Nella prospettiva di analisi adottata in questa sede, la capacità è doppiamente vulnerabile. Lo è, in primo luogo, in senso – per così dire – metonimico: più che di capacità vulnerabile, si tratterebbe in questo caso della capacità del soggetto vulnerabile, per due ragioni principali. In primo luogo, perché è stato ampiamente messo in luce come la CRPD accolga sul piano del diritto internazionale dei diritti umani il c.d. «paradigma della vulnerabilità», che ormai da qualche decennio ha assunto un rilievo primario nell’ambito filosofico, giuridico e politico. Invero, è principalmente la presenza della capacità legale universale a rivelare l’inidoneità del paradigma antropologico liberale a costituire il referente teorico della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (CRPD). Inoltre, si può parlare di capacità del soggetto vulnerabile per un secondo ordine di motivi: di norma, là dove si stabilisce il nesso tra capacità e vulnerabilità, il tema giuridicamente rilevante è quello della capacità del soggetto o gruppo (considerato) vulnerabile . Di nuovo, poiché le persone con disabilità costituiscono uno tra i gruppi (considerati) vulnerabili e la CRPD – che accoglie la capacità legale universale – è posta a tutela dei diritti umani delle persone con disabilità, allora la capacità universale di cui si discute finisce per essere in primo luogo quella dei soggetti vulnerabili. Scegliendo di mettere in relazione la vulnerabilità direttamente con la capacità, intendo però rimarcare un aspetto ulteriore di questo nesso. A ben vedere, infatti, è la capacità stessa a rivelarsi vulnerabile: in primo luogo, è tale in relazione al mancato riconoscimento sul piano teorico, funzionale al mantenimento o alla creazione di gerarchie tra individui . Inoltre, essa appare vulnerabile anche al misconoscimento che si produce in pratica, concretizzandosi sia sul piano fattuale – ad esempio, nell’influenza indebita (particolarmente rilevante nella relazione di supporto all’esercizio della capacità) – sia su quello giuridico-istituzionale (in primo luogo attraverso la presenza, all’interno dei singoli ordinamenti, di istituti aventi carattere paternalistico). Emerge così la natura composita della relazione tra capacità e vulnerabilità. L’espressione capacità vulnerabile rivela infatti un’attitudine inclusiva (nella prima accezione, legata al soggetto), che ne rende necessaria la tutela dalle molteplici forme esterne di «aggressione» (rese più evidenti nel secondo senso indicato). Tuttavia, la relazione tra capacità e vulnerabilità può essere anche di altro tipo: escludente anziché inclusiva. È quanto accade, in particolare, là dove la capacità sia funzionale al mantenimento delle gerarchie esistenti, limitando l’esercizio dei diritti di coloro che sono (considerati) vulnerabili. Ebbene, è proprio la complessità di tali relazioni a suggerire l’importanza di condurre una specifica riflessione sul tema.
La capacità vulnerabile
Maria Giulia Bernardini
2021
Abstract
Nella prospettiva di analisi adottata in questa sede, la capacità è doppiamente vulnerabile. Lo è, in primo luogo, in senso – per così dire – metonimico: più che di capacità vulnerabile, si tratterebbe in questo caso della capacità del soggetto vulnerabile, per due ragioni principali. In primo luogo, perché è stato ampiamente messo in luce come la CRPD accolga sul piano del diritto internazionale dei diritti umani il c.d. «paradigma della vulnerabilità», che ormai da qualche decennio ha assunto un rilievo primario nell’ambito filosofico, giuridico e politico. Invero, è principalmente la presenza della capacità legale universale a rivelare l’inidoneità del paradigma antropologico liberale a costituire il referente teorico della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità (CRPD). Inoltre, si può parlare di capacità del soggetto vulnerabile per un secondo ordine di motivi: di norma, là dove si stabilisce il nesso tra capacità e vulnerabilità, il tema giuridicamente rilevante è quello della capacità del soggetto o gruppo (considerato) vulnerabile . Di nuovo, poiché le persone con disabilità costituiscono uno tra i gruppi (considerati) vulnerabili e la CRPD – che accoglie la capacità legale universale – è posta a tutela dei diritti umani delle persone con disabilità, allora la capacità universale di cui si discute finisce per essere in primo luogo quella dei soggetti vulnerabili. Scegliendo di mettere in relazione la vulnerabilità direttamente con la capacità, intendo però rimarcare un aspetto ulteriore di questo nesso. A ben vedere, infatti, è la capacità stessa a rivelarsi vulnerabile: in primo luogo, è tale in relazione al mancato riconoscimento sul piano teorico, funzionale al mantenimento o alla creazione di gerarchie tra individui . Inoltre, essa appare vulnerabile anche al misconoscimento che si produce in pratica, concretizzandosi sia sul piano fattuale – ad esempio, nell’influenza indebita (particolarmente rilevante nella relazione di supporto all’esercizio della capacità) – sia su quello giuridico-istituzionale (in primo luogo attraverso la presenza, all’interno dei singoli ordinamenti, di istituti aventi carattere paternalistico). Emerge così la natura composita della relazione tra capacità e vulnerabilità. L’espressione capacità vulnerabile rivela infatti un’attitudine inclusiva (nella prima accezione, legata al soggetto), che ne rende necessaria la tutela dalle molteplici forme esterne di «aggressione» (rese più evidenti nel secondo senso indicato). Tuttavia, la relazione tra capacità e vulnerabilità può essere anche di altro tipo: escludente anziché inclusiva. È quanto accade, in particolare, là dove la capacità sia funzionale al mantenimento delle gerarchie esistenti, limitando l’esercizio dei diritti di coloro che sono (considerati) vulnerabili. Ebbene, è proprio la complessità di tali relazioni a suggerire l’importanza di condurre una specifica riflessione sul tema.File | Dimensione | Formato | |
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