La frequenza cardiaca è il principale determinante della portata e del consumo di ossigeno miocardico. Di conseguenza la modulazione della frequenza cardiaca gioca un ruolo fisiopatologico importante nelle malattie cardiovascolari, al punto che un’elevata frequenza cardiaca potrebbe, in futuro, anche essere considerata un fattore di rischio cardiovascolare [1,2]. Dati epidemiologici rivelano che la sopravvivenza è inversamente correlata alla frequenza cardiaca nella popolazione generale, nei malati cardiopatici, e in alcune patologie non cardiache quali le malattie polmonari ed oncologiche [3,4]. Non solo, ma circa 20 anni fa, e precisamente nel 1997, Levine ha rivisitato la relazione tra frequenza cardiaca e durata della vita nel regno animale [5]. Più piccoli sono gli animali, maggiore è la frequenza cardiaca e minore la durata della vita. Esiste infatti una relazione lineare tra frequenza cardiaca e aspettativa di vita, che vale per tutti i mammiferi ma non per l’uomo. Questo stretto rapporto è spiegato dalla biofisica; la quantità di calore perso dal corpo, che è funzione della massa, aumenta se diminuisce la taglia dell’animale. La dispersione di calore è uno specchio del consumo energetico ed è correlata alla frequenza cardiaca. In altre parole, la frequenza cardiaca rappresenta un indicatore del consumo energetico del corpo. La frequenza cardiaca, infatti, controlla, mediante lo shear stress, il rilascio endoteliale di ossido nitrico e di conseguenza il grado di dilatazione periferica da cui, in ultima analisi, dipende il consumo energetico globale e la dispersione di calore. Inoltre, e questo vale per i mammiferi, curiosamente il numero totale di battiti cardiaci nell’arco della vita media è costante malgrado una differenza di 40 volte rispetto la sopravvivenza media.

CORRENTE IF COME NUOVO TARGET TERAPEUTICO NELL’ANGINA STABILE

FERRARI, Roberto;G. Guardigli;CECONI, Claudio
2006

Abstract

La frequenza cardiaca è il principale determinante della portata e del consumo di ossigeno miocardico. Di conseguenza la modulazione della frequenza cardiaca gioca un ruolo fisiopatologico importante nelle malattie cardiovascolari, al punto che un’elevata frequenza cardiaca potrebbe, in futuro, anche essere considerata un fattore di rischio cardiovascolare [1,2]. Dati epidemiologici rivelano che la sopravvivenza è inversamente correlata alla frequenza cardiaca nella popolazione generale, nei malati cardiopatici, e in alcune patologie non cardiache quali le malattie polmonari ed oncologiche [3,4]. Non solo, ma circa 20 anni fa, e precisamente nel 1997, Levine ha rivisitato la relazione tra frequenza cardiaca e durata della vita nel regno animale [5]. Più piccoli sono gli animali, maggiore è la frequenza cardiaca e minore la durata della vita. Esiste infatti una relazione lineare tra frequenza cardiaca e aspettativa di vita, che vale per tutti i mammiferi ma non per l’uomo. Questo stretto rapporto è spiegato dalla biofisica; la quantità di calore perso dal corpo, che è funzione della massa, aumenta se diminuisce la taglia dell’animale. La dispersione di calore è uno specchio del consumo energetico ed è correlata alla frequenza cardiaca. In altre parole, la frequenza cardiaca rappresenta un indicatore del consumo energetico del corpo. La frequenza cardiaca, infatti, controlla, mediante lo shear stress, il rilascio endoteliale di ossido nitrico e di conseguenza il grado di dilatazione periferica da cui, in ultima analisi, dipende il consumo energetico globale e la dispersione di calore. Inoltre, e questo vale per i mammiferi, curiosamente il numero totale di battiti cardiaci nell’arco della vita media è costante malgrado una differenza di 40 volte rispetto la sopravvivenza media.
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