Il testo è il risultato di una ricerca etnografica durata circa dieci mesi e condotta tra il 2014 e il 2015. Il luogo di ricerca è Redeyef, centro urbano di circa trentamila abitanti nella Tunisia sudoccidentale (Governatorato di Gafsa), parte di un più ampio bacino minerario basato sull’estrazione e purificazione dei fosfati non lontano dal confine con l’Algeria. La città, fondata all’inizio del Ventesimo secolo durante il Protettorato francese, crebbe attorno all’economia mineraria e alla Compagnia dei fosfati di Gafsa (CPG) che ad essa era legata. L’attività estrattiva e il suo indotto sono ancor oggi il principale, se non l’unico settore di impiego contrattualizzato in città e nella regione. Questa monocultura industriale, impostasi seguendo il modello della città-fabbrica, entrò in crisi alla metà degli anni 1980 quando la firma del Piano di aggiustamento strutturale tra governo tunisino, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale provocò un taglio nei finanziamenti alla ditta e il licenziamento di tre quarti degli operai. La crisi economica che ne seguì sfociò, nel gennaio 2008, in una serie di manifestazioni a cui il governo di Ben Ali rispose con l’occupazione della città tramite migliaia di membri delle forze di polizia. Ne nacque un movimento sociale che, nel corso di quasi sette mesi, organizzò scioperi della fame, manifestazioni e blocchi alla produzione dei fosfati. Durante l’occupazione, la polizia fu ingaggiata in duri scontri nelle strade e nell’uso sistematico della violenza e della. Per questo motivo, e per una lunga storia sindacale che ha reso la città e il bacino di Gafsa un “bastione rosso”, i fatti di Redeyef sono tutt’ora riconosciuti come la scintilla delle rivolte del 2010-2011 sia nella letteratura scientifica che nei discorsi pubblici e nei racconti dei tunisini. Redeyef, tuttavia, è analizzabile anche come un esempio del modo in cui, attraverso i decenni, le politiche economiche socialiste prima e liberali poi, e l’esercizio della sovranità territoriale da parte dello Stato, hanno contribuito alla formazione di uno spazio nazionale fortemente diseguale, in cui le regioni occidentali e meridionali del Paese sono coinvolte in una complessa relazione di dipendenza e subalternità rispetto al cosiddetto Sahel, la fascia litoranea orientale ricca e industrializzata. Obiettivo dell’opera è analizzare il modo in cui questa “marginalità” si riproduce a livello politico, sociale e culturale nel contesto di uno Stato, quello tunisino, reso instabile dalle rivolte del 2010-2011 e dagli eventi che ne sono seguiti. Decentrare lo sguardo e allontanarsi dalla capitale e dai centri urbani della costa consente infatti di cogliere dinamiche locali oscurate dalle analisi sociologiche e sociopolitiche realizzate negli ultimi cinque anni, focalizzate soprattutto sul processo transizionale, sulla scrittura della Carta costituzionale e sulla formazione del nuovo paesaggio politico istituzionale. Un punto di osservazione apparentemente decentrato nella geografia del potere tunisino, inoltre, permetterà di comprendere meglio e problematizzare le dinamiche tra “centri” e “periferie”. Nel solco di un’antropologia e di una scrittura critica e riflessiva, il concetto di marginalità è quindi decostruito allo scopo di mostrare e analizzare le dimensioni di potere che favoriscono la riproduzione dell’esclusione e il perdurare della disuguaglianza in una regione periferica.

Il testo è il risultato di una ricerca etnografica durata circa dieci mesi e condotta tra il 2014 e il 2015. Il luogo di ricerca è Redeyef, centro urbano di circa trentamila abitanti nella Tunisia sudoccidentale (Governatorato di Gafsa), parte di un più ampio bacino minerario basato sull’estrazione e purificazione dei fosfati non lontano dal confine con l’Algeria. La città, fondata all’inizio del Ventesimo secolo durante il Protettorato francese, crebbe attorno all’economia mineraria e alla Compagnia dei fosfati di Gafsa (CPG) che ad essa era legata. L’attività estrattiva e il suo indotto sono ancor oggi il principale, se non l’unico settore di impiego contrattualizzato in città e nella regione. Questa monocultura industriale, impostasi seguendo il modello della città-fabbrica, entrò in crisi alla metà degli anni 1980 quando la firma del Piano di aggiustamento strutturale tra governo tunisino, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale provocò un taglio nei finanziamenti alla ditta e il licenziamento di tre quarti degli operai. La crisi economica che ne seguì sfociò, nel gennaio 2008, in una serie di manifestazioni a cui il governo di Ben Ali rispose con l’occupazione della città tramite migliaia di membri delle forze di polizia. Ne nacque un movimento sociale che, nel corso di quasi sette mesi, organizzò scioperi della fame, manifestazioni e blocchi alla produzione dei fosfati. Durante l’occupazione, la polizia fu ingaggiata in duri scontri nelle strade e nell’uso sistematico della violenza e della. Per questo motivo, e per una lunga storia sindacale che ha reso la città e il bacino di Gafsa un “bastione rosso”, i fatti di Redeyef sono tutt’ora riconosciuti come la scintilla delle rivolte del 2010-2011 sia nella letteratura scientifica che nei discorsi pubblici e nei racconti dei tunisini. Redeyef, tuttavia, è analizzabile anche come un esempio del modo in cui, attraverso i decenni, le politiche economiche socialiste prima e liberali poi, e l’esercizio della sovranità territoriale da parte dello Stato, hanno contribuito alla formazione di uno spazio nazionale fortemente diseguale, in cui le regioni occidentali e meridionali del Paese sono coinvolte in una complessa relazione di dipendenza e subalternità rispetto al cosiddetto Sahel, la fascia litoranea orientale ricca e industrializzata. Obiettivo dell’opera è analizzare il modo in cui questa “marginalità” si riproduce a livello politico, sociale e culturale nel contesto di uno Stato, quello tunisino, reso instabile dalle rivolte del 2010-2011 e dagli eventi che ne sono seguiti. Decentrare lo sguardo e allontanarsi dalla capitale e dai centri urbani della costa consente infatti di cogliere dinamiche locali oscurate dalle analisi sociologiche e sociopolitiche realizzate negli ultimi cinque anni, focalizzate soprattutto sul processo transizionale, sulla scrittura della Carta costituzionale e sulla formazione del nuovo paesaggio politico istituzionale. Un punto di osservazione apparentemente decentrato nella geografia del potere tunisino, inoltre, permetterà di comprendere meglio e problematizzare le dinamiche tra “centri” e “periferie”. Nel solco di un’antropologia e di una scrittura critica e riflessiva, il concetto di marginalità è quindi decostruito allo scopo di mostrare e analizzare le dimensioni di potere che favoriscono la riproduzione dell’esclusione e il perdurare della disuguaglianza in una regione periferica.

