Quella tra Urbanistica e Salute Pubblica, discipline fondamentali per la creazione e il mantenimento delle condizioni di salute dei corpi urbani e umani, nasce a metà del XIX secolo e si sviluppa come una relazione “emergenziale”. Seguendo un approccio curativo, presto medicalizzato, il corpo umano e la città divengono elementi a tutti gli effetti capaci di definirsi a vicenda, condividendo un linguaggio – quello anatomico – e venendo interpretati attraverso analoghe prospettive psicologiche e socio-politiche. Dagli inizi del 1900, l'attenzione medica inizia a spostarsi dal corpo urbano a quello umano, trattandolo clinicamente attraverso la quarantena, l'immunizzazione e l'educazione alla salute; al contempo, l'Urbanistica si occupa di zoning spaziale e funzionale come modo per “immunizzare” la popolazione urbana dai prodotti più pericolosi dell'economia: dall'inquinamento industriale di allora, ai virus globali di oggi. Dopo secoli, per sconfiggere la malattia l'unica forma di prevenzione possibile pare essere la sospensione della vita (e dello spazio) pubblico, sociale, relazionale urbano. La prossemica ai tempi del Coronavirus vede infatti prima sospeso e poi stravolto quel codice antropologico complesso che individua nello spazio il suo canale di comunicazione privilegiato, uniformando distanze e comportamenti. Oggi più che mai, i modi in cui gli individui vivono, agiscono e interagiscono all'interno dello spazio pubblico sfidano l'Urbanistica e le politiche di salute pubblica, ponendo nuove condizioni e il bisogno di nuove prospettive sulla città, reinterpretando il significato di “urbanità” in primis attraverso i mezzi e le reti di comunicazione e di trasporto. L'attuale pandemia sta accelerando lo spostamento di rapporti e attività dal piano fisico a quello virtuale e l'uso della tecnologia sta vivendo un processo di sperimentazione e diffusione “forzata” senza precedenti, per velocità ed estensione. Parallelamente, specie nel nostro Paese, il dibattito sulla riconfigurazione dei sistemi di mobilità urbana si sta animando, pur mantenendo sempre un approccio e una visione fortemente emergenziali. Infatti, se da un lato la cosiddetta mobilità attiva (e sana, ora non più solo per i consolidati benefici dell'attività fisica) pare essere l'unica alternativa possibile, dall'altro il sistema normativo fatica a creare un quadro solido e lungimirante, lasciando al buon senso – e responsabilità – degli Enti locali il compito di sperimentare. Alla dicotomia corpo umano/corpo urbano rimane, quindi, ancorato un terzo corpo: quello automobilistico, nell'estenuante e cieca lotta per l'occupazione e l'uso degli spazi pubblici. Nonostante l'insorgere di nuove emergenze e nuove evidenze (scientifiche, ma anche socio-comportamentali), l'automobile continua ad avere la meglio sulle persone, occupando spazi oggi più che mai fondamentali per il benessere e la salute – fisica e mentale – della popolazione urbana.
Corpo umano/corpo urbano: riflessioni sulla riconquista fisico-comportamentale delle città
Dorato Elena
2020
Abstract
Quella tra Urbanistica e Salute Pubblica, discipline fondamentali per la creazione e il mantenimento delle condizioni di salute dei corpi urbani e umani, nasce a metà del XIX secolo e si sviluppa come una relazione “emergenziale”. Seguendo un approccio curativo, presto medicalizzato, il corpo umano e la città divengono elementi a tutti gli effetti capaci di definirsi a vicenda, condividendo un linguaggio – quello anatomico – e venendo interpretati attraverso analoghe prospettive psicologiche e socio-politiche. Dagli inizi del 1900, l'attenzione medica inizia a spostarsi dal corpo urbano a quello umano, trattandolo clinicamente attraverso la quarantena, l'immunizzazione e l'educazione alla salute; al contempo, l'Urbanistica si occupa di zoning spaziale e funzionale come modo per “immunizzare” la popolazione urbana dai prodotti più pericolosi dell'economia: dall'inquinamento industriale di allora, ai virus globali di oggi. Dopo secoli, per sconfiggere la malattia l'unica forma di prevenzione possibile pare essere la sospensione della vita (e dello spazio) pubblico, sociale, relazionale urbano. La prossemica ai tempi del Coronavirus vede infatti prima sospeso e poi stravolto quel codice antropologico complesso che individua nello spazio il suo canale di comunicazione privilegiato, uniformando distanze e comportamenti. Oggi più che mai, i modi in cui gli individui vivono, agiscono e interagiscono all'interno dello spazio pubblico sfidano l'Urbanistica e le politiche di salute pubblica, ponendo nuove condizioni e il bisogno di nuove prospettive sulla città, reinterpretando il significato di “urbanità” in primis attraverso i mezzi e le reti di comunicazione e di trasporto. L'attuale pandemia sta accelerando lo spostamento di rapporti e attività dal piano fisico a quello virtuale e l'uso della tecnologia sta vivendo un processo di sperimentazione e diffusione “forzata” senza precedenti, per velocità ed estensione. Parallelamente, specie nel nostro Paese, il dibattito sulla riconfigurazione dei sistemi di mobilità urbana si sta animando, pur mantenendo sempre un approccio e una visione fortemente emergenziali. Infatti, se da un lato la cosiddetta mobilità attiva (e sana, ora non più solo per i consolidati benefici dell'attività fisica) pare essere l'unica alternativa possibile, dall'altro il sistema normativo fatica a creare un quadro solido e lungimirante, lasciando al buon senso – e responsabilità – degli Enti locali il compito di sperimentare. Alla dicotomia corpo umano/corpo urbano rimane, quindi, ancorato un terzo corpo: quello automobilistico, nell'estenuante e cieca lotta per l'occupazione e l'uso degli spazi pubblici. Nonostante l'insorgere di nuove emergenze e nuove evidenze (scientifiche, ma anche socio-comportamentali), l'automobile continua ad avere la meglio sulle persone, occupando spazi oggi più che mai fondamentali per il benessere e la salute – fisica e mentale – della popolazione urbana.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.