Il tema dei diritti riproduttivi e delle tecnologie poste al loro servizio – che di fatto declinano nuove forme di genitorialità e modelli famigliari alternativi – costituiscono un significativo esempio di un possibile modo di cogliere l’ethos ebraico; ovvero, come le profonde trasformazioni sociali e culturali imposte dalla modernità e dalle politiche di assimilazione con le civiltà occidentali, si possano coniugare con strategie di sopravvivenza e di conservazione di un’identità ebraica diversa da quella ‘esilica’ e, per certi versi, rivoluzionaria, antica e moderna ad un tempo, comunque non in pace con i valori tradizionali del giudaismo. Ci si trova infatti innanzi alla concezione, fondamentale e vincolante per la cultura ed il diritto ebraici, di una fecondità intensamente raccomandata: la famiglia eteronoma, vissuta come ideale, allietata dai figli, non solo da parte dell’ebreo ortodosso, ma pure da quello secolare; da realizzarsi con ogni mezzo, anche straordinario e – come era agli inizi – anche illegale. Si pensi altresì alla procreazione, avvertita sempre quale positivo segno di prosperità; da qui, dunque, il netto rifiuto nel codice culturale ebraico – religioso, ma ora in larga misura anche secolare – di ogni forma di sterilità. Quale, dunque, la posizione dello Stato israeliano di fronte a questo rigoroso dettato, vissuto, sin dalle origini, nel diritto ebraico? La politica demografica attuale di Israele, che pure conosce il problema della relazione, della contiguità anzi, tra genitorialità e filiazione, ha finito col dare ampio rilievo alle moderne tecniche riproduttive: si potrebbe addirittura quasi parlare di un ricorso etico dello Stato alla biotecnologia procreativa. Ma proprio per l’orientamento aperto alla procreazione in qualunque modo, occorre porsi anche l’interrogativo di fondo se la genitorialità e la filiazione acquisite così, siano ancora compatibili con la dignità di ciascuna persona, rigorosamente pretesa dalle Leggi fondamentali di Israele per una sicura qualificazione democratica dello Stato. Per risalire anche ed interrogarsi sull’idea meta-costituzionale del dover essere lo Stato, sin dalla sua fondazione, insieme “democratico” ed “ebraico”. Per poi concludere – e provare a dimostrare – che Israele, che si vorrebbe conformato alle migliori democrazie occidentali, sia in realtà sempre stato chiamato, in una sorta di teologia politica   , a far fronte alla tormentata storia del passato e a quella del presente, a riguardo delle sofferenze avvertite sia dal rigoroso pensiero ortodosso, che dalla predominante cultura secolarizzata. Per finire appunto, grazie anche alla giurisprudenza evolutiva della propria Corte Suprema, sempre rispettosa dell’autonomia della Knesset, a riconoscere il diritto, di natura fondamentale, della donna alla propria autodeterminazione riproduttiva. Si è pertanto potuto concludere che la Embryo Carring Agreements Law, approvata democraticamente dal Parlamento israeliano, grazie ai molti accomodamenti – quasi ultimo suo risultato, specie per il costante controllo richiesto della Commissione statale – continui ad incarnare in larga parte, motivatamente, la natura ebraica dello Stato di Israele. Se, dunque, dal punto di vista ‘costituzionale’ la duplicità del suo essere ebreo e democratico appaia concettualmente irrisolta, nella prassi, una volta ancora, ci si è sforzati di mediare, trovando una risposta percorribile e adeguata.  Si può quindi concludere che, almeno quanto ai temi trattati, Medinat Israel si qualifica realmente come, insieme, ‘democratico’ ed ‘ebreo’: la Embryo Carring Agreements Law e la Egg Donation Law sembrano infatti essere riuscite ad interpretare e armonizzare adeguatamente nella legislazione israeliana, sia il diritto ebraico che la prevalente cultura secular.

