Il carcinoma della cervice uterina è attribuibile ad infezione da papilloma virus umano (HPV) praticamente nella totalità dei casi; la persistenza dell’infezione, inoltre, è necessaria per lo sviluppo delle lesioni intraepiteliali. Le evidenze a tale riguardo hanno suggerito l’applicazione di test molecolari per la ricerca di HPV ad alto rischio oncogeno (HR-HPV) nei programmi di screening. Fin dal 2006, il Ministero della Salute ha introdotto il test HPV nei protocolli da adottare per la prevenzione del carcinoma della cervice uterina, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo del test HR-HPV nel triage delle diagnosi citologiche di ASC-US e nel monitoraggio delle pazienti dopo trattamento di lesioni CIN2+ (1). Le Raccomandazioni del Ministero sottolineano inoltre l’importanza dei risultati dello studio italiano multicentrico NTCC (4/9) per la possibile introduzione del test HR-HPV come test di screening primario. Nel 2007 sono stati pubblicati i risultati di due trial randomizzati controllati che hanno paragonato la performance del test HR-HPV con quella del Pap test tradizionale nell’ambito dello screening del cervicocarcinoma (2,3). Il trial olandese ha dimostrato che il test HR-HPV aumenta la capacità diagnostica di lesioni CIN3+ del 70% rispetto al Pap test, mentre dopo 5 anni da un test HR-HPV negativo si osserva una riduzione delle stesse lesioni del 55% rispetto a quelle osservate nelle donne con precedente Pap test negativo (2). Dati analoghi sono stati osservati per le lesioni CIN2. Inoltre la somma di tali lesioni diagnosticate dalle due strategie in due episodi di screening (arruolamento nello studio e rescreening a cinque anni) è sovrapponibile. Questo dimostra che, per le donne al di sopra dei 30 anni, non vi è una sovradiagnosi significativa dovuta al test per l’HPV, ossia che le lesioni diagnosticate in più dal test HR-HPV all’arruolamento non sarebbero regredite spontaneamente. Pertanto la maggiore sensibilità del test HR-HPV osservata negli studi trasversali può essere interamente considerata come anticipazione della diagnosi rispetto al Pap test tradizionale, a patto che si seguano adeguati protocolli di gestione delle donne HR-HPV positive. Il trial svedese (3) riporta un incremento di sensibilità per lesioni CIN2+ del 51% all’arruolamento e, dopo 4 anni da un test HPV negativo, una riduzione di lesioni CIN2+ del 42% e di CIN3+ del 47%. Analogamente a quanto riportato nello studio olandese, anche in questa casistica non si è osservata alcuna sovradiagnosi. In Italia si sta per concludere un trial multicentrico di grandi dimensioni (NTCC), con circa 100.000 donne arruolate, sulla performance del test HPV. I dati relativi all’arruolamento in NTCC (4/8) hanno prodotto risultati sovrapponibili a quelli dei trial citati: il test HPV ha una sensibilità nettamente superiore rispetto al Pap test sia nelle donne di età compresa tra i 25 ed i 34 anni che in quelle di età superiore. Lo studio ha messo in evidenza che la maggiore sensibilità del test HPV si traduce in una maggiore prevenzione del carcinoma della cervice uterina, ragionevolmente dovuta al trattamento di CIN2/3 non individuati dal Pap-test. Anche in questo studio la sovradiagnosi nelle donne al di sopra dei 35 anni è modesta. Nelle donne fra i 25 e i 35 anni, la sovradiagnosi è stata invece evidente, in particolare quando si è adottato un protocollo con invio diretto in colposcopia per tutte le donne HR-HPV positive, ma anche quando si è applicato il protocollo con triage citologico (9). Il progetto è stato condotto nell’ambito di programmi di screening organizzati. I risultati preliminari relativi al rescreening mostrano che le donne con HR-HPV negativo all’arruolamento sono protette dalla malattia per un tempo più lungo rispetto ai tre anni previsti per il Pap test. Il consolidamento di questi dati ha portato a ipotizzare, in caso di screening con test HR-HPV, un aumento dell’intervallo di screening da 3 a 5-6 anni, grazie alla maggiore protezione fornita da questo test (anticipazione diagnostica e maggior sensibilità) rispetto al Pap test. I progetti di fattibilità oggi in corso prevedono l’introduzione del test HPV come test di screening primario sia nella fascia 25-64 anni che nella fascia 35 anni-64 anni, in questo caso le donne della fascia d’età 25-34 anni sono invitate ad effettuare un Pap test. Sulla base di queste evidenze scientifiche il Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie (CCM) del Ministero della Salute ha preso in considerazione l’ipotesi di modificare le Raccomandazioni del 2006 (1). Il GISCi condivide tale posizione, che prevede l’introduzione del test HPV nello screening primario all’interno di applicazioni controllate con l’obiettivo di testarlo nella pratica.
