Nel corso degli anni, la sfera della procreazione ha progressivamente perso la propria connotazione naturalistica, grazie alla messa a punto di tecniche che hanno reso possibili gravidanze e nascite che altrimenti non si sarebbero verificate, o hanno impedito quelle non volute. Da qui, l’emergere di rilevanti problemi biogiuridici, di fronte ai quali il giurista ha spesso dovuto ammettere l’inadeguatezza delle proprie risorse concettuali e che, nondimeno, è chiamato a regolare. Le wrongful life actions (letteralmente, “azioni di risarcimento per vite sbagliate o indesiderate”) ben esemplificano le difficoltà etiche e giuridiche che quest’ultimo è tenuto a fronteggiare, alla ricerca di un precario equilibrio tra il formalismo e l’equità, tra il riconoscimento delle situazioni di disagio e difficoltà e, di converso, il rischio di esclusione e stigmatizzazione. Tali azioni, nate in America negli anni Sessanta e ben presto diffusesi in tutto il mondo, si configurano come richieste di risarcimento del danno per omessa diagnosi pre-concepimento o prenatale, richiesto iure proprio dal nato (o dal suo rappresentante legale), il quale lamenta la dannosità del proprio stato esistenziale. Le casistiche che si sono verificate negli anni, molte ed assai varie, hanno avuto ad oggetto diversi profili della condizione esistenziale del ricorrente, non necessariamente riconducibili alla disabilità, e hanno visto tra i legittimati passivi all’azione i genitori (Zepeda v. Zepeda), lo Stato (Williams v. State of New York), o il medico che ha effettuato la diagnosi (a partire da Gleitman v. Cosgrove). Di seguito mi concentrerò unicamente sui casi di malpractice medica prenatale. A tal fine, effettuerò una ricostruzione delle principali posizioni adottate dalle Corti e dalla dottrina, riservando un’attenzione specifica al contesto italiano, attraverso una breve analisi della sentenza Cass. civ. sez. III n. 16754/2012. Offrirò poi una valutazione dell’azione in oggetto adottando il punto di vista di una prospettiva critica emergente, i Disability Studies, per suggerire infine una possibile soluzione, volta al contemperamento delle diverse esigenze in campo.
It’s a wrongful life. Analisi e fraintendimenti di una controversa azione civile
BERNARDINI, Maria Giulia
2015
Abstract
Nel corso degli anni, la sfera della procreazione ha progressivamente perso la propria connotazione naturalistica, grazie alla messa a punto di tecniche che hanno reso possibili gravidanze e nascite che altrimenti non si sarebbero verificate, o hanno impedito quelle non volute. Da qui, l’emergere di rilevanti problemi biogiuridici, di fronte ai quali il giurista ha spesso dovuto ammettere l’inadeguatezza delle proprie risorse concettuali e che, nondimeno, è chiamato a regolare. Le wrongful life actions (letteralmente, “azioni di risarcimento per vite sbagliate o indesiderate”) ben esemplificano le difficoltà etiche e giuridiche che quest’ultimo è tenuto a fronteggiare, alla ricerca di un precario equilibrio tra il formalismo e l’equità, tra il riconoscimento delle situazioni di disagio e difficoltà e, di converso, il rischio di esclusione e stigmatizzazione. Tali azioni, nate in America negli anni Sessanta e ben presto diffusesi in tutto il mondo, si configurano come richieste di risarcimento del danno per omessa diagnosi pre-concepimento o prenatale, richiesto iure proprio dal nato (o dal suo rappresentante legale), il quale lamenta la dannosità del proprio stato esistenziale. Le casistiche che si sono verificate negli anni, molte ed assai varie, hanno avuto ad oggetto diversi profili della condizione esistenziale del ricorrente, non necessariamente riconducibili alla disabilità, e hanno visto tra i legittimati passivi all’azione i genitori (Zepeda v. Zepeda), lo Stato (Williams v. State of New York), o il medico che ha effettuato la diagnosi (a partire da Gleitman v. Cosgrove). Di seguito mi concentrerò unicamente sui casi di malpractice medica prenatale. A tal fine, effettuerò una ricostruzione delle principali posizioni adottate dalle Corti e dalla dottrina, riservando un’attenzione specifica al contesto italiano, attraverso una breve analisi della sentenza Cass. civ. sez. III n. 16754/2012. Offrirò poi una valutazione dell’azione in oggetto adottando il punto di vista di una prospettiva critica emergente, i Disability Studies, per suggerire infine una possibile soluzione, volta al contemperamento delle diverse esigenze in campo.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.