Secondo il cosiddetto paradosso Europeo, l’Europa è particolarmente efficace nel produrre innovazione, ma non ugualmente efficace nel commercializzarla, specie se confrontata con altri paesi come, ad esempio, gli Stati Uniti (Clarysse et al., 2007; Dosi et al., 2006; Conti e Gaule, 2011). L’Agenda di Lisbona, ossia il piano strategico di sviluppo dell’Unione Europea lanciato nel 2000, aveva tra i suoi obiettivi principali proprio quello di colmare questo ritardo, con un ruolo importante assegnato ai policy maker nello stabilire chiare norme per lo sfruttamento dei risultati della ricerca accademica. Sino ad ora parte del dibattito in letteratura si è concentrato sulla capacità degli scienziati di essere potenziali imprenditori e sulla desiderabilità della commercializzazione dei risultati accademici. In questo contesto, le relazioni università impresa hanno attirato grande attenzione negli ultimi anni (si vedano, tra gli altri, Abramo et al., 2012; Di Gregorio e Shane, 2003; Harrison e Leitch, 2010; Lockett et al., 2005). In particolare, l’imprenditorialità accademica è divenuta un fenomeno in grande espansione in tutto il mondo, stimolato sia da un cambiamento di ruolo delle università maggiormente orientate verso il trasferimento tecnologico e la commercializzazione diretta dell’attività di ricerca (la cosiddetta “terza missione”, che affianca quelle più tradizionali di formazione e ricerca), e da una crescente attenzione e supporto da parte delle istituzioni a livello sia locale che nazionale. Mentre gli Stati Uniti sono tradizionalmente considerati i pionieri del trasferimento tecnologico dall’università verso l’impresa, diversi paesi in Europa stanno mettendo in atto o discutendo l’implementazione di riforme che, analogamente a quanto ad esempio fatto dal Bayh-Dole Act, incoraggino la commercializzazione della ricerca universitaria. Molta della letteratura specializzata sembra essersi concentrata su aspetti quali l’attività di brevettazione delle università, le dinamiche di crescita e sopravvivenza degli spin off e gli interventi a supporto del trasferimento tecnologico. Minore attenzione sembra essere stata dedicata ad altri aspetti. In particolare la nostra analisi evidenzia una carenza di studi sulla valutazione dell’impatto sul territorio delle diverse misure di trasferimento tecnologico e della loro efficacia complessiva (Fontes, 2005; Shane, 2004; Vincett, 2010) e di analisi che cerchino di cogliere eventuali trade-off tra le diverse misure di trasferimento tecnologico possibili e che siano perciò in grado di dare indicazioni riguardo a quali policy sia più efficace implementare. Anche nel caso degli spin off, che sono una delle modalità di technology transfer più ampiamente studiate, la maggior parte delle analisi empiriche disponibili tende a valutarne l’efficacia concentrandosi sulle loro performance in termini assoluti (fatturato, crescita, tassi di sopravvivenza, ecc.), oppure confrontandole con quelle di altre imprese high tech di recente istituzione (Colombo e Piva, 2008 e 2012; Goethner e Cantner, 2010; Zhang, 2009, solo per citarne alcuni). Niente sembra invece essere stato scritto riguardo a quale dei diversi meccanismi di trasferimento tecnologico disponibili sia il più efficace, anche in rapporto ai costi e ai rischi che ciascuno di essi comporta.. In questo contributo, dopo aver delineato i cambiamenti che hanno caratterizzato la missione universitaria negli ultimi anni e dopo aver esplorato la letteratura riguardante l’imprenditorialità accademica, proporremo uno schema di analisi del fenomeno del trasferimento tecnologico in una prospettiva di valutazione di policy. In particolare, se ci focalizziamo sull’obiettivo di trasferire tecnologia dall’università all’impresa, e se ne dobbiamo valutare l’efficacia dei diversi strumenti a disposizione, è a nostro avviso necessario porsi domande quali, ad esempio, “cosa sarebbe successo se lo spin off non fosse stato creato?”, ed in particolare “cosa sarebbe successo agli altri possibili canali di trasferimento della tecnologia?”.

