Studiata fin dai primi anni di questo secolo, la combustione elettrochimica fu inizialmente oggetto della ricerca di fonti energetiche alternative: si pensò alle molecole di metanolo, etilene, acido formico... per l’alimentazione delle celle a combustibile. I materiali elettrodici utilizzati (platino, palladio, iridio...) sono metalli dalle note proprietà catalitiche e vennero presi in considerazione, quali elettrodi, con la “presunzione” che le loro attitudini chimiche rimanessero invariate anche sotto condizione di polarizzazione. In realtà, per ovviare ai processi di adsorbimento fisico o chimico dei substrati organici all’elettrodo, o per determinare la completa mineralizzazione dei frammenti carboniosi responsabili dell’avvelenamento della stessa superficie elettrodica, si rendono necessarie condizioni di polarizzazione così anodiche da determinare mutamenti chimico-strutturali nel materiale. L’iniziale superficie metallica viene così ad essere ricoperta di uno strato più o meno definibile di metallo ossidato, con conseguente perdita di stabilità, o delle caratteristiche di catalizzatori che ne avevano promosso la scelta, degli anodi impiegati. Come per ogni reazione chimica, il processo è dunque suscettibile di migliorie; definito il materiale elettrodico, si può “giocare” sulla densità di corrente, sulla quantità di substrato reagente, o semplicemente sulle caratteristiche dell’ambiente di reazione: temperatura, pH, conducibilità, eventuale presenza di mediatori di ossidazione. Tali parametri vanno osservati nell’ambito dell’intero sistema di depurazione, considerando che l’acqua trattata andrà in seguito scaricata in un corso d’acqua, oppure riutilizzata. Lo stesso trattamento elettrochimico dev’essere comunque oggetto di controllo: la “metabolizzazione” di un substrato non biodegradabile non deve ovviamente dare origine a substrati forse più semplici ma dal più elevato carico inquinante (inteso come “tossicità” del substrato stesso), ed occorre quindi affiancare al metodo le opportune analisi di controllo.

Studio dell’abbattimento di inquinanti organici in reflui industriali

FERRO, Sergio;LODI, Gaetano;DE BATTISTI, Achille
1998

Abstract

Studiata fin dai primi anni di questo secolo, la combustione elettrochimica fu inizialmente oggetto della ricerca di fonti energetiche alternative: si pensò alle molecole di metanolo, etilene, acido formico... per l’alimentazione delle celle a combustibile. I materiali elettrodici utilizzati (platino, palladio, iridio...) sono metalli dalle note proprietà catalitiche e vennero presi in considerazione, quali elettrodi, con la “presunzione” che le loro attitudini chimiche rimanessero invariate anche sotto condizione di polarizzazione. In realtà, per ovviare ai processi di adsorbimento fisico o chimico dei substrati organici all’elettrodo, o per determinare la completa mineralizzazione dei frammenti carboniosi responsabili dell’avvelenamento della stessa superficie elettrodica, si rendono necessarie condizioni di polarizzazione così anodiche da determinare mutamenti chimico-strutturali nel materiale. L’iniziale superficie metallica viene così ad essere ricoperta di uno strato più o meno definibile di metallo ossidato, con conseguente perdita di stabilità, o delle caratteristiche di catalizzatori che ne avevano promosso la scelta, degli anodi impiegati. Come per ogni reazione chimica, il processo è dunque suscettibile di migliorie; definito il materiale elettrodico, si può “giocare” sulla densità di corrente, sulla quantità di substrato reagente, o semplicemente sulle caratteristiche dell’ambiente di reazione: temperatura, pH, conducibilità, eventuale presenza di mediatori di ossidazione. Tali parametri vanno osservati nell’ambito dell’intero sistema di depurazione, considerando che l’acqua trattata andrà in seguito scaricata in un corso d’acqua, oppure riutilizzata. Lo stesso trattamento elettrochimico dev’essere comunque oggetto di controllo: la “metabolizzazione” di un substrato non biodegradabile non deve ovviamente dare origine a substrati forse più semplici ma dal più elevato carico inquinante (inteso come “tossicità” del substrato stesso), ed occorre quindi affiancare al metodo le opportune analisi di controllo.
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