La disciplina sull'etichettatura degli alimenti, e in particolare le disposizioni in tema di allergeni, obbligano unicamente a riportare in etichetta e ad evidenziare graficamente gli allergeni che siano stati impiegati nella produzione degli alimenti, e non quelli che siano accidentalmente presenti in tracce perché, ad esempio, naturalmente contenuti in un ingrediente, o per contaminazioni ineliminabili anche con l'uso della normale diligenza, o infine per contaminazioni accidentali non segnalate avvenute presso lo stabilimento del fornitore di un ingrediente. Nella prassi del commercio nel settore alimentare si sta, invece, via via affermando sempre di più la prassi di indicare, sull'etichetta o nella scheda tecnica di un prodotto, dei "warnings" che avvisano della sempre possibile presenza di allergeni non impiegati nella produzione, dei quali non è obbligatoria l'indicazione. Ciò genera, a cascata, atteggiamenti prudenziali degli operatori a valle, i quali, pur non essendovi tenuti, hanno iniziato a trasferire tali informazioni volontarie all'interno della comunicazione ai loro clienti (e ai consumatori), e spesso clausole contrattuali imposte dalla GDO ai propri fornitori, che esigono la garanzia di assenza di qualsiasi traccia anche accidentale, e che - in caso di rifiuto del fornitore di dare una tale garanzia - pretendono l'indicazione in etichetta della possibile presenza di detti allergeni. Il saggio approfondisce questa progressiva trasformazione dell'informazione volontaria nell'oggetto di un obbligo: talvolta trattasi di obbligo contrattuale (laddove la prassi del settore ha di fatto reso obbligatorio ciò che per legge non lo è), altre volte di un atteggiamento semplicemente legato ai profili di responsabilità civile che deriverebbero dall'omettere una simile informazione, da parte dell'operatore che l'abbia ricevuta dai suoi fornitori.

Alimenti e informazioni “May contain”: quando lo zelo diventa norma

Borghi P.
2019

Abstract

La disciplina sull'etichettatura degli alimenti, e in particolare le disposizioni in tema di allergeni, obbligano unicamente a riportare in etichetta e ad evidenziare graficamente gli allergeni che siano stati impiegati nella produzione degli alimenti, e non quelli che siano accidentalmente presenti in tracce perché, ad esempio, naturalmente contenuti in un ingrediente, o per contaminazioni ineliminabili anche con l'uso della normale diligenza, o infine per contaminazioni accidentali non segnalate avvenute presso lo stabilimento del fornitore di un ingrediente. Nella prassi del commercio nel settore alimentare si sta, invece, via via affermando sempre di più la prassi di indicare, sull'etichetta o nella scheda tecnica di un prodotto, dei "warnings" che avvisano della sempre possibile presenza di allergeni non impiegati nella produzione, dei quali non è obbligatoria l'indicazione. Ciò genera, a cascata, atteggiamenti prudenziali degli operatori a valle, i quali, pur non essendovi tenuti, hanno iniziato a trasferire tali informazioni volontarie all'interno della comunicazione ai loro clienti (e ai consumatori), e spesso clausole contrattuali imposte dalla GDO ai propri fornitori, che esigono la garanzia di assenza di qualsiasi traccia anche accidentale, e che - in caso di rifiuto del fornitore di dare una tale garanzia - pretendono l'indicazione in etichetta della possibile presenza di detti allergeni. Il saggio approfondisce questa progressiva trasformazione dell'informazione volontaria nell'oggetto di un obbligo: talvolta trattasi di obbligo contrattuale (laddove la prassi del settore ha di fatto reso obbligatorio ciò che per legge non lo è), altre volte di un atteggiamento semplicemente legato ai profili di responsabilità civile che deriverebbero dall'omettere una simile informazione, da parte dell'operatore che l'abbia ricevuta dai suoi fornitori.
2019
978-883339-1687
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