Dopo anni di una lunga familiarità con la ricerca, in particolar modo in quell’ambito centrale, crocevia di molteplici interessi, che è la psicologia clinica dello sviluppo a orientamento sociale, Paola Bastianoni ci consegna un libro dal forte impatto evocativo e dalla scrittura poetica, come in un romanzo, narrando di storie di vita vissuta di bambini violati, abbandonati, senza famiglia. Il volume fa parte di una collana su tutela, diritti e protezione dei minori, da lei stessa diretta. Il punto di partenza non può che essere quello delle comunità per minori, campo con cui l’Autrice ha ormai una più che trentennale attività di frequentazione, nell’ottica del paradigma dei fattori di rischio e di protezione e del costrutto di resilienza, quale capacità di resistere a traumi di violenta portata. Il volume è concepito come una serie di storie, narrate ora in prima, ora in terza persona, di minori, bambini e adolescenti, che recano con sé peculiari caratteri di dolore specifico. Il libro si caratterizza anche per una forma di linguaggio iconico tutta particolare: alle pagine di ogni storia si associano i disegni, particolarmente curati, di Anna Ferrandes, e la sperimentazione di una veste narrativa originale, con poesie, parole in grassetto, a caratteri cubitali, per obliquo e in modo altro ancora. Il filo conduttore che lega le diverse storie raccontate è a mio modo di vedere quello della sofferenza sociale. Non già il dolore psichico della patologia nevrotica o psicotica, ma quella forma di sofferenza altrettanto grande, se non maggiore, che chiama in causa la deprivazione per via di condizioni sociali insostenibili. Sono storie di bambini e adolescenti che sentono di «andare in pezzi» (p. 30), «avvinghiati a un dolore senza tregua» (p. 35), «con il sorriso dei piccoli dei Primati che si arrendono al più forte chiedendo venia per atti mai commessi» (p. 39), o di chi sorride «per quelle scuse che nessuno gli ha mai fatto» (p. 49). È qui presente in modo chiaro il tema dei diritti e dell’ingiustizia di quei minori che reclamano un posto in cui i propri bisogni siano accolti, a cominciare dal diritto a una presa in carico, con o senza il contenitore di una famiglia nucleare. Nella prima parte del libro la narrazione inizia da alcune storie di minori in comunità. “Una regina come madre”, titolo della storia che dà il nome al volume, è quello emblematico di una figlia che concepisce la propria madre come irraggiungibile, a fronte del diritto negato di avere un genitore che si prenda cura di lei. Così «la famiglia anelata è diventata simbolicamente quella comunità che è riuscita ad accoglierle entrambe…rivelandosi un porto sicuro, un luogo stabile, affidabile e non giudicante anche per la mamma, un punto di riferimento discreto ma presente per ogni loro bisogno» (p. 41). Un’altra storia qui menzionata è quella di una bambina che non si stanca di volere una madre vera, una madre che si faccia carico dei suoi bisogni, a fronte di una madre naturale che ella non percepisce in grado di accudirla, ma alla quale rimarrà consegnata, per questioni connesse alla complessa regolamentazione degli affidi. Emerge il tema della rivendicazione attiva del bisogno, con il quale il minore danneggiato affronta la propria condizione di sofferenza; una posizione propria di un percorso resiliente. Nella seconda parte del volume si trova una nucleo di affreschi di storie emblematiche di minori rifiutati, danneggiati e ancora umiliati e offesi. È il caso di Michael, un ragazzino di colore adottato in Italia, che sembra venire accettato dai coetanei e dagli adulti a lui più prossimi solo per giocare bene a Basket, per eccellere in uno sport, come vuole lo stereotipo del ragazzo dalla pelle scura, altrimenti umiliato e marginalizzato. È il caso di una bambina del Benin che lavora indefessa spaccando pietre, per la cui madre «i sogni sono pericolosi, mentre io ho sempre pensato che sognare non costi nulla e a volte possa servire ad alleviare la fatica» (p. 60); oppure è la sorte di quell’adolescente dall’identità sessuale negata, che reclama un riconoscimento per una individuazione considerata inaccettabile, e di altri racconti ancora di minori dall’esistenza sventurata. Nell’ultima parte del volume c’è spazio per dare forma, in veste romanzata, a storie che si riallacciano a fatti di cronaca troppo spesso dimenticati. Sono i bambini e i ragazzi di Bucarest, che vivono nelle fogne, perché, con le parole immaginate di uno di loro, «non c’è mai stato nessuno per me. Non c’è nessuno nelle fogne: solo noi e i topi» (p. 83). Oppure è la vicenda di quel ragazzino morto nella stiva di un aereo, mentre fuggiva da una realtà sociale invivibile in Costa d’Avorio, di cui «non sappiamo il suo nome. È morto senza il calore di un abbraccio, senza qualcuno che gli tenesse la mano. È morto al freddo e al buio. Forse saremo ancora una volta capaci di far finta di niente, ma la sua morte grava sulle nostre coscienze come un macigno» (p. 85). Sembra opportuno ribadire che almeno due sono i caratteri per i quali in modo peculiare si segnala questo bellissimo libro di Paola Bastianoni: la veste originale con cui è pensato e impostato, come un testo di narrativa o una raccolta di poesie, e allo stesso tempo la capacità di esplorare problematiche psicologiche in un modo che impone rispetto e riflessione clinica, mentre sono state troppo spesso negate, passate sotto silenzio e misconosciute.

