Il quartiere Spaventa, con il suo lento e inesorabile degrado, ma pure con la sua rigorosa e perfetta struttura organizzativa che ha permesso nel tempo quei piccoli adattamenti in grado di tenerlo in vita ed ancora fruibile come spazio individuale e collettivo, rappresenta la quintessenza della Milano periferica, quella porzione della città, costruita sull’ essenziale, in cui di fatto nasce la nuova immagine di Milano, destinata poi ad entrare in rapporto più articolato con il nucleo urbano antico. Una porzione di città che rispecchia meglio di ogni altra il volto di Milano, una città che non è mai stata un buon terreno per le innovazioni linguistiche, ha raramente accettato un'innovazione di stile o di forma prima che queste fossero ben collaudate altrove; qui attecchiscono solo innovazioni di prevalente portata locale e di rischio calcolabile. Non che ciò implichi realizzazioni scialbe e abusate, tutt'altro, ma i milanesi mostrano in genere poca attenzione per l'aspetto esteriore privilegiando azioni e cose delle quali sia argomentatamente sostenibile una generale utilità. La ricca dotazione di spazi esterni (pubblici, semipubblici, privati, collettivi, individuali) e loro articolata organizzazione, la compresenza di altre attività oltre a quella residenziale (laboratori artigianali, spazi per il commercio, spazi per attività collettive), la grande varietà tipologica (case a schiera, case in linea ad accesso puntiforme, case a ballatoio, case a corte, case a semischiera), rendono ancora oggi il quartiere Spaventa, a dispetto dell’ obsolescenza edilizia e tecnologica e delle imperfezioni funzionali male assorbite nel tempo, un luogo urbano, un luogo ove è possibile con pochi interventi abitare a casa, ma ancora in città. E crediamo che proprio da situazioni come questa, oggi rese più ricche da questioni alterne di riuso o conservazione, si possa intravedere la crescita della nuova città. Dinanzi a questi luoghi già densi di vita e ricchi di significati, alla permanenza della “città”, la parola dell’ architetto deve farsi discreta, bisogna risolversi a fare un lavoro di ricomposizione, ripristinare le parti di città obsolescenti e non completate, mettere a posto dei pezzi di architettura contemporanea nei tessuti già esistenti, in condizioni più o meno buone. Alla retorica della composizione classica occorre sostituire una composizione minore fatta dalle figure dell’ aggiunta, delle trasformazioni, delle sostituzioni, delle inversioni, un “bricolage” architettonico e urbano in cui l’ esistente è l’ elemento generativo del progetto. La forza del progettare nei quartieri come lo Spaventa sta proprio nella capacità di riconoscere l’ evidenza quasi ingenua di un ordine “naturale” che farebbe pensare che il progetto fosse già inscritto nel destino del luogo. La struttura dello Spaventa riflette compiutamente un modo tipicamente milanese frutto dell’ applicazione di una medesima logica progettuale dall’ alloggio all’ organizzazione dell’ intero quartiere: pochi elementi sono composti e ricomposti in modi differenti, fino a creare uno spazio complesso. Alla scala del quartiere ciò avviene sfruttando tutte le possibilità intrinseche alla struttura della città: a spazi esterni corrispondono edificazioni a fronte strada, a spazi interni corrispondono edificazioni a schiera e a semi-schiera con giardini privati, a spazi semi-pubblici edifici organizzati a corte con giardini collettivi. Il solo elemento singolare è l’ edificio ove erano i bagni e i lavatoi, che proprio per questa sua particolarità è ubicato in posizione baricentrica rispetto all’ insediamento. Alla scala dell’ alloggio, secondo una medesima struttura base comune a tutti gli appartamenti, degli elementi stanza, in genere di forma quadrata sono connessi direttamente o in semplice schiera, oppure in duplice schiera separata da un muro di spina centrale. A questo nucleo di base sono consegnate delle “dotazioni standard” ancora identiche per tutti gli alloggi: uno spazio accessorio in cui erano collocati i primi elementari servizi igienici, il camino, una nicchia per un’ armadiatura a muro. Il nostro progetto si è proposto proprio questo, ripercorrere una logica progettuale a quasi cento anni dalla sua applicazione cercando di scoprirne la forza e le possibilità di innovazione. In ciò si è compiuta una scelta che preferisce, alla creazione di nuovi spazi monofunzionali, un carattere di reciproca integrazione (carattere necessario soprattutto nei quartieri di edilizia sociale in cui la superficie di alloggio a disposizione di ogni abitante è forzatamente assai limitata), con nuclei specializzati (ad esempio i blocchi cucina) direttamente a