La valutazione nella pubblica amministrazione è fin qui fallita. «Particolari criticità permangono nell’assetto ordinamentale della dirigenza pubblica amministrativa. A fronte di una sostenuta dinamica retributiva non è mai entrato a regime un idoneo sistema di valutazione della capacità manageriale». Con queste parole, a margine della «Audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul disegno di legge in materia di riorganizzazione delle PA», datata ottobre 2014, la Corte dei Conti celebrava il funerale di una delle principali leve comportamentali suggerite dalla letteratura economico-aziendale per migliorare le prestazioni degli enti pubblici. Le cause del fallimento, testimoniato da 25 anni di tentativi legislativi senza successo, sono rintracciabili nei contenuti della valutazione oppure nell’assenza o nell’inadeguatezza dei presupposti abilitanti o dei requisiti di funzionamento? Numerose evidenze empiriche dimostrano che le cause attengono tutte e tre le tipologie indagate: • i contenuti oggettivi e soggettivi della valutazione. Rispetto agli oggetti: si è tentato di valutare dirigenti, dipendenti (performance individuali) e unità organizzative (performance organizzative) senza valutare la capacità della classe politica di mantenere le promesse di mandato (performance istituzionali): ciò ha dato luogo al perseguimento scomposto di performance fini a se stesse e non ad uno scopo istituzionale superiore. Rispetto ai soggetti: fino ad oggi la valutazione è stata affidata ad “organismi non indipendenti di valutazione”, il cui operato non è stato adeguatamente coordinato dalla Civit; • tra le condizioni abilitanti della valutazione ha inciso negativamente l’eterogeneità delle migliaia di modelli valutativi adottati come reazione all’illusione della Civit di avere un modello universale; • tra i caratteri qualificanti rileva negativamente l’eccessiva complessità e l’approccio adempimentale dei modelli Civit, rispetto ad enti di dimensioni minimali come i piccoli comuni. Oggi siamo all’inizio dell’ennesima stagione di riforma della PA, in un Paese malato di “riformite” (Ricci, 2012). Quali sono le condizioni abilitanti, gli elementi costitutivi e i caratteri qualificanti della valutazione che dovrebbero essere contenuti nelle norme attuative della Riforma Madia (D.L. 90/2014 e L. 124/2015), onde evitare di assistere all’ennesimo fallimento della valutazione pubblica? Partendo da tale quesito di ricerca, il lavoro ripercorre gli errori legislativi degli ultimi 25 anni sul tema della valutazione ed analizza la Riforma della PA, del Ministro Madia, per comprenderne limiti e potenzialità.

Fallimento e rinascita della valutazione delle performance nella prospettiva del Valore Pubblico: l’orizzonte della Riforma Madia

DEIDDA GAGLIARDO, Enrico
2016

Abstract

La valutazione nella pubblica amministrazione è fin qui fallita. «Particolari criticità permangono nell’assetto ordinamentale della dirigenza pubblica amministrativa. A fronte di una sostenuta dinamica retributiva non è mai entrato a regime un idoneo sistema di valutazione della capacità manageriale». Con queste parole, a margine della «Audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul disegno di legge in materia di riorganizzazione delle PA», datata ottobre 2014, la Corte dei Conti celebrava il funerale di una delle principali leve comportamentali suggerite dalla letteratura economico-aziendale per migliorare le prestazioni degli enti pubblici. Le cause del fallimento, testimoniato da 25 anni di tentativi legislativi senza successo, sono rintracciabili nei contenuti della valutazione oppure nell’assenza o nell’inadeguatezza dei presupposti abilitanti o dei requisiti di funzionamento? Numerose evidenze empiriche dimostrano che le cause attengono tutte e tre le tipologie indagate: • i contenuti oggettivi e soggettivi della valutazione. Rispetto agli oggetti: si è tentato di valutare dirigenti, dipendenti (performance individuali) e unità organizzative (performance organizzative) senza valutare la capacità della classe politica di mantenere le promesse di mandato (performance istituzionali): ciò ha dato luogo al perseguimento scomposto di performance fini a se stesse e non ad uno scopo istituzionale superiore. Rispetto ai soggetti: fino ad oggi la valutazione è stata affidata ad “organismi non indipendenti di valutazione”, il cui operato non è stato adeguatamente coordinato dalla Civit; • tra le condizioni abilitanti della valutazione ha inciso negativamente l’eterogeneità delle migliaia di modelli valutativi adottati come reazione all’illusione della Civit di avere un modello universale; • tra i caratteri qualificanti rileva negativamente l’eccessiva complessità e l’approccio adempimentale dei modelli Civit, rispetto ad enti di dimensioni minimali come i piccoli comuni. Oggi siamo all’inizio dell’ennesima stagione di riforma della PA, in un Paese malato di “riformite” (Ricci, 2012). Quali sono le condizioni abilitanti, gli elementi costitutivi e i caratteri qualificanti della valutazione che dovrebbero essere contenuti nelle norme attuative della Riforma Madia (D.L. 90/2014 e L. 124/2015), onde evitare di assistere all’ennesimo fallimento della valutazione pubblica? Partendo da tale quesito di ricerca, il lavoro ripercorre gli errori legislativi degli ultimi 25 anni sul tema della valutazione ed analizza la Riforma della PA, del Ministro Madia, per comprenderne limiti e potenzialità.
2016
DEIDDA GAGLIARDO, Enrico
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