Il termine pietra artificiale è propriamente introdotto non prima della seconda metà dell’ottocento, ma una terminologia affine, quale ad esempio pietra artefatta, pietra ricostituita, pietra ricomposta o marmorino, rimanda a una tradizione plurisecolare di surrogati e imitazioni della pietra naturale. E’ però l’introduzione del cemento come legante a determinare la realizzazione di quella che propriamente si definisce pietra artificiale o talvolta litocemento, e che trova una eccezionale diffusione e sperimentazione nei modellati e negli apparati decorativi correlati inizialmente allo stile Liberty, e successivamente al ritorno degli storicismi ecclettici e infine nel Decò. Erroneamente si ritiene che con la conclusione dell’esperienza floreale e Decò si interrompa anche la realizzazione e la produzione della pietra artificiale. La pietra artificiale, invece, abbandonata la sua veste decorativa, si reinventa come materiale da rivestimento, seguendo appieno le nuove linee architettoniche del razionalismo e dell’architettura littoria. Questo processo è del resto favorito anche dalla politica autarchica imposta dal regime fascista a partire dal 1926. Le politiche protezionistiche messe in atto puntarono a una forte rivalutazione del settore estrattivo di pietra naturale e al rilancio della richiesta interna di materiali lapidei Quando le risorse economiche non permettevano però l’utilizzo della pietra naturale, si ricorreva abbondantemente alla p.a. La pietra artificiale si dimostra pertanto un materiale pienamente autarchico, non solo perché surrogato di un materiale favorito e voluto dal regime, ma poiché realizzata ricorrendo a componenti prettamenti italiani, come il cemento o più propriamente il cemento bianco, e a componenti di scarto e di recupero, come le polveri e le graniglie di pietre naturali. Una composizione semplice che consentiva però di ottenere una varietà di pietre imitate molto ampia e diversificata, ma che soprattutto permetteva di replicare con grande efficacia il travertino, pietra simbolo del periodo fascista. Pur diffondendosi come risposta industriale alla pietra naturale, come dimostrano numerosi brevetti depositati a partire dalla fine dell’ottocento, permane indissolubile il legame alla lavorazione tradizionale di bottega, soprattutto nella fase di realizzazione e di finitura.

Intervento su invito: "La pietra artificiale nell’architettura del ventennio fascista", nell'ambito del ciclo di incontri organizzato dall'Ordine degli Architetti della Provincia di Bologna "Dialoghi di architettura moderna" Salone del Restauro, 26 Marzo 2010, Ferrara.

ROCCHI, Luca
2010

Abstract

Il termine pietra artificiale è propriamente introdotto non prima della seconda metà dell’ottocento, ma una terminologia affine, quale ad esempio pietra artefatta, pietra ricostituita, pietra ricomposta o marmorino, rimanda a una tradizione plurisecolare di surrogati e imitazioni della pietra naturale. E’ però l’introduzione del cemento come legante a determinare la realizzazione di quella che propriamente si definisce pietra artificiale o talvolta litocemento, e che trova una eccezionale diffusione e sperimentazione nei modellati e negli apparati decorativi correlati inizialmente allo stile Liberty, e successivamente al ritorno degli storicismi ecclettici e infine nel Decò. Erroneamente si ritiene che con la conclusione dell’esperienza floreale e Decò si interrompa anche la realizzazione e la produzione della pietra artificiale. La pietra artificiale, invece, abbandonata la sua veste decorativa, si reinventa come materiale da rivestimento, seguendo appieno le nuove linee architettoniche del razionalismo e dell’architettura littoria. Questo processo è del resto favorito anche dalla politica autarchica imposta dal regime fascista a partire dal 1926. Le politiche protezionistiche messe in atto puntarono a una forte rivalutazione del settore estrattivo di pietra naturale e al rilancio della richiesta interna di materiali lapidei Quando le risorse economiche non permettevano però l’utilizzo della pietra naturale, si ricorreva abbondantemente alla p.a. La pietra artificiale si dimostra pertanto un materiale pienamente autarchico, non solo perché surrogato di un materiale favorito e voluto dal regime, ma poiché realizzata ricorrendo a componenti prettamenti italiani, come il cemento o più propriamente il cemento bianco, e a componenti di scarto e di recupero, come le polveri e le graniglie di pietre naturali. Una composizione semplice che consentiva però di ottenere una varietà di pietre imitate molto ampia e diversificata, ma che soprattutto permetteva di replicare con grande efficacia il travertino, pietra simbolo del periodo fascista. Pur diffondendosi come risposta industriale alla pietra naturale, come dimostrano numerosi brevetti depositati a partire dalla fine dell’ottocento, permane indissolubile il legame alla lavorazione tradizionale di bottega, soprattutto nella fase di realizzazione e di finitura.
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