Documento GISCI:Raccomandazioni sul test HR-HPV come test di screening primario e rivisitazione del ruolo del Pap test
MAESTRI, Iva;
2010
Abstract
Il carcinoma della cervice uterina è attribuibile ad infezione da papilloma virus umano (HPV) praticamente nella totalità dei casi; la persistenza dell’infezione, inoltre, è necessaria per lo sviluppo delle lesioni intraepiteliali. Le evidenze a tale riguardo hanno suggerito l’applicazione di test molecolari per la ricerca di HPV ad alto rischio oncogeno (HR-HPV) nei programmi di screening. Fin dal 2006, il Ministero della Salute ha introdotto il test HPV nei protocolli da adottare per la prevenzione del carcinoma della cervice uterina, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo del test HR-HPV nel triage delle diagnosi citologiche di ASC-US e nel monitoraggio delle pazienti dopo trattamento di lesioni CIN2+ (1). Le Raccomandazioni del Ministero sottolineano inoltre l’importanza dei risultati dello studio italiano multicentrico NTCC (4/9) per la possibile introduzione del test HR-HPV come test di screening primario. Nel 2007 sono stati pubblicati i risultati di due trial randomizzati controllati che hanno paragonato la performance del test HR-HPV con quella del Pap test tradizionale nell’ambito dello screening del cervicocarcinoma (2,3). Il trial olandese ha dimostrato che il test HR-HPV aumenta la capacità diagnostica di lesioni CIN3+ del 70% rispetto al Pap test, mentre dopo 5 anni da un test HR-HPV negativo si osserva una riduzione delle stesse lesioni del 55% rispetto a quelle osservate nelle donne con precedente Pap test negativo (2). Dati analoghi sono stati osservati per le lesioni CIN2. Inoltre la somma di tali lesioni diagnosticate dalle due strategie in due episodi di screening (arruolamento nello studio e rescreening a cinque anni) è sovrapponibile. Questo dimostra che, per le donne al di sopra dei 30 anni, non vi è una sovradiagnosi significativa dovuta al test per l’HPV, ossia che le lesioni diagnosticate in più dal test HR-HPV all’arruolamento non sarebbero regredite spontaneamente. Pertanto la maggiore sensibilità del test HR-HPV osservata negli studi trasversali può essere interamente considerata come anticipazione della diagnosi rispetto al Pap test tradizionale, a patto che si seguano adeguati protocolli di gestione delle donne HR-HPV positive. Il trial svedese (3) riporta un incremento di sensibilità per lesioni CIN2+ del 51% all’arruolamento e, dopo 4 anni da un test HPV negativo, una riduzione di lesioni CIN2+ del 42% e di CIN3+ del 47%. Analogamente a quanto riportato nello studio olandese, anche in questa casistica non si è osservata alcuna sovradiagnosi. In Italia si sta per concludere un trial multicentrico di grandi dimensioni (NTCC), con circa 100.000 donne arruolate, sulla performance del test HPV. I dati relativi all’arruolamento in NTCC (4/8) hanno prodotto risultati sovrapponibili a quelli dei trial citati: il test HPV ha una sensibilità nettamente superiore rispetto al Pap test sia nelle donne di età compresa tra i 25 ed i 34 anni che in quelle di età superiore. Lo studio ha messo in evidenza che la maggiore sensibilità del test HPV si traduce in una maggiore prevenzione del carcinoma della cervice uterina, ragionevolmente dovuta al trattamento di CIN2/3 non individuati dal Pap-test. Anche in questo studio la sovradiagnosi nelle donne al di sopra dei 35 anni è modesta. Nelle donne fra i 25 e i 35 anni, la sovradiagnosi è stata invece evidente, in particolare quando si è adottato un protocollo con invio diretto in colposcopia per tutte le donne HR-HPV positive, ma anche quando si è applicato il protocollo con triage citologico (9). Il progetto è stato condotto nell’ambito di programmi di screening organizzati. I risultati preliminari relativi al rescreening mostrano che le donne con HR-HPV negativo all’arruolamento sono protette dalla malattia per un tempo più lungo rispetto ai tre anni previsti per il Pap test. Il consolidamento di questi dati ha portato a ipotizzare, in caso di screening con test HR-HPV, un aumento dell’intervallo di screening da 3 a 5-6 anni, grazie alla maggiore protezione fornita da questo test (anticipazione diagnostica e maggior sensibilità) rispetto al Pap test. I progetti di fattibilità oggi in corso prevedono l’introduzione del test HPV come test di screening primario sia nella fascia 25-64 anni che nella fascia 35 anni-64 anni, in questo caso le donne della fascia d’età 25-34 anni sono invitate ad effettuare un Pap test. Sulla base di queste evidenze scientifiche il Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie (CCM) del Ministero della Salute ha preso in considerazione l’ipotesi di modificare le Raccomandazioni del 2006 (1). Il GISCi condivide tale posizione, che prevede l’introduzione del test HPV nello screening primario all’interno di applicazioni controllate con l’obiettivo di testarlo nella pratica.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.