Oggi parliamo di transizione ecologica grazie a una pandemia che ha messo in ginocchio l’economia del mondo e ha sollecitato una risposta degli stati, con misure economicamente rile- vanti. In realtà, i segnali e gli avvertimenti di una crisi ambientale climatica e sanitaria in divenire erano stati segnalati diversi decenni fa da numerose ricerche scientifiche. Le riflessioni che seguiranno sono state oggetto, in questi due anni, di articoli1 e webinar2 con colleghi di diverse parti del mondo, riprese e aggiornate in questo testo. Prima di addentrarmi in questo racconto intrecciato è opportuno però se- gnalare alcuni punti importanti per il ragionamento che segue e che riguardano le città e il loro futuro, le disuguaglianze, e il rapporto emergenza/resilienza. La storia delle città – e quindi di una grande parte dell’umanità – la potremmo raccontare attraverso il susseguirsi delle pandemie generate dalle rotte degli uomini. Le pandemie sono citate dagli storici come tra i rischi più forti per l’umanità, in particolare oggi che il pianeta è abitato da quasi otto miliardi di persone. La deforestazione massiccia della terra facilita certamente il rischio di zoonosi e costituisce uno degli indicatori più evidenti dell’attuale crisi ambientale. Potremmo azzardare l’ipotesi che la crisi del rapporto tra l’uomo e l’ambiente inizi circa diecimila anni fa, con la rivoluzione agricola; ma allora eravamo pochi, così come per i secoli a venire – perlomeno fino alla rivoluzione industriale. Oggi le grandi riserve naturali del pianeta lasciano sempre più il posto all’urbanizzazione, all’agricoltura intensiva, alla ricerca di combustibili fossili. Viste le particolari condizioni ambientali della terra, potremmo dire che il Covid-19 è una pandemia annunciata. Gli ecologi, dal canto loro, hanno evidenziato come alcune delle regioni più urbanizzate del pianeta e con il più alto tas- so di inquinamento dell’aria (tra queste la pianura padana), siano state tra le più colpite nel mondo dalla pandemia. Dalle molte e forse troppe riflessioni che si leggono sul web o sulla stampa sembra emerge- re – a proposito di sostenibilità o circolarità e anche di approccio alla gestione della pandemia – un ap- proccio più prestazionale che strutturale. È naturale che le prestazioni siano importanti per misurare il fenomeno e il suo radicamento, ma sembrano essere meno rilevanti le riflessioni ontologiche – inerenti l’essenza del fenomeno e la sua dimensione globale – come ad esempio il modello di sviluppo auspicato, le pratiche di cooperazione e di contrasto alla povertà, il come contrastare l’urbanizzazione del pianeta salvaguardando le risorse naturali. Già nel 1977 Barry Commoner sollecitava a chiudere il cerchio3, per- ché nel rapporto tra l’uomo e l’ecosfera l’andamento da circolare è diventato lineare: si estrae il carbone e poi il petrolio, li si trasforma in vapore e carburanti che vengono utilizzati in vari modi: nelle fabbriche, nelle case, nei battelli e nelle locomotive, infine nella auto generando fumi e smog. Ma le politiche sono andate (e continuano ad andare) in altre direzioni. Riferendosi alle numerose letture di questi mesi e agli aspetti approfonditi da numerosi ricercatori, credo che valga la pena riflettere sul rapporto tra città e pandemia riprendendo tre categorie. La prima riguarda lo spazio pubblico come chiave interpretati- va per parlare di città, mettendo l’accento sulle retoriche alimentate dai mezzi di informazione; le altre categorie riguardano aspetti di cui si parla poco, ovvero le diseguaglianze e il rapporto tra emergenza, previsione e resilienza.

Tempi difficili. Città, disuguaglianze, emergenze e pandemie

Romeo Farinella
2022

Abstract

Oggi parliamo di transizione ecologica grazie a una pandemia che ha messo in ginocchio l’economia del mondo e ha sollecitato una risposta degli stati, con misure economicamente rile- vanti. In realtà, i segnali e gli avvertimenti di una crisi ambientale climatica e sanitaria in divenire erano stati segnalati diversi decenni fa da numerose ricerche scientifiche. Le riflessioni che seguiranno sono state oggetto, in questi due anni, di articoli1 e webinar2 con colleghi di diverse parti del mondo, riprese e aggiornate in questo testo. Prima di addentrarmi in questo racconto intrecciato è opportuno però se- gnalare alcuni punti importanti per il ragionamento che segue e che riguardano le città e il loro futuro, le disuguaglianze, e il rapporto emergenza/resilienza. La storia delle città – e quindi di una grande parte dell’umanità – la potremmo raccontare attraverso il susseguirsi delle pandemie generate dalle rotte degli uomini. Le pandemie sono citate dagli storici come tra i rischi più forti per l’umanità, in particolare oggi che il pianeta è abitato da quasi otto miliardi di persone. La deforestazione massiccia della terra facilita certamente il rischio di zoonosi e costituisce uno degli indicatori più evidenti dell’attuale crisi ambientale. Potremmo azzardare l’ipotesi che la crisi del rapporto tra l’uomo e l’ambiente inizi circa diecimila anni fa, con la rivoluzione agricola; ma allora eravamo pochi, così come per i secoli a venire – perlomeno fino alla rivoluzione industriale. Oggi le grandi riserve naturali del pianeta lasciano sempre più il posto all’urbanizzazione, all’agricoltura intensiva, alla ricerca di combustibili fossili. Viste le particolari condizioni ambientali della terra, potremmo dire che il Covid-19 è una pandemia annunciata. Gli ecologi, dal canto loro, hanno evidenziato come alcune delle regioni più urbanizzate del pianeta e con il più alto tas- so di inquinamento dell’aria (tra queste la pianura padana), siano state tra le più colpite nel mondo dalla pandemia. Dalle molte e forse troppe riflessioni che si leggono sul web o sulla stampa sembra emerge- re – a proposito di sostenibilità o circolarità e anche di approccio alla gestione della pandemia – un ap- proccio più prestazionale che strutturale. È naturale che le prestazioni siano importanti per misurare il fenomeno e il suo radicamento, ma sembrano essere meno rilevanti le riflessioni ontologiche – inerenti l’essenza del fenomeno e la sua dimensione globale – come ad esempio il modello di sviluppo auspicato, le pratiche di cooperazione e di contrasto alla povertà, il come contrastare l’urbanizzazione del pianeta salvaguardando le risorse naturali. Già nel 1977 Barry Commoner sollecitava a chiudere il cerchio3, per- ché nel rapporto tra l’uomo e l’ecosfera l’andamento da circolare è diventato lineare: si estrae il carbone e poi il petrolio, li si trasforma in vapore e carburanti che vengono utilizzati in vari modi: nelle fabbriche, nelle case, nei battelli e nelle locomotive, infine nella auto generando fumi e smog. Ma le politiche sono andate (e continuano ad andare) in altre direzioni. Riferendosi alle numerose letture di questi mesi e agli aspetti approfonditi da numerosi ricercatori, credo che valga la pena riflettere sul rapporto tra città e pandemia riprendendo tre categorie. La prima riguarda lo spazio pubblico come chiave interpretati- va per parlare di città, mettendo l’accento sulle retoriche alimentate dai mezzi di informazione; le altre categorie riguardano aspetti di cui si parla poco, ovvero le diseguaglianze e il rapporto tra emergenza, previsione e resilienza.
2022
9788831454124
Pandemia, crisi ambientale, rigenerazione urbana
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