La tesi che si intende discutere è che il progetto sia l’intima essenza dell’uomo. I primi argomenti a suo favore non vanno tuttavia ricercati nella riflessione antropologica, in quanto il “discorso dell’uomo sull’uomo” presume il suo stesso oggetto di ricerca, rischiando di “avvitarsi” in un circolo vizioso senza uscita. Non è casuale che, in tal senso, le intuizioni più illuminanti siano state espresse attraverso il linguaggio mitopoietico. Già nel Protagora Platone, con le figure di Prometeo e di Epimeteo, mette in scena il dramma di una condizione umana che si presenta quale strutturale privazione di qualità specifiche, che la sola “capacità anticipante” del Titano può risarcire, facendosi portatrice della tecnica come istanza di sopravvivenza in ambiente ostile. Da questo momento in avanti, l’avventura del progetto diventa metonimica protensione verso le cose a venire (ad-ventura); condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per orientarsi in un mondo inteso come stato di indeterminazione dal quale emanciparsi. Tali premesse paiono oggi indicare una possibile via di uscita alla crisi di valori generata dal capitalismo finanziariario, che ci costringe a vivere in un rinnovato stato di incertezza, all’interno di un desolante paesaggio di rovine. La rigenerazione della città, in tale scenario, costituisce pertanto la ripresa di un cammino, destinato a incontrare difficoltà e resistenze, anche politiche. Un viatico necessario alla riproposizione tentativa di futuri possibili: nella consapevolezza che essi si fondino sulla capacità di formulare ipotesi sul passato – divenuto “criticamente” il nuovo ambiente in cui operare – sempre sospesi tra il “non più” del mondo alle nostre spalle e il “non ancora” di quello che auspichiamo a venire. A partire dalla fondamentale distinzione tra Umwelt e Welt, introdotta dall’etologo Jakob von Uexküll, i percorsi della filosofia fenomenologico-esistenziale si intrecciano con quelli dell’Antropologia filosofica, confermando il senso dell’avventura del progetto e il suo problematico intrecciarsi con i destini dell’uomo. Max Scheler, Helmuth Plessner, Arnold Gehlen, Martin Heidegger, Gunter Anders, e Hannah Arendt, nutrono la consapevolezza che il carattere aporeticamente sfuggente dell’essenza umana derivi dalla costante riformulazione del rapporto “uomo”/“mondo”, di cui il progetto risulta il paradossale fondamento “effimero”. Ciò impone che la cultura del progetto sia la prima a doversi mettere in gioco, ponendosi come continua interrogazione sui propri principi, 149 metodi, regole ed esiti, da sottoporre a un incessante processo di verifica e confutazione. L’avventura del progetto diventa pertanto espressione architettonica dell’esistenza – intesa come fuoriuscita dal ciclico riproporsi di uno stato di incertezza – che nel suo divenire costruisce la realtà sociale quale unico mondo abitabile dall’uomo, sempre uguale per quanto mai identico.

L'avventura del progetto e il destino dell'uomo. Architettura e costruzione della realtà sociale [The adventure of the project and the destiny of man: Architecture and construction of social reality]

nicola marzot
2019

Abstract

La tesi che si intende discutere è che il progetto sia l’intima essenza dell’uomo. I primi argomenti a suo favore non vanno tuttavia ricercati nella riflessione antropologica, in quanto il “discorso dell’uomo sull’uomo” presume il suo stesso oggetto di ricerca, rischiando di “avvitarsi” in un circolo vizioso senza uscita. Non è casuale che, in tal senso, le intuizioni più illuminanti siano state espresse attraverso il linguaggio mitopoietico. Già nel Protagora Platone, con le figure di Prometeo e di Epimeteo, mette in scena il dramma di una condizione umana che si presenta quale strutturale privazione di qualità specifiche, che la sola “capacità anticipante” del Titano può risarcire, facendosi portatrice della tecnica come istanza di sopravvivenza in ambiente ostile. Da questo momento in avanti, l’avventura del progetto diventa metonimica protensione verso le cose a venire (ad-ventura); condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per orientarsi in un mondo inteso come stato di indeterminazione dal quale emanciparsi. Tali premesse paiono oggi indicare una possibile via di uscita alla crisi di valori generata dal capitalismo finanziariario, che ci costringe a vivere in un rinnovato stato di incertezza, all’interno di un desolante paesaggio di rovine. La rigenerazione della città, in tale scenario, costituisce pertanto la ripresa di un cammino, destinato a incontrare difficoltà e resistenze, anche politiche. Un viatico necessario alla riproposizione tentativa di futuri possibili: nella consapevolezza che essi si fondino sulla capacità di formulare ipotesi sul passato – divenuto “criticamente” il nuovo ambiente in cui operare – sempre sospesi tra il “non più” del mondo alle nostre spalle e il “non ancora” di quello che auspichiamo a venire. A partire dalla fondamentale distinzione tra Umwelt e Welt, introdotta dall’etologo Jakob von Uexküll, i percorsi della filosofia fenomenologico-esistenziale si intrecciano con quelli dell’Antropologia filosofica, confermando il senso dell’avventura del progetto e il suo problematico intrecciarsi con i destini dell’uomo. Max Scheler, Helmuth Plessner, Arnold Gehlen, Martin Heidegger, Gunter Anders, e Hannah Arendt, nutrono la consapevolezza che il carattere aporeticamente sfuggente dell’essenza umana derivi dalla costante riformulazione del rapporto “uomo”/“mondo”, di cui il progetto risulta il paradossale fondamento “effimero”. Ciò impone che la cultura del progetto sia la prima a doversi mettere in gioco, ponendosi come continua interrogazione sui propri principi, 149 metodi, regole ed esiti, da sottoporre a un incessante processo di verifica e confutazione. L’avventura del progetto diventa pertanto espressione architettonica dell’esistenza – intesa come fuoriuscita dal ciclico riproporsi di uno stato di incertezza – che nel suo divenire costruisce la realtà sociale quale unico mondo abitabile dall’uomo, sempre uguale per quanto mai identico.
2019
Marzot, Nicola
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