Nella giungla degli strumenti legali di proprietà intellettuale collegati alla qualità dei cibi (almeno nel complesso sistema nazionale ed europeo) è venuto a crearsi un vero e proprio "caos", che rende impossibile riportare ordine. Ciò genera nel consumatore uno stato di confusione, per l'estrema difficoltà di comprendere quali segni sono caratterizzati da una tutela legale delle qualità alimentari ad essi collegate, e quali invece non forniscono tale garanzia. Pertanto, i segni distintivi, e in particolare le DOP e le IGP, inventati dal legislatore europeo per trovare nuove fonti di reddito agli agricoltori (nuove, nel 1992, per l'Europa ma già ben note al diritto internazionale) hanno finito per avere enorme successo, come alternativa ai marchi (soprattutto a quelli collettivi). A fianco di DOP e IGP, l'UE ha creato una figura ibrida di scarso successo (l'articolo analizza i dati e le ragioni di tale fallimento). Parallelamente, a livello nazionale, alcuni Stati membri hanno iniziato a costruire "segni di qualità" nazionali, dapprima incontrando limiti da parte della Corte di giustizia (e della sua rigida interpretazione della disciplina DOP e IGP), ma oggi sostanzialmente ammessi, entro certi limiti, sia dal recente regolamento in materia (il n. 1151/2012), sia dalla disciplina dell'informazione al consumatore di alimenti (reg. UE n. 1169/2011). La creazione di tanti segni nazionali, disciplinati in modo spesso poco chiaro e comunque privi di requisiti sufficienti a garantire il legame tra segno e origine geografica (eppure molto suggestivi per il consumatore medio, ignaro delle forti differenze di significato giuridico tra i vari segni) sta generando una vera entropia nel sistema della proprietà intellettuale specifica del settore alimentare, in cui lo storytelling sovente prevale sulla reale efficacia della tutela.

Sovrapposizioni fra ordinamenti e “fantasia” del legislatore in tema di segni di qualità dei prodotti alimentari: entropia e storytelling

BORGHI, Paolo
2016

Abstract

Nella giungla degli strumenti legali di proprietà intellettuale collegati alla qualità dei cibi (almeno nel complesso sistema nazionale ed europeo) è venuto a crearsi un vero e proprio "caos", che rende impossibile riportare ordine. Ciò genera nel consumatore uno stato di confusione, per l'estrema difficoltà di comprendere quali segni sono caratterizzati da una tutela legale delle qualità alimentari ad essi collegate, e quali invece non forniscono tale garanzia. Pertanto, i segni distintivi, e in particolare le DOP e le IGP, inventati dal legislatore europeo per trovare nuove fonti di reddito agli agricoltori (nuove, nel 1992, per l'Europa ma già ben note al diritto internazionale) hanno finito per avere enorme successo, come alternativa ai marchi (soprattutto a quelli collettivi). A fianco di DOP e IGP, l'UE ha creato una figura ibrida di scarso successo (l'articolo analizza i dati e le ragioni di tale fallimento). Parallelamente, a livello nazionale, alcuni Stati membri hanno iniziato a costruire "segni di qualità" nazionali, dapprima incontrando limiti da parte della Corte di giustizia (e della sua rigida interpretazione della disciplina DOP e IGP), ma oggi sostanzialmente ammessi, entro certi limiti, sia dal recente regolamento in materia (il n. 1151/2012), sia dalla disciplina dell'informazione al consumatore di alimenti (reg. UE n. 1169/2011). La creazione di tanti segni nazionali, disciplinati in modo spesso poco chiaro e comunque privi di requisiti sufficienti a garantire il legame tra segno e origine geografica (eppure molto suggestivi per il consumatore medio, ignaro delle forti differenze di significato giuridico tra i vari segni) sta generando una vera entropia nel sistema della proprietà intellettuale specifica del settore alimentare, in cui lo storytelling sovente prevale sulla reale efficacia della tutela.
2016
Borghi, Paolo
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