esse. Ecco perché una parte del capi- tolo è naturalmente dedicata ai criteri di tassazione dell’attività agricola e delle attività connesse; ma un’ampia sezione tocca aspetti strutturali della tassazione che qui emergono in tutta la loro rilevanza. Con i sistemi catastali dell’impresa agraria inseriti all’interno della tassazione analitica delle imprese si crea infatti una zona franca nella tassazione a costi e ricavi. Il comparto agricolo – dove le imposte sui redditi sono applicate su una base imponibile ridotta o addirittura sono state escluse per legge – trasmette, secondo le regole generali, costi deducibili in via analitica a società “non agricole”, come quelle alimentari o della grande distribuzione. Il capitolo evidenzia e si interroga sui temi di fondo che si aprono quando in un sistema fiscale sono compresenti regimi analitici e forfettari, determinando “asimmetrie” tra contribuenti che deducono analiticamente costi, con imposte applicate ad aliquo- ta piena, e contribuenti che dichiarano ricavi, assorbiti dalla determinazione forfettaria. Possibilità analoghe, dovute sempre alle asimmetrie tra regimi fiscali, si generano anche nell’imposta sul valore aggiunto, dove è consentito determinare l’imposta secondo criteri particolari, con forti elementi di forfetizzazione. Questo sistema consente di trasmettere IVA detraibile ad aliquote ordinarie alle strutture acquirenti dei prodotti agricoli che sono sempre più spesso imprese di trasformazione ali- mentare, della grande distribuzione, grossisti o strutture consortili tra produttori agricoli. La parte finale del capitolo contiene anche una riflessione più generale sulla tassazione dei settori d’impresa. La tassazione catastale in agricoltura è qui un modello applicato anche a imprese di “grandi” dimensioni, capitalistiche. Prevale insomma l’affinità merceologica rispetto a quella “orga- nizzativo-dimensionale”, che sarebbe sicuramente più significativa e precisa ai fini della individuazio- ne dei presupposti di un tributo sul reddito.

La tassazione della produzione agricola: aspetti strutturali (di Francesco Crovato)

francesco crovato
2021

Abstract

La produzione agricola, nei secoli passati, è stata la prima e più importante forma per soddisfare i bisogni alimentari ed è stata anche quella più esposta alle richieste fiscali. La ricchezza agricola aveva infatti caratteristiche significative per la tassazione prima di tutto perché si trattava – e si tratta – della ricchezza più visibile insieme a quella immobiliare. Inoltre, i presupposti d’imposta collegati a tali attività sono stimabili in modo abbastanza preciso in base al rendimento dei terreni su cui la produzione si svolge, e sono anche oggi – almeno per una parte del comparto agricolo – tendenzialmente stabili nel tempo. La tassazione catastale, tuttora prevista per l’agricoltura, si è però sviluppata in periodi di crisi del settore agricolo, frammentato in piccole attività, gestite direttamente dal titolare e bisognevoli di sostegno. Le determinazioni catastali risentono di questo contesto; e per di più – come accade un po’ per tutte le forfettizzazioni – sono determinazioni tarate già in partenza al ribasso. I regimi catastali si sono inoltre progressivamente estesi, sia nel senso dell’allargamento delle attività agricole – ormai sviluppate e tecnologiche (attività intensive, attività connesse al ciclo biologico) – sia sotto il profilo soggettivo. In particolare, l’estensione dei criteri di tassazione catastale anche alle società agricole, di persone e di capitali (effettuata dalla manovra Finanziaria 2007 e precisata con regolamento del settembre 2007), ha fatto sì che le determinazioni catastali siano ormai istituti applicabili di fatto a tutte le aziende del settore, indipendentemente dalle dimensioni. Siamo così di fronte a situazioni in cui la determinazione della ricchezza, con tutte le variabili di precisione, semplicità, cautela fiscale ecc., viene effettuata in modo da essere implicitamente agevolativa man mano che il ciclo di formazione e consumo della ricchezza non è più solo quello dell’agricoltore in direzione del privato consumatore finale. In questi casi, l’esigenza di semplificazione e di sostegno a situazioni marginali perde progressivamente i suoi riferimenti naturali, considerando sia la crescita dimensionale delle aziende del comparto, e del numero dei loro addetti, sia la capacità produttiva di beni e servizi che caratterizza ormai una significativa parte di esse. Ecco perché una parte del capi- tolo è naturalmente dedicata ai criteri di tassazione dell’attività agricola e delle attività connesse; ma un’ampia sezione tocca aspetti strutturali della tassazione che qui emergono in tutta la loro rilevanza. Con i sistemi catastali dell’impresa agraria inseriti all’interno della tassazione analitica delle imprese si crea infatti una zona franca nella tassazione a costi e ricavi. Il comparto agricolo – dove le imposte sui redditi sono applicate su una base imponibile ridotta o addirittura sono state escluse per legge – trasmette, secondo le regole generali, costi deducibili in via analitica a società “non agricole”, come quelle alimentari o della grande distribuzione. Il capitolo evidenzia e si interroga sui temi di fondo che si aprono quando in un sistema fiscale sono compresenti regimi analitici e forfettari, determinando “asimmetrie” tra contribuenti che deducono analiticamente costi, con imposte applicate ad aliquo- ta piena, e contribuenti che dichiarano ricavi, assorbiti dalla determinazione forfettaria. Possibilità analoghe, dovute sempre alle asimmetrie tra regimi fiscali, si generano anche nell’imposta sul valore aggiunto, dove è consentito determinare l’imposta secondo criteri particolari, con forti elementi di forfetizzazione. Questo sistema consente di trasmettere IVA detraibile ad aliquote ordinarie alle strutture acquirenti dei prodotti agricoli che sono sempre più spesso imprese di trasformazione ali- mentare, della grande distribuzione, grossisti o strutture consortili tra produttori agricoli. La parte finale del capitolo contiene anche una riflessione più generale sulla tassazione dei settori d’impresa. La tassazione catastale in agricoltura è qui un modello applicato anche a imprese di “grandi” dimensioni, capitalistiche. Prevale insomma l’affinità merceologica rispetto a quella “orga- nizzativo-dimensionale”, che sarebbe sicuramente più significativa e precisa ai fini della individuazio- ne dei presupposti di un tributo sul reddito.
2021
9788891649966
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/2502029
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