Una regina come madre

Paola Bastianoni
2021

Abstract

Dopo anni di una lunga familiarità con la ricerca, in particolar modo in quell’ambito centrale, crocevia di molteplici interessi, che è la psicologia clinica dello sviluppo a orientamento sociale, Paola Bastianoni ci consegna un libro dal forte impatto evocativo e dalla scrittura poetica, come in un romanzo, narrando di storie di vita vissuta di bambini violati, abbandonati, senza famiglia. Il volume fa parte di una collana su tutela, diritti e protezione dei minori, da lei stessa diretta. Il punto di partenza non può che essere quello delle comunità per minori, campo con cui l’Autrice ha ormai una più che trentennale attività di frequentazione, nell’ottica del paradigma dei fattori di rischio e di protezione e del costrutto di resilienza, quale capacità di resistere a traumi di violenta portata. Il volume è concepito come una serie di storie, narrate ora in prima, ora in terza persona, di minori, bambini e adolescenti, che recano con sé peculiari caratteri di dolore specifico. Il libro si caratterizza anche per una forma di linguaggio iconico tutta particolare: alle pagine di ogni storia si associano i disegni, particolarmente curati, di Anna Ferrandes, e la sperimentazione di una veste narrativa originale, con poesie, parole in grassetto, a caratteri cubitali, per obliquo e in modo altro ancora. Il filo conduttore che lega le diverse storie raccontate è a mio modo di vedere quello della sofferenza sociale. Non già il dolore psichico della patologia nevrotica o psicotica, ma quella forma di sofferenza altrettanto grande, se non maggiore, che chiama in causa la deprivazione per via di condizioni sociali insostenibili. Sono storie di bambini e adolescenti che sentono di «andare in pezzi» (p. 30), «avvinghiati a un dolore senza tregua» (p. 35), «con il sorriso dei piccoli dei Primati che si arrendono al più forte chiedendo venia per atti mai commessi» (p. 39), o di chi sorride «per quelle scuse che nessuno gli ha mai fatto» (p. 49). È qui presente in modo chiaro il tema dei diritti e dell’ingiustizia di quei minori che reclamano un posto in cui i propri bisogni siano accolti, a cominciare dal diritto a una presa in carico, con o senza il contenitore di una famiglia nucleare. Nella prima parte del libro la narrazione inizia da alcune storie di minori in comunità. “Una regina come madre”, titolo della storia che dà il nome al volume, è quello emblematico di una figlia che concepisce la propria madre come irraggiungibile, a fronte del diritto negato di avere un genitore che si prenda cura di lei. Così «la famiglia anelata è diventata simbolicamente quella comunità che è riuscita ad accoglierle entrambe…rivelandosi un porto sicuro, un luogo stabile, affidabile e non giudicante anche per la mamma, un punto di riferimento discreto ma presente per ogni loro bisogno» (p. 41). Un’altra storia qui menzionata è quella di una bambina che non si stanca di volere una madre vera, una madre che si faccia carico dei suoi bisogni, a fronte di una madre naturale che ella non percepisce in grado di accudirla, ma alla quale rimarrà consegnata, per questioni connesse alla complessa regolamentazione degli affidi. Emerge il tema della rivendicazione attiva del bisogno, con il quale il minore danneggiato affronta la propria condizione di sofferenza; una posizione propria di un percorso resiliente. Nella seconda parte del volume si trova una nucleo di affreschi di storie emblematiche di minori rifiutati, danneggiati e ancora umiliati e offesi. È il caso di Michael, un ragazzino di colore adottato in Italia, che sembra venire accettato dai coetanei e dagli adulti a lui più prossimi solo per giocare bene a Basket, per eccellere in uno sport, come vuole lo stereotipo del ragazzo dalla pelle scura, altrimenti umiliato e marginalizzato. È il caso di una bambina del Benin che lavora indefessa spaccando pietre, per la cui madre «i sogni sono pericolosi, mentre io ho sempre pensato che sognare non costi nulla e a volte possa servire ad alleviare la fatica» (p. 60); oppure è la sorte di quell’adolescente dall’identità sessuale negata, che reclama un riconoscimento per una individuazione considerata inaccettabile, e di altri racconti ancora di minori dall’esistenza sventurata. Nell’ultima parte del volume c’è spazio per dare forma, in veste romanzata, a storie che si riallacciano a fatti di cronaca troppo spesso dimenticati. Sono i bambini e i ragazzi di Bucarest, che vivono nelle fogne, perché, con le parole immaginate di uno di loro, «non c’è mai stato nessuno per me. Non c’è nessuno nelle fogne: solo noi e i topi» (p. 83). Oppure è la vicenda di quel ragazzino morto nella stiva di un aereo, mentre fuggiva da una realtà sociale invivibile in Costa d’Avorio, di cui «non sappiamo il suo nome. È morto senza il calore di un abbraccio, senza qualcuno che gli tenesse la mano. È morto al freddo e al buio. Forse saremo ancora una volta capaci di far finta di niente, ma la sua morte grava sulle nostre coscienze come un macigno» (p. 85). Sembra opportuno ribadire che almeno due sono i caratteri per i quali in modo peculiare si segnala questo bellissimo libro di Paola Bastianoni: la veste originale con cui è pensato e impostato, come un testo di narrativa o una raccolta di poesie, e allo stesso tempo la capacità di esplorare problematiche psicologiche in un modo che impone rispetto e riflessione clinica, mentre sono state troppo spesso negate, passate sotto silenzio e misconosciute.
2021
978-88-8434-904-0
Formazione, disagio relazionale, educazione degli adulti, innovazione
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/2492836
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