Una recente tendenza si sta affermando nella giurisprudenza, specie quella amministrativa: con il riferimento alla CEDU contenuto nel TUE (art. 6) e con l’acquisto di forza giuridica pari a quella dei Trattati ivi riconosciuto della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, i giudici interni sono tentati di far ricorso alla CEDU e alla garanzia dei diritti ivi contenuta come se si trattasse di diritto dell’UE con tutto quello che ne consegue. Ossia, con la possibilità di non seguire la nota dottrina della Corte costituzionale (sentt. nn. 348 e 349/2007) che impone il sollevamento di una questione di costituzionalità in caso di contrasto tra legge nazionale e CEDU, bensì di ricorrere direttamente alla non applicazione della legge e all’applicazione della Convenzione. Si tratta di tendenze già affiorate in passato e smentite dalla Corte costituzionale, la quale oggi (sent. n. 80/2011) ha dovuto negare che il Trattato di Lisbona innovasse il quadro precedente delle fonti. L’articolo evidenzia le aporie e le approssimazioni della tendenza giurisprudenziale in atto, assieme ai rischi che essa comporta, criticando anche le dottrine più recenti che sembrano aver alimentato una simile interpretazione del Trattato di Lisbona. Per supportare la tesi della necessità di rispettare i limiti competenziali dell’UE anche quando si tratta di far valere diritti riprodotti nella Carta di Nizza, si compie anche un’analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia, da cui emerge l’erroneità dell’approccio dottrinario e giurisprudenziale interno e la delicatezza del ricorso alla Carta di Nizza anche nei casi in cui la fattispecie assuma rilevanza per l’ordinamento dell’UE. Il tutto sconsiglierebbe di abbandonare la dottrina che pur faticosamente la Corte costituzionale ha formulato nelle sentt. nn. 348 e 349 cit. e il modello del sindacato accentrato sui conflitti tra legge nazionale e CEDU.
I DIRITTI FONDAMENTALI DOPO LISBONA E LA CONFUSIONE DEL SISTEMA DELLE FONTI
GUAZZAROTTI, Andrea
2011
Abstract
Una recente tendenza si sta affermando nella giurisprudenza, specie quella amministrativa: con il riferimento alla CEDU contenuto nel TUE (art. 6) e con l’acquisto di forza giuridica pari a quella dei Trattati ivi riconosciuto della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, i giudici interni sono tentati di far ricorso alla CEDU e alla garanzia dei diritti ivi contenuta come se si trattasse di diritto dell’UE con tutto quello che ne consegue. Ossia, con la possibilità di non seguire la nota dottrina della Corte costituzionale (sentt. nn. 348 e 349/2007) che impone il sollevamento di una questione di costituzionalità in caso di contrasto tra legge nazionale e CEDU, bensì di ricorrere direttamente alla non applicazione della legge e all’applicazione della Convenzione. Si tratta di tendenze già affiorate in passato e smentite dalla Corte costituzionale, la quale oggi (sent. n. 80/2011) ha dovuto negare che il Trattato di Lisbona innovasse il quadro precedente delle fonti. L’articolo evidenzia le aporie e le approssimazioni della tendenza giurisprudenziale in atto, assieme ai rischi che essa comporta, criticando anche le dottrine più recenti che sembrano aver alimentato una simile interpretazione del Trattato di Lisbona. Per supportare la tesi della necessità di rispettare i limiti competenziali dell’UE anche quando si tratta di far valere diritti riprodotti nella Carta di Nizza, si compie anche un’analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia, da cui emerge l’erroneità dell’approccio dottrinario e giurisprudenziale interno e la delicatezza del ricorso alla Carta di Nizza anche nei casi in cui la fattispecie assuma rilevanza per l’ordinamento dell’UE. Il tutto sconsiglierebbe di abbandonare la dottrina che pur faticosamente la Corte costituzionale ha formulato nelle sentt. nn. 348 e 349 cit. e il modello del sindacato accentrato sui conflitti tra legge nazionale e CEDU.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.