Il postulato sul quale è stata immaginata e poi attuata l’imposta sul valore aggiunto nella comunità economica europea prima, e nell’Unione ora, vede la neutralità del tributo come una sua caratteristica essenziale ed imprescindibile: questa si attua attraverso il riconoscimento dell’obbligo di rivalsa e del diritto di detrazione in capo all’operatore economico. Tale scelta deriva dalla necessità di immaginare un’imposta che garantisca, nel modo migliore, la realizzazione di un mercato comune, e che non fosse di impedimento alla libertà degli scambi. L’esperienza recente, tuttavia, ha registrato un sempre crescente numero di frodi perpetrate a danno dell’erario che muovono tutte, più o meno indistintamente, da un esercizio distorto del diritto di detrazione o da una simulazione di operazioni commerciali che non hanno mai avuto luogo nella realtà. Per questo motivo la Corte di giustizia (e anche la Corte di Cassazione) hanno nella giurisprudenza più recete precisato i termini e l’effettiva portata della neutralità dell’imposta, riconoscendo il fatto che tale principio non possa essere invocato indistintamente in tutte le situazioni nelle quali si ravvisa una frode iva. Al contrario, in tali casi è necessario verificare la consapevole partecipazione o meno a quest’ultima da parte del contribuente per poter riconoscere allo stesso il diritto di detrazione, e quindi un’applicazione neutrale del tributo. Questa ulteriore indagine, tuttavia, ha finito progressivamente con il subordinare l’applicazione dell’imposta a profili di natura soggettiva (consapevolezza o ignoranza colpevole della frode) che ne rendono più incerta l’applicazione. L’auspicio, in questo senso, è che in prospettiva la giurisprudenza e la letteratura siano in grado di bilanciare in modo ragionevole l’una e l’altra istanza, in ossequio al generale principio di proporzionalità nell’applicazione dell’iva e dei rimedi finalizzati a contrastare le situazioni abusive e frodatorie.

Frodi fiscali e neutralità del tributo nella disciplina del'IVA

GREGGI, Marco
2016

Abstract

Il postulato sul quale è stata immaginata e poi attuata l’imposta sul valore aggiunto nella comunità economica europea prima, e nell’Unione ora, vede la neutralità del tributo come una sua caratteristica essenziale ed imprescindibile: questa si attua attraverso il riconoscimento dell’obbligo di rivalsa e del diritto di detrazione in capo all’operatore economico. Tale scelta deriva dalla necessità di immaginare un’imposta che garantisca, nel modo migliore, la realizzazione di un mercato comune, e che non fosse di impedimento alla libertà degli scambi. L’esperienza recente, tuttavia, ha registrato un sempre crescente numero di frodi perpetrate a danno dell’erario che muovono tutte, più o meno indistintamente, da un esercizio distorto del diritto di detrazione o da una simulazione di operazioni commerciali che non hanno mai avuto luogo nella realtà. Per questo motivo la Corte di giustizia (e anche la Corte di Cassazione) hanno nella giurisprudenza più recete precisato i termini e l’effettiva portata della neutralità dell’imposta, riconoscendo il fatto che tale principio non possa essere invocato indistintamente in tutte le situazioni nelle quali si ravvisa una frode iva. Al contrario, in tali casi è necessario verificare la consapevole partecipazione o meno a quest’ultima da parte del contribuente per poter riconoscere allo stesso il diritto di detrazione, e quindi un’applicazione neutrale del tributo. Questa ulteriore indagine, tuttavia, ha finito progressivamente con il subordinare l’applicazione dell’imposta a profili di natura soggettiva (consapevolezza o ignoranza colpevole della frode) che ne rendono più incerta l’applicazione. L’auspicio, in questo senso, è che in prospettiva la giurisprudenza e la letteratura siano in grado di bilanciare in modo ragionevole l’una e l’altra istanza, in ossequio al generale principio di proporzionalità nell’applicazione dell’iva e dei rimedi finalizzati a contrastare le situazioni abusive e frodatorie.
2016
Greggi, Marco
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