Standard nel settore agroalimentare possono rinvenirsi in contesti assai diversi. In primo luogo, questi possono costituire l’oggetto di specifiche prescrizioni normative: si pensi, ad es., alle regole in materia di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti. Si è in tal caso in presenza di standard pubblici obbligatori, il cui rispetto assume natura cogente per gli operatori interessati da quelle che sono vere e proprie prescrizioni normative. Non tutti gli standard pubblici sono, però, obbligatori, dal momento che in alcuni casi il legislatore determina il quadro normativo lasciando però ad una libera scelta degli interessati quella di assoggettarsi o meno a tali standard. E’ questo il caso, ad es., delle certificazioni di qualità (agricoltura biologica, DOP, IGP, STG). Inoltre, sempre per rimanere nel settore agroalimentare, assai diffusi sono gli standard adottati da organismi od organizzazioni internazionali quali il Codex Alimentarius o l’Organizzazione mondiale della Sanità: in tali casi si è in presenza di provvedimenti di c.d. soft law, dal momento che essi non hanno natura cogente, essendo il loro recepimento - negli ordinamenti dei vari Stati o ad opera dei singoli interessati -lasciato ad una libera determinazione degli interessati. Nel lavoro ci si è occupati di standard ancora diversi, perché, appunto, di fonte privata e, così, privi di natura obbligatoria erga omnes. A dispetto della loro fonte e della loro natura essi, tuttavia, da tempo hanno assunto un ruolo di grande rilievo nelle transazioni commerciali dei prodotti agroalimentari venendo molto spesso inseriti (meglio: imposti dal contraente più forte, usualmente l’operatore della GDO) nel contenuto di contratti conclusi tra operatori della filiera agroalimentare, al punto da potersi considerare quale “fonte” , seppur indiretta, di diritto, e ciò sia essenzialmente luce della loro diffusione e della necessità, sostanziale, di adeguamento agli stessi per poter operare sul mercato, come meglio viene a dirsi nei paragrafi che seguono. In questo quadro, l’angolo visuale con cui gli standard privati sono esaminati, è quello relativo alla possibile loro incidenza sul commercio internazionale di prodotti agroalimentari, posto che essi possono costituire ostacoli non tariffari al commercio internazionale, non essendo fondati su parametri di necessità scientifica al fine di tutelare la salute di esseri umani, animali o piante.
Gli standard privati
Luigi Russo
2021
Abstract
Standard nel settore agroalimentare possono rinvenirsi in contesti assai diversi. In primo luogo, questi possono costituire l’oggetto di specifiche prescrizioni normative: si pensi, ad es., alle regole in materia di sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti. Si è in tal caso in presenza di standard pubblici obbligatori, il cui rispetto assume natura cogente per gli operatori interessati da quelle che sono vere e proprie prescrizioni normative. Non tutti gli standard pubblici sono, però, obbligatori, dal momento che in alcuni casi il legislatore determina il quadro normativo lasciando però ad una libera scelta degli interessati quella di assoggettarsi o meno a tali standard. E’ questo il caso, ad es., delle certificazioni di qualità (agricoltura biologica, DOP, IGP, STG). Inoltre, sempre per rimanere nel settore agroalimentare, assai diffusi sono gli standard adottati da organismi od organizzazioni internazionali quali il Codex Alimentarius o l’Organizzazione mondiale della Sanità: in tali casi si è in presenza di provvedimenti di c.d. soft law, dal momento che essi non hanno natura cogente, essendo il loro recepimento - negli ordinamenti dei vari Stati o ad opera dei singoli interessati -lasciato ad una libera determinazione degli interessati. Nel lavoro ci si è occupati di standard ancora diversi, perché, appunto, di fonte privata e, così, privi di natura obbligatoria erga omnes. A dispetto della loro fonte e della loro natura essi, tuttavia, da tempo hanno assunto un ruolo di grande rilievo nelle transazioni commerciali dei prodotti agroalimentari venendo molto spesso inseriti (meglio: imposti dal contraente più forte, usualmente l’operatore della GDO) nel contenuto di contratti conclusi tra operatori della filiera agroalimentare, al punto da potersi considerare quale “fonte” , seppur indiretta, di diritto, e ciò sia essenzialmente luce della loro diffusione e della necessità, sostanziale, di adeguamento agli stessi per poter operare sul mercato, come meglio viene a dirsi nei paragrafi che seguono. In questo quadro, l’angolo visuale con cui gli standard privati sono esaminati, è quello relativo alla possibile loro incidenza sul commercio internazionale di prodotti agroalimentari, posto che essi possono costituire ostacoli non tariffari al commercio internazionale, non essendo fondati su parametri di necessità scientifica al fine di tutelare la salute di esseri umani, animali o piante.File | Dimensione | Formato | |
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