contatto con spazi “serviti”, altamente flessibili, trasformabili, adattabili alle differenze esigenze nello spazio e nel tempo. Si è cercato in tal modo, piuttosto che creare interpretazioni collettive di modelli di vita individuale, di realizzare prototipi che rappresentino interpretazioni individuali dei modelli collettivi possibili. Poiché è impossibile realizzare l’ ambiente individuale che si adatti esattamente a ciascuno, si è cercato di creare la possibilità di una interpretazione personale, facendo le cose in modo tale che siano davvero interpretabili. In questa situazione occorreva poi restituire una figura chiara nel senso che emerge dal passato, sentendo il potenziale del progetto originario e dell’ esistente. Come per la progettazione degli spazi esterni l’ elemento portante del progetto degli alloggi è stata la volontà di creare una gerarchia a cui corrispondesse appunto un chiaro disegno, proprio perché, secondo noi, solo una accurata e facilmente individuabile organizzazione reciproca degli elementi è in grado di connettere in modo diretto alloggio ed organismo residenziale, organismo e isolato, isolato e quartiere, quartiere e città. Se si osserva, ad esempio, l’ organizzazione di una città romana sono assolutamente chiari i rapporti tra i vari elementi della casa e la parcella occupata, tra il lotto e l’ “insula”, tra le varie “insulae”. L’uomo Romano poi sapeva che il cardo lungo il quale camminava era parallelo all’asse intorno a cui ruotava il sole, e sapeva di seguire il corso di questo allorché percorreva il decumano. In tal modo egli era in grado di decifrare, in base alle istituzioni civiche, il significato del cosmo e ciò lo faceva sentire intimamente inserito in esso. Ma anche in tempi più recenti la città ha mostrato una gerarchia urbana e significati chiaramente riconoscibili a chi vedeva la città per la prima volta. Reputiamo che anche questi quartieri dell’ inizio del secolo, sorti da un’ idea che aveva espresso il secolo precedente, come lo è lo Spaventa, abbiano in sè la possibilità di rappresentare significati nel contempo particolari del nostro tempo e universali e consentano di creare organismi abitativi in grado di proiettarsi sulla forma della città.

CONCORSO INTERNAZIONALE EUROPAN 3, At home in the city. Milano Q.re Spaventa.

alessandro gaiani
1994

Abstract

Il quartiere Spaventa, con il suo lento e inesorabile degrado, ma pure con la sua rigorosa e perfetta struttura organizzativa che ha permesso nel tempo quei piccoli adattamenti in grado di tenerlo in vita ed ancora fruibile come spazio individuale e collettivo, rappresenta la quintessenza della Milano periferica, quella porzione della città, costruita sull’ essenziale, in cui di fatto nasce la nuova immagine di Milano, destinata poi ad entrare in rapporto più articolato con il nucleo urbano antico. Una porzione di città che rispecchia meglio di ogni altra il volto di Milano, una città che non è mai stata un buon terreno per le innovazioni linguistiche, ha raramente accettato un'innovazione di stile o di forma prima che queste fossero ben collaudate altrove; qui attecchiscono solo innovazioni di prevalente portata locale e di rischio calcolabile. Non che ciò implichi realizzazioni scialbe e abusate, tutt'altro, ma i milanesi mostrano in genere poca attenzione per l'aspetto esteriore privilegiando azioni e cose delle quali sia argomentatamente sostenibile una generale utilità. La ricca dotazione di spazi esterni (pubblici, semipubblici, privati, collettivi, individuali) e loro articolata organizzazione, la compresenza di altre attività oltre a quella residenziale (laboratori artigianali, spazi per il commercio, spazi per attività collettive), la grande varietà tipologica (case a schiera, case in linea ad accesso puntiforme, case a ballatoio, case a corte, case a semischiera), rendono ancora oggi il quartiere Spaventa, a dispetto dell’ obsolescenza edilizia e tecnologica e delle imperfezioni funzionali male assorbite nel tempo, un luogo urbano, un luogo ove è possibile con pochi interventi abitare a casa, ma ancora in città. E crediamo che proprio da situazioni come questa, oggi rese più ricche da questioni alterne di riuso o conservazione, si possa intravedere la crescita della nuova città. Dinanzi a questi luoghi già densi di vita e ricchi di significati, alla permanenza della “città”, la parola dell’ architetto deve farsi discreta, bisogna risolversi a fare un lavoro di ricomposizione, ripristinare le parti di città obsolescenti e non completate, mettere a posto dei pezzi di architettura contemporanea nei tessuti già esistenti, in condizioni più o meno buone. Alla retorica della composizione classica