La cultura urbanistica istituita dall’omonimo Diritto, colonizzando il nostro immaginario, così da non consentirci di intravvedere possibilità altre al di fuori del sistema in essere, ci ha educato a intendere ogni manifestazione dello spirito umano in termini di produttività. Tutto ciò che facciamo deve avere un valore, ovvero deve letteralmente mettere in opera principi di carattere convenzionale, nel migliore dei casi supposti condivisi quando non surrettiziamente imposti. Questa impostazione “produttivista” del fare, che corrisponde all’inglese “to make”, adombra, fino a rimuoverla completamente, che possa esistere un’altra forma del fare che non abbia altro fine se non quello di farsi, ovvero di venire accidentalmente alla luce. Questa dimensione, che chi scrive ritiene sia il fondamento impensato e artatamente rimosso della prima, altro non è che quella prassi esplorativa e sperimentale che già l’antropologia delle origini aveva intuito, contrapponendo la figura di transizione del bricoleur a quella convenzionale dell’ingegnere. Questa tesi, che ha fondamentali implicazione nel progetto di architettura, viene articolata nel testo.

Il tempo "improduttivo" e il bricoleur. Rigenerare la città in crisi [The “unproductive” time and the bricoleur. Regenerating the city into crisis]

nicola marzot
2018

Abstract

La cultura urbanistica istituita dall’omonimo Diritto, colonizzando il nostro immaginario, così da non consentirci di intravvedere possibilità altre al di fuori del sistema in essere, ci ha educato a intendere ogni manifestazione dello spirito umano in termini di produttività. Tutto ciò che facciamo deve avere un valore, ovvero deve letteralmente mettere in opera principi di carattere convenzionale, nel migliore dei casi supposti condivisi quando non surrettiziamente imposti. Questa impostazione “produttivista” del fare, che corrisponde all’inglese “to make”, adombra, fino a rimuoverla completamente, che possa esistere un’altra forma del fare che non abbia altro fine se non quello di farsi, ovvero di venire accidentalmente alla luce. Questa dimensione, che chi scrive ritiene sia il fondamento impensato e artatamente rimosso della prima, altro non è che quella prassi esplorativa e sperimentale che già l’antropologia delle origini aveva intuito, contrapponendo la figura di transizione del bricoleur a quella convenzionale dell’ingegnere. Questa tesi, che ha fondamentali implicazione nel progetto di architettura, viene articolata nel testo.
2018
Marzot, Nicola
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