Procreazione e biotecnologie nel pensiero ebraico e nel sistema giuridico israeliano

Enrica Martinelli
2023

Abstract

Il tema dei diritti riproduttivi e delle tecnologie poste al loro servizio – che di fatto declinano nuove forme di genitorialità e modelli famigliari alternativi – costituiscono un significativo esempio di un possibile modo di cogliere l’ethos ebraico; ovvero, come le profonde trasformazioni sociali e culturali imposte dalla modernità e dalle politiche di assimilazione con le civiltà occidentali, si possano coniugare con strategie di sopravvivenza e di conservazione di un’identità ebraica diversa da quella ‘esilica’ e, per certi versi, rivoluzionaria, antica e moderna ad un tempo, comunque non in pace con i valori tradizionali del giudaismo. Ci si trova infatti innanzi alla concezione, fondamentale e vincolante per la cultura ed il diritto ebraici, di una fecondità intensamente raccomandata: la famiglia eteronoma, vissuta come ideale, allietata dai figli, non solo da parte dell’ebreo ortodosso, ma pure da quello secolare; da realizzarsi con ogni mezzo, anche straordinario e – come era agli inizi – anche illegale. Si pensi altresì alla procreazione, avvertita sempre quale positivo segno di prosperità; da qui, dunque, il netto rifiuto nel codice culturale ebraico – religioso, ma ora in larga misura anche secolare – di ogni forma di sterilità. Quale, dunque, la posizione dello Stato israeliano di fronte a questo rigoroso dettato, vissuto, sin dalle origini, nel diritto ebraico? La politica demografica attuale di Israele, che pure conosce il problema della relazione, della contiguità anzi, tra genitorialità e filiazione, ha finito col dare ampio rilievo alle moderne tecniche riproduttive: si potrebbe addirittura quasi parlare di un ricorso etico dello Stato alla biotecnologia procreativa. Ma proprio per l’orientamento aperto alla procreazione in qualunque modo, occorre porsi anche l’interrogativo di fondo se la genitorialità e la filiazione acquisite così, siano ancora compatibili con la dignità di ciascuna persona, rigorosamente pretesa dalle Leggi fondamentali di Israele per una sicura qualificazione democratica dello Stato. Per risalire anche ed interrogarsi sull’idea meta-costituzionale del dover essere lo Stato, sin dalla sua fondazione, insieme “democratico” ed “ebraico”. Per poi concludere – e provare a dimostrare – che Israele, che si vorrebbe conformato alle migliori democrazie occidentali, sia in realtà sempre stato chiamato, in una sorta di teologia politica   , a far fronte alla tormentata storia del passato e a quella del presente, a riguardo delle sofferenze avvertite sia dal rigoroso pensiero ortodosso, che dalla predominante cultura secolarizzata. Per finire appunto, grazie anche alla giurisprudenza evolutiva della propria Corte Suprema, sempre rispettosa dell’autonomia della Knesset, a riconoscere il diritto, di natura fondamentale, della donna alla propria autodeterminazione riproduttiva. Si è pertanto potuto concludere che la Embryo Carring Agreements Law, approvata democraticamente dal Parlamento israeliano, grazie ai molti accomodamenti – quasi ultimo suo risultato, specie per il costante controllo richiesto della Commissione statale – continui ad incarnare in larga parte, motivatamente, la natura ebraica dello Stato di Israele. Se, dunque, dal punto di vista ‘costituzionale’ la duplicità del suo essere ebreo e democratico appaia concettualmente irrisolta, nella prassi, una volta ancora, ci si è sforzati di mediare, trovando una risposta percorribile e adeguata.  Si può quindi concludere che, almeno quanto ai temi trattati, Medinat Israel si qualifica realmente come, insieme, ‘democratico’ ed ‘ebreo’: la Embryo Carring Agreements Law e la Egg Donation Law sembrano infatti essere riuscite ad interpretare e armonizzare adeguatamente nella legislazione israeliana, sia il diritto ebraico che la prevalente cultura secular.
2023
9791221100044
Procreazione, Biotecnologie riproduttive, Maternità surrogata, Halakhah, Diritto ebraico, Legislazione israeliana
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