occorre sostituire una composizione minore fatta dalle figure dell’ aggiunta, delle trasformazioni, delle sostituzioni, delle inversioni, un “bricolage” architettonico e urbano in cui l’ esistente è l’ elemento generativo del progetto. La forza del progettare nei quartieri come lo Spaventa sta proprio nella capacità di riconoscere l’ evidenza quasi ingenua di un ordine “naturale” che farebbe pensare che il progetto fosse già inscritto nel destino del luogo. La struttura dello Spaventa riflette compiutamente un modo tipicamente milanese frutto dell’ applicazione di una medesima logica progettuale dall’ alloggio all’ organizzazione dell’ intero quartiere: pochi elementi sono composti e ricomposti in modi differenti, fino a creare uno spazio complesso. Alla scala del quartiere ciò avviene sfruttando tutte le possibilità intrinseche alla struttura della città: a spazi esterni corrispondono edificazioni a fronte strada, a spazi interni corrispondono edificazioni a schiera e a semi-schiera con giardini privati, a spazi semi-pubblici edifici organizzati a corte con giardini collettivi. Il solo elemento singolare è l’ edificio ove erano i bagni e i lavatoi, che proprio per questa sua particolarità è ubicato in posizione baricentrica rispetto all’ insediamento. Alla scala dell’ alloggio, secondo una medesima struttura base comune a tutti gli appartamenti, degli elementi stanza, in genere di forma quadrata sono connessi direttamente o in semplice schiera, oppure in duplice schiera separata da un muro di spina centrale. A questo nucleo di base sono consegnate delle “dotazioni standard” ancora identiche per tutti gli alloggi: uno spazio accessorio in cui erano collocati i primi elementari servizi igienici, il camino, una nicchia per un’ armadiatura a muro. Il nostro progetto si è proposto proprio questo, ripercorrere una logica progettuale a quasi cento anni dalla sua applicazione cercando di scoprirne la forza e le possibilità di innovazione. In ciò si è compiuta una scelta che preferisce, alla creazione di nuovi spazi monofunzionali, un carattere di reciproca integrazione (carattere necessario soprattutto nei quartieri di edilizia sociale in cui la superficie di alloggio a disposizione di ogni abitante è forzatamente assai limitata), con nuclei specializzati (ad esempio i blocchi cucina) direttamente a contatto con spazi “serviti”, altamente flessibili, trasformabili, adattabili alle differenze esigenze nello spazio e nel tempo. Si è cercato in tal modo, piuttosto che creare interpretazioni collettive di modelli di vita individuale, di realizzare prototipi che rappresentino interpretazioni individuali dei modelli collettivi possibili. Poiché è impossibile realizzare l’ ambiente individuale che si adatti esattamente a ciascuno, si è cercato di creare la possibilità di una interpretazione personale, facendo le cose in modo tale che siano davvero interpretabili. In questa situazione occorreva poi restituire una figura chiara nel senso che emerge dal passato, sentendo il potenziale del progetto originario e dell’ esistente. Come per la progettazione degli spazi esterni l’ elemento portante del progetto degli alloggi è stata la volontà di creare una gerarchia a cui corrispondesse appunto un chiaro disegno, proprio perché, secondo noi, solo una accurata e facilmente individuabile organizzazione reciproca degli elementi è in grado di connettere in modo diretto alloggio ed organismo residenziale, organismo e isolato, isolato e quartiere, quartiere e città. Se si osserva, ad esempio, l’ organizzazione di una città romana sono assolutamente chiari i rapporti tra i vari elementi della casa e la parcella occupata, tra il lotto e l’ “insula”, tra le varie “insulae”. L’uomo Romano poi sapeva che il cardo lungo il quale camminava era parallelo all’asse intorno a cui ruotava il sole, e sapeva di seguire il corso di questo allorché percorreva il decumano. In tal modo egli era in grado di decifrare, in base alle istituzioni civiche, il significato del cosmo e ciò lo faceva sentire intimamente inserito in esso. Ma anche in tempi più recenti la città ha mostrato una gerarchia urbana e significati chiaramente riconoscibili a chi vedeva la città per la prima volta. Reputiamo che anche questi quartieri dell’ inizio del secolo, sorti da un’ idea che aveva espresso il secolo precedente, come lo è lo Spaventa, abbiano in sè la possibilità di rappresentare significati nel contempo particolari del nostro tempo e universali e consentano di creare organismi abitativi in grado di proiettarsi sulla forma della città.
1994
rigenerazione, innesto, mutazione, progetto partecipato
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