I terremoti del maggio 2012 (ML = 5,9 e 5,8 oppure Mw = 6,1 e 5,9; e.g. Pondrelli et al., 2012) hanno avuto origine da due segmenti dell’Arco Ferrarese che rappresenta il settore più avanzato dell’Appennino Settentrionale sepolto. Entrambe le faglie sono inverse e cieche e, nel volume sovrastante, generano un tipico processo plicativo per propagazione di faglia. La loro riattivazione, infatti, ha prodotto un’ampia deformazione della superficie terrestre con sollevamenti massimi nella zona epicentrale di ca. 20-25 cm (Bignami et al., 2012; Salvi et al., 2012; Caputo et al., 2015). In un contesto geologico di subsidenza regionale e di forti apporti fluviali da parte del Po e dei suoi affluenti appenninici, le strutture deformative cosismiche vengono progressivamente sepolte e la topografia tendenzialmente ‘pareggiata’ dai continui processi fluviali. Il ripetersi di simili ‘terremoti morfogenici areali’ (Caputo, 2005) può essere ovviamente riconosciuto attraverso l’interpretazione di profili sismici a riflessione (generalmente effettuati per ricerche di idrocarburi; e.g. Pieri e Groppi, 1981; Boccaletti et al., 2004) mettendo in evidenza le variazioni stratigrafiche cumulatesi nel tempo. Dal punto di vista morfologico, invece, il riconoscimento di tali strutture attive è molto più difficile, ma un’attenta analisi delle anomalie idrografiche può suggerire la loro individuazione (Burrato et al., 2003; 2012). La sorgente sismogenica di Mirandola, già inserita nel DISS (2015) prima dei terremoti emiliani, si basava appunto su questo tipo di osservazioni, mancando tra l’altro nell’area specifica importanti terremoti storici probabilmente a causa dei lunghi tempi di ritorno.
Mappatura dell'anticlinale di Mirandola, Italia, mediante misure HVSR.
TARABUSI, GABRIELE;CAPUTO, Riccardo
2015
Abstract
I terremoti del maggio 2012 (ML = 5,9 e 5,8 oppure Mw = 6,1 e 5,9; e.g. Pondrelli et al., 2012) hanno avuto origine da due segmenti dell’Arco Ferrarese che rappresenta il settore più avanzato dell’Appennino Settentrionale sepolto. Entrambe le faglie sono inverse e cieche e, nel volume sovrastante, generano un tipico processo plicativo per propagazione di faglia. La loro riattivazione, infatti, ha prodotto un’ampia deformazione della superficie terrestre con sollevamenti massimi nella zona epicentrale di ca. 20-25 cm (Bignami et al., 2012; Salvi et al., 2012; Caputo et al., 2015). In un contesto geologico di subsidenza regionale e di forti apporti fluviali da parte del Po e dei suoi affluenti appenninici, le strutture deformative cosismiche vengono progressivamente sepolte e la topografia tendenzialmente ‘pareggiata’ dai continui processi fluviali. Il ripetersi di simili ‘terremoti morfogenici areali’ (Caputo, 2005) può essere ovviamente riconosciuto attraverso l’interpretazione di profili sismici a riflessione (generalmente effettuati per ricerche di idrocarburi; e.g. Pieri e Groppi, 1981; Boccaletti et al., 2004) mettendo in evidenza le variazioni stratigrafiche cumulatesi nel tempo. Dal punto di vista morfologico, invece, il riconoscimento di tali strutture attive è molto più difficile, ma un’attenta analisi delle anomalie idrografiche può suggerire la loro individuazione (Burrato et al., 2003; 2012). La sorgente sismogenica di Mirandola, già inserita nel DISS (2015) prima dei terremoti emiliani, si basava appunto su questo tipo di osservazioni, mancando tra l’altro nell’area specifica importanti terremoti storici probabilmente a causa dei lunghi tempi di ritorno.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.