«All’alba il paesaggio sconosciuto si svelò a poco a poco ai nostri occhi. La strada ci appariva come una serie di enormi imbuti pieni di lembi di uniformi, di armi e di morti; a perdita d’occhio il terreno circostante si presentava sconvolto dai grossi calibri. Non un filo d’erba. Il campo di battaglia arato a quel modo era spaventoso. I soldati morti giacevano in mezzo a quelli vivi […] i cadaveri ammucchiati a strati gli uni sugli altri. […]. Ora toccava a noi» (Ernst Jünger, 1920). A poco più di dieci anni dalla fine del conflitto, lo scenario di devastazione dei luoghi di battaglia del fronte occidentale appare quasi irriconoscibile, rigenerato dalla natura e dal lavoro degli uomini. Ma migliaia di cimiteri accolgono i corpi dei soldati caduti, cicatrici non occultabili delle ferite della prima “guerra dei materiali” dell’età contemporanea. La semplicità e l’uniformità delle sepolture dei soldati nel paesaggio – principi già contemplati nelle “linee-guida” definite in Germania durante il conflitto – conoscono una declinazione affatto particolare nell’attività della “Associazione popolare tedesca per la cura delle sepolture di guerra” (Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge), responsabile dalla metà degli anni Venti del secolo scorso della realizzazione dei cimiteri militari al di fuori della Germania. I cimiteri tedeschi sono sono progettati con “materiale naturale”, per creare “un pezzetto di suolo natio in terra straniera” (ein Stück Heimat in fremder Erde); sono semplici e austeri, per esprimere la serietà della parola “fronte”. Le tombe individuali sono raggruppate a “formare una totalità” e un ruolo simbolico è assegnato all’area di sepoltura collettiva (Sammelgrab, poi Kameradengrab), sempre in stretta relazione con lo “spazio d’onore” (Ehrenraum). La memoria del singolo caduto è annullata in «santuari costruiti non per la consolazione delle famiglie, ma per lealtà ed elevazione della nazione» (VDK, 1930). Questa condizione del “soldato anonimo”, eroe «senza personalità né individualità […] figlio della terra il cui destino è fecondare la Madre Terra» (Jünger, 1959), è infine impietrata nei “castelli dei morti” (Totenburgen): in essi la “comunità dei senza nome” riposa in un unico campo di sepoltura, in “paesaggi immortali” consacrati dalle battaglie. Elias Canetti ha osservato che «una foresta che cammina» era il «simbolo di massa dei tedeschi, l’esercito»: le sepolture, i cimiteri, i “castelli dei morti” hanno reso parte di questa foresta e componente viva di questa massa i corpi dei soldati tedeschi caduti nelle due guerre mondiali. Il libro affronta questi temi analizzando i principali cimiteri e memoriali militari tedeschi costruiti tra la fine degli anni Venti e gli anni Settanta del secolo scorso, con particolare attenzione alle opere in Italia.

La foresta che cammina. Le sepolture dei soldati tedeschi 1920 1970

Mulazzani Marco
2020

Abstract

«All’alba il paesaggio sconosciuto si svelò a poco a poco ai nostri occhi. La strada ci appariva come una serie di enormi imbuti pieni di lembi di uniformi, di armi e di morti; a perdita d’occhio il terreno circostante si presentava sconvolto dai grossi calibri. Non un filo d’erba. Il campo di battaglia arato a quel modo era spaventoso. I soldati morti giacevano in mezzo a quelli vivi […] i cadaveri ammucchiati a strati gli uni sugli altri. […]. Ora toccava a noi» (Ernst Jünger, 1920). A poco più di dieci anni dalla fine del conflitto, lo scenario di devastazione dei luoghi di battaglia del fronte occidentale appare quasi irriconoscibile, rigenerato dalla natura e dal lavoro degli uomini. Ma migliaia di cimiteri accolgono i corpi dei soldati caduti, cicatrici non occultabili delle ferite della prima “guerra dei materiali” dell’età contemporanea. La semplicità e l’uniformità delle sepolture dei soldati nel paesaggio – principi già contemplati nelle “linee-guida” definite in Germania durante il conflitto – conoscono una declinazione affatto particolare nell’attività della “Associazione popolare tedesca per la cura delle sepolture di guerra” (Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge), responsabile dalla metà degli anni Venti del secolo scorso della realizzazione dei cimiteri militari al di fuori della Germania. I cimiteri tedeschi sono sono progettati con “materiale naturale”, per creare “un pezzetto di suolo natio in terra straniera” (ein Stück Heimat in fremder Erde); sono semplici e austeri, per esprimere la serietà della parola “fronte”. Le tombe individuali sono raggruppate a “formare una totalità” e un ruolo simbolico è assegnato all’area di sepoltura collettiva (Sammelgrab, poi Kameradengrab), sempre in stretta relazione con lo “spazio d’onore” (Ehrenraum). La memoria del singolo caduto è annullata in «santuari costruiti non per la consolazione delle famiglie, ma per lealtà ed elevazione della nazione» (VDK, 1930). Questa condizione del “soldato anonimo”, eroe «senza personalità né individualità […] figlio della terra il cui destino è fecondare la Madre Terra» (Jünger, 1959), è infine impietrata nei “castelli dei morti” (Totenburgen): in essi la “comunità dei senza nome” riposa in un unico campo di sepoltura, in “paesaggi immortali” consacrati dalle battaglie. Elias Canetti ha osservato che «una foresta che cammina» era il «simbolo di massa dei tedeschi, l’esercito»: le sepolture, i cimiteri, i “castelli dei morti” hanno reso parte di questa foresta e componente viva di questa massa i corpi dei soldati tedeschi caduti nelle due guerre mondiali. Il libro affronta questi temi analizzando i principali cimiteri e memoriali militari tedeschi costruiti tra la fine degli anni Venti e gli anni Settanta del secolo scorso, con particolare attenzione alle opere in Italia.
2020
9788891822918
Cimiteri militari, memoriali, Germania, Italia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/2434375
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