Il bacino maledetto. Antropologia della marginalità nel Sud-Ovest Tunisino

PONTIGGIA, Stefano
2016

Abstract

Il testo è il risultato di una ricerca etnografica durata circa dieci mesi e condotta tra il 2014 e il 2015. Il luogo di ricerca è Redeyef, centro urbano di circa trentamila abitanti nella Tunisia sudoccidentale (Governatorato di Gafsa), parte di un più ampio bacino minerario basato sull’estrazione e purificazione dei fosfati non lontano dal confine con l’Algeria. La città, fondata all’inizio del Ventesimo secolo durante il Protettorato francese, crebbe attorno all’economia mineraria e alla Compagnia dei fosfati di Gafsa (CPG) che ad essa era legata. L’attività estrattiva e il suo indotto sono ancor oggi il principale, se non l’unico settore di impiego contrattualizzato in città e nella regione. Questa monocultura industriale, impostasi seguendo il modello della città-fabbrica, entrò in crisi alla metà degli anni 1980 quando la firma del Piano di aggiustamento strutturale tra governo tunisino, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale provocò un taglio nei finanziamenti alla ditta e il licenziamento di tre quarti degli operai. La crisi economica che ne seguì sfociò, nel gennaio 2008, in una serie di manifestazioni a cui il governo di Ben Ali rispose con l’occupazione della città tramite migliaia di membri delle forze di polizia. Ne nacque un movimento sociale che, nel corso di quasi sette mesi, organizzò scioperi della fame, manifestazioni e blocchi alla produzione dei fosfati. Durante l’occupazione, la polizia fu ingaggiata in duri scontri nelle strade e nell’uso sistematico della violenza e della. Per questo motivo, e per una lunga storia sindacale che ha reso la città e il bacino di Gafsa un “bastione rosso”, i fatti di Redeyef sono tutt’ora riconosciuti come la scintilla delle rivolte del 2010-2011 sia nella letteratura scientifica che nei discorsi pubblici e nei racconti dei tunisini. Redeyef, tuttavia, è analizzabile anche come un esempio del modo in cui, attraverso i decenni, le politiche economiche socialiste prima e liberali poi, e l’esercizio della sovranità territoriale da parte dello Stato, hanno contribuito alla formazione di uno spazio nazionale fortemente diseguale, in cui le regioni occidentali e meridionali del Paese sono coinvolte in una complessa relazione di dipendenza e subalternità rispetto al cosiddetto Sahel, la fascia litoranea orientale ricca e industrializzata. Obiettivo dell’opera è analizzare il modo in cui questa “marginalità” si riproduce a livello politico, sociale e culturale nel contesto di uno Stato, quello tunisino, reso instabile dalle rivolte del 2010-2011 e dagli eventi che ne sono seguiti. Decentrare lo sguardo e allontanarsi dalla capitale e dai centri urbani della costa consente infatti di cogliere dinamiche locali oscurate dalle analisi sociologiche e sociopolitiche realizzate negli ultimi cinque anni, focalizzate soprattutto sul processo transizionale, sulla scrittura della Carta costituzionale e sulla formazione del nuovo paesaggio politico istituzionale. Un punto di osservazione apparentemente decentrato nella geografia del potere tunisino, inoltre, permetterà di comprendere meglio e problematizzare le dinamiche tra “centri” e “periferie”. Nel solco di un’antropologia e di una scrittura critica e riflessiva, il concetto di marginalità è quindi decostruito allo scopo di mostrare e analizzare le dimensioni di potere che favoriscono la riproduzione dell’esclusione e il perdurare della disuguaglianza in una regione periferica.
SCANDURRA, Giuseppe
PERETTO, Carlo
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