Innovazione e trasferimento tecnologico in una prospettiva di valutazione delle politiche

RUBINI, Lauretta
2014

Abstract

Secondo il cosiddetto paradosso Europeo, l’Europa è particolarmente efficace nel produrre innovazione, ma non ugualmente efficace nel commercializzarla, specie se confrontata con altri paesi come, ad esempio, gli Stati Uniti (Clarysse et al., 2007; Dosi et al., 2006; Conti e Gaule, 2011). L’Agenda di Lisbona, ossia il piano strategico di sviluppo dell’Unione Europea lanciato nel 2000, aveva tra i suoi obiettivi principali proprio quello di colmare questo ritardo, con un ruolo importante assegnato ai policy maker nello stabilire chiare norme per lo sfruttamento dei risultati della ricerca accademica. Sino ad ora parte del dibattito in letteratura si è concentrato sulla capacità degli scienziati di essere potenziali imprenditori e sulla desiderabilità della commercializzazione dei risultati accademici. In questo contesto, le relazioni università impresa hanno attirato grande attenzione negli ultimi anni (si vedano, tra gli altri, Abramo et al., 2012; Di Gregorio e Shane, 2003; Harrison e Leitch, 2010; Lockett et al., 2005). In particolare, l’imprenditorialità accademica è divenuta un fenomeno in grande espansione in tutto il mondo, stimolato sia da un cambiamento di ruolo delle università maggiormente orientate verso il trasferimento tecnologico e la commercializzazione diretta dell’attività di ricerca (la cosiddetta “terza missione”, che affianca quelle più tradizionali di formazione e ricerca), e da una crescente attenzione e supporto da parte delle istituzioni a livello sia locale che nazionale. Mentre gli Stati Uniti sono tradizionalmente considerati i pionieri del trasferimento tecnologico dall’università verso l’impresa, diversi paesi in Europa stanno mettendo in atto o discutendo l’implementazione di riforme che, analogamente a quanto ad esempio fatto dal Bayh-Dole Act, incoraggino la commercializzazione della ricerca universitaria. Molta della letteratura specializzata sembra essersi concentrata su aspetti quali l’attività di brevettazione delle università, le dinamiche di crescita e sopravvivenza degli spin off e gli interventi a supporto del trasferimento tecnologico. Minore attenzione sembra essere stata dedicata ad altri aspetti. In particolare la nostra analisi evidenzia una carenza di studi sulla valutazione dell’impatto sul territorio delle diverse misure di trasferimento tecnologico e della loro efficacia complessiva (Fontes, 2005; Shane, 2004; Vincett, 2010) e di analisi che cerchino di cogliere eventuali trade-off tra le diverse misure di trasferimento tecnologico possibili e che siano perciò in grado di dare indicazioni riguardo a quali policy sia più efficace implementare. Anche nel caso degli spin off, che sono una delle modalità di technology transfer più ampiamente studiate, la maggior parte delle analisi empiriche disponibili tende a valutarne l’efficacia concentrandosi sulle loro performance in termini assoluti (fatturato, crescita, tassi di sopravvivenza, ecc.), oppure confrontandole con quelle di altre imprese high tech di recente istituzione (Colombo e Piva, 2008 e 2012; Goethner e Cantner, 2010; Zhang, 2009, solo per citarne alcuni). Niente sembra invece essere stato scritto riguardo a quale dei diversi meccanismi di trasferimento tecnologico disponibili sia il più efficace, anche in rapporto ai costi e ai rischi che ciascuno di essi comporta.. In questo contributo, dopo aver delineato i cambiamenti che hanno caratterizzato la missione universitaria negli ultimi anni e dopo aver esplorato la letteratura riguardante l’imprenditorialità accademica, proporremo uno schema di analisi del fenomeno del trasferimento tecnologico in una prospettiva di valutazione di policy. In particolare, se ci focalizziamo sull’obiettivo di trasferire tecnologia dall’università all’impresa, e se ne dobbiamo valutare l’efficacia dei diversi strumenti a disposizione, è a nostro avviso necessario porsi domande quali, ad esempio, “cosa sarebbe successo se lo spin off non fosse stato creato?”, ed in particolare “cosa sarebbe successo agli altri possibili canali di trasferimento della tecnologia?”.
2014
978-88-204-7909-1
Valutazione delle politiche, trasferimento tecnologico, terza missione, imprenditorialità accademica.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/2326295
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