I primi anni venti del nuovo secolo ci hanno posto di fronte a dolorosi problemi a cui siamo completamente impreparati. Il peggioramento pandemico è solo l’apice delle crisi che si sono succedute da inizio secolo, da quella economica, a quella sociale e ambientale. Anche la transizione dall’analogico al digitale sta sovvertendo un ordine che si era precostituito a partire dal moderno. La concezione moderna di ordine e controllo è definitivamente sconfitta, così come la visione antropocentrica dell’uomo come dominatore della Terra e del proprio destino. Dobbiamo prendere atto che l’idea del recupero totale della salute e dell’immunità va sostituita. La città, che è la massima espressione del vivere dell’uomo è pertanto sofferente. La visione con cui è stata progettata negli ultimi due secoli è conseguenza della visione neo-liberista in cui l’uomo è considerato una specie eletta. Il dominio dell’uomo sulla terra si è espresso realizzando città, soprattutto dal moderno in poi, in cui la coesione sociale, il rispetto per l’ambiente e la natura e il riconoscimento dell’alterità non sono più presenti. Abbiamo costruito frammenti di città oggettuale in cui regna l’autoreferenzialità e la divisione fra persone (funzionale, sociale ed economica). Siamo passati da una torre di Babele a torri Babybel. (Poitevin, 2021) La pandemia ha decretato il punto di non ritorno. Dobbiamo assolutamente mutare la visione che abbiamo sul mondo e sulla città e renderci partecipi di un nuovo sistema di relazioni transdisciplinari che, con responsabilità, trasformino il cambiamento climatico, le diversità sociali e l’attuale frammentazione dello spazio urbano, in risorsa. Ciò è possibile attuando un cambio di paradigma in cui l’uomo attivi una complessa relazione metabolica con tutte le forme presenti sulla terra inserendo un più umile concetto di cura che sostituisce quello determinista di immunità. La questione riguarda quindi come mutare l’approccio alla cura della città e porci la domanda non più nei termini “Cosa fare di nuovo?”, ma “Cosa fare con quello che esiste?”. Questo ci conduce a proporre una nuova ʽtraduzioneʼ del patrimonio di spazi e relazioni della città e delle sue architetture, con un approccio strategico legato al recupero, alla manipolazione e rimessa in scena di spazi di “scarto”.

I DOLOROSI ANNI VENTI

alessandro gaiani
2022

Abstract

I primi anni venti del nuovo secolo ci hanno posto di fronte a dolorosi problemi a cui siamo completamente impreparati. Il peggioramento pandemico è solo l’apice delle crisi che si sono succedute da inizio secolo, da quella economica, a quella sociale e ambientale. Anche la transizione dall’analogico al digitale sta sovvertendo un ordine che si era precostituito a partire dal moderno. La concezione moderna di ordine e controllo è definitivamente sconfitta, così come la visione antropocentrica dell’uomo come dominatore della Terra e del proprio destino. Dobbiamo prendere atto che l’idea del recupero totale della salute e dell’immunità va sostituita. La città, che è la massima espressione del vivere dell’uomo è pertanto sofferente. La visione con cui è stata progettata negli ultimi due secoli è conseguenza della visione neo-liberista in cui l’uomo è considerato una specie eletta. Il dominio dell’uomo sulla terra si è espresso realizzando città, soprattutto dal moderno in poi, in cui la coesione sociale, il rispetto per l’ambiente e la natura e il riconoscimento dell’alterità non sono più presenti. Abbiamo costruito frammenti di città oggettuale in cui regna l’autoreferenzialità e la divisione fra persone (funzionale, sociale ed economica). Siamo passati da una torre di Babele a torri Babybel. (Poitevin, 2021) La pandemia ha decretato il punto di non ritorno. Dobbiamo assolutamente mutare la visione che abbiamo sul mondo e sulla città e renderci partecipi di un nuovo sistema di relazioni transdisciplinari che, con responsabilità, trasformino il cambiamento climatico, le diversità sociali e l’attuale frammentazione dello spazio urbano, in risorsa. Ciò è possibile attuando un cambio di paradigma in cui l’uomo attivi una complessa relazione metabolica con tutte le forme presenti sulla terra inserendo un più umile concetto di cura che sostituisce quello determinista di immunità. La questione riguarda quindi come mutare l’approccio alla cura della città e porci la domanda non più nei termini “Cosa fare di nuovo?”, ma “Cosa fare con quello che esiste?”. Questo ci conduce a proporre una nuova ʽtraduzioneʼ del patrimonio di spazi e relazioni della città e delle sue architetture, con un approccio strategico legato al recupero, alla manipolazione e rimessa in scena di spazi di “scarto”.
2022
9788846763822
Sovrascrittura sintagmatica, complessità, strumenti adattivi, ricondizionamento, cura della città, margine, interstizio
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