La montagna è luogo privilegiato di applicazione di diversi fra gli strumenti giuridici del marketing territoriale. Prima di tutto, degli strumenti “orizzontali”, nati per la tutela delle tipicità che valorizzano sul piano giuridico il cosiddetto legame fra territorio e qualità: essa, in quanto contesto territoriale fortemente caratterizzato, e spesso anche connotato da peculiarità biologiche, microclimatiche e culturali assai delimitate per ragioni fisiche (il naturale isolamento, soprattutto storico, di alcune aree, la differenziata composizione del terreno, condizioni a volte irripetibili di esposizione solare, tradizioni molto radicate e diverse da una valle all’altra), è il laboratorio naturale per la verifica delle potenzialità degli strumenti “di diritto comune” volti alla tutela delle tipicità. Il concetto giuridico di “zona geografica delimitata”, che è alla base della disciplina di DOP e IGP, trova nella montagna il contesto applicativo geografico e fisico più significativo e interessante; e incontra anche, talvolta, gli elementi che ne renderebbero necessario un superamento: si pensi al caso di talune DOP con area molto estesa, che coinvolgono sia territori di pianura che di collina e di montagna, e che, tanto nella realtà dei valori organolettici quanto nella reputazione di mercato, trovano una marcata differenziazione fra prodotti appartenenti alla stessa DOP, in corrispondenza della loro origine montana (ad esempio, è il caso di un celebre formaggio italiano a DOP, la cui reputazione sul mercato – quanto meno nazionale – è notevolmente maggiore quando esso può vantare un’origine montana). Questo fenomeno, da un lato è in linea con le ragioni di fondo della tutela di questi segni distintivi, storicamente rappresentate dal tentativo legislativo di creare uno strumento di reddito per gli agricoltori operanti in zone non vocate a grandi produzioni (e pertanto spesso svantaggiate), dall’altro evidenzia un limite intrinseco al sistema delle DOP e delle IGP, che potrebbe forse suggerire necessità di una riforma. O di un affiancamento a strumenti giuridici ulteriori, come quelli che valorizzano direttamente, a prescindere da caratteristiche oggettive dei prodotti (cioè a prescindere da materie prime, disciplinari di produzione, ecc.) l’origine montana degli stessi. A quest’ultimo proposito vengono in discorso le iniziative, soprattutto di Italia e Francia, volte a introdurre “segni di origine” collegati alla montagna. Si è trattato di interventi normativi talvolta censurati dalla Corte di giustizia UE, perché costruiti in modo da risultare applicabili ai soli prodotti montani nazionali, così da trasformare la qualità percepita in relazione all’origine montana dei prodotti in un potenziale strumento di appropriazione nazionale esclusiva della connessa reputazione, e di concorrenza sleale fra Stati membri. L’ultima di queste esperienze (l’ennesima per l’Italia) è costituita dal decreto del MIPAAF del 26 luglio 2017, recante “Disposizioni nazionali per l'attuazione del regolamento (UE) n. 1151/2012 e del regolamento delegato (UE) n. 665/2014 sulle condizioni di utilizzo dell'indicazione facoltativa di qualità «prodotto di montagna»”, il quale potrebbe nuovamente porre problemi di legittimità europea, per la mancanza in esso di una clausola di mutuo riconoscimento. Il caso è, comunque, la dimostrazione dell’assoluta vitalità di questo tema sul piano giuridico, e della attualissima necessità di una riflessione e di un confronto fra giuristi e operatori

Montagna, paesaggio, marketing territoriale: le esigenze dell’economia, gli strumenti del diritto

Borghi Paolo
2019

Abstract

La montagna è luogo privilegiato di applicazione di diversi fra gli strumenti giuridici del marketing territoriale. Prima di tutto, degli strumenti “orizzontali”, nati per la tutela delle tipicità che valorizzano sul piano giuridico il cosiddetto legame fra territorio e qualità: essa, in quanto contesto territoriale fortemente caratterizzato, e spesso anche connotato da peculiarità biologiche, microclimatiche e culturali assai delimitate per ragioni fisiche (il naturale isolamento, soprattutto storico, di alcune aree, la differenziata composizione del terreno, condizioni a volte irripetibili di esposizione solare, tradizioni molto radicate e diverse da una valle all’altra), è il laboratorio naturale per la verifica delle potenzialità degli strumenti “di diritto comune” volti alla tutela delle tipicità. Il concetto giuridico di “zona geografica delimitata”, che è alla base della disciplina di DOP e IGP, trova nella montagna il contesto applicativo geografico e fisico più significativo e interessante; e incontra anche, talvolta, gli elementi che ne renderebbero necessario un superamento: si pensi al caso di talune DOP con area molto estesa, che coinvolgono sia territori di pianura che di collina e di montagna, e che, tanto nella realtà dei valori organolettici quanto nella reputazione di mercato, trovano una marcata differenziazione fra prodotti appartenenti alla stessa DOP, in corrispondenza della loro origine montana (ad esempio, è il caso di un celebre formaggio italiano a DOP, la cui reputazione sul mercato – quanto meno nazionale – è notevolmente maggiore quando esso può vantare un’origine montana). Questo fenomeno, da un lato è in linea con le ragioni di fondo della tutela di questi segni distintivi, storicamente rappresentate dal tentativo legislativo di creare uno strumento di reddito per gli agricoltori operanti in zone non vocate a grandi produzioni (e pertanto spesso svantaggiate), dall’altro evidenzia un limite intrinseco al sistema delle DOP e delle IGP, che potrebbe forse suggerire necessità di una riforma. O di un affiancamento a strumenti giuridici ulteriori, come quelli che valorizzano direttamente, a prescindere da caratteristiche oggettive dei prodotti (cioè a prescindere da materie prime, disciplinari di produzione, ecc.) l’origine montana degli stessi. A quest’ultimo proposito vengono in discorso le iniziative, soprattutto di Italia e Francia, volte a introdurre “segni di origine” collegati alla montagna. Si è trattato di interventi normativi talvolta censurati dalla Corte di giustizia UE, perché costruiti in modo da risultare applicabili ai soli prodotti montani nazionali, così da trasformare la qualità percepita in relazione all’origine montana dei prodotti in un potenziale strumento di appropriazione nazionale esclusiva della connessa reputazione, e di concorrenza sleale fra Stati membri. L’ultima di queste esperienze (l’ennesima per l’Italia) è costituita dal decreto del MIPAAF del 26 luglio 2017, recante “Disposizioni nazionali per l'attuazione del regolamento (UE) n. 1151/2012 e del regolamento delegato (UE) n. 665/2014 sulle condizioni di utilizzo dell'indicazione facoltativa di qualità «prodotto di montagna»”, il quale potrebbe nuovamente porre problemi di legittimità europea, per la mancanza in esso di una clausola di mutuo riconoscimento. Il caso è, comunque, la dimostrazione dell’assoluta vitalità di questo tema sul piano giuridico, e della attualissima necessità di una riflessione e di un confronto fra giuristi e operatori
2019
Borghi, Paolo
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