L'articolo si incentra sulla decisione della Corte EDU che ha accertato la violazione della libertà religiosa (art. 9 CEDU) da parte dell'Italia per l'esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche. La vicenda giurisprudenziale è rivelatrice del peculiare ruolo svolto dalla Corte europea nei confronti degli Stati membri, legato alla peculiare posizione "esterna" del giudice europeo rispetto alle vicende storico-politiche che influiscono sulle declinazioni interne di certi diritti costituzionali classici, come la libertà religiosa. La composizione del collegio giudicante è tale da rendere, infatti, il giudice europeo meno esposto al “pre-giudizio” indotto dalla cultura maggioritaria di un determinato Paese (come mostrato in questi anni dalla giurisprudenza italiana in tema di simboli religiosi, specie quella del giudice amministrativo, inequivocabilmente sbilanciata verso un sostegno aprioristico delle ragioni del cattolicesimo contro le ragioni del pluralismo e della neutralità delle istituzioni pubbliche). Non solo. La Chiesa cattolica non assume, all’interno del Consiglio d’Europa, la stessa posizione maggioritaria goduta entro uno (o più) Stati membri, bensì, in qualche caso, il ruolo di minoranza che ricorre al giudice europeo contro le discriminazioni subite (ad es. in Grecia). Il che rende più attrezzato il giudice europeo ad adottare decisioni sulla di libertà religiosa in modo più distaccato rispetto a questa o quella confessione dominante sul piano nazionale. La vicenda giurisprudenziale, inoltre, è rivelatrice del ruolo cruciale della difesa statale nelle cause dinanzi a Strasburgo. Nel caso in questione, il nostro Governo ha incautamente evocato argomenti “politico-ideologici” più che giuridici, guardando più alla platea interna che ai delicati rapporti entro il Consiglio d’Europa (in particolare, legando aprioristicamente la democrazia e la tolleranza ai valori propri del solo cristianesimo, secondo una linea che non può essere fatta propria da un giudice “plurale” come quello europeo). Da ultimo, l’articolo riflette sugli effetti prodotti dalla decisione della Corte europea (nel caso essa diventi irrevocabile, se confermata in appello dalla Grande Camera) sull’ordinamento interno, analizzando la questione delle fonti interne nel loro rapporto con il diritto CEDU. Nel caso in oggetto, la vicenda è complicata dal fatto che la normativa interna sul crocifisso è di rango secondario e non primario, rendendosi difficoltoso l’eventuale coinvolgimento del giudice costituzionale. In tale scenario, il giudice comune (quello amministrativo) sarebbe chiamato a dar seguito alla sentenza definitiva di Strasburgo disapplicando i regolamenti interni sul crocifisso, ponendosi però il rischio che lo stesso giudice nazionale ritenga più conforme alla Costituzione italiana (specialmente al suo specifico rilievo dato alla Chiesa cattolica nell’art. 7) una normativa che privilegi i simboli della religione maggioritaria. Il che potrebbe – problematicamente – attuare lo schema di giudizio fatto valere dalla Corte costituzionale nelle sue decisioni sul rango e valore della CEDU nel sistema delle fonti italiano (sentt. nn. 348 e 349/2007): possibilità della CEDU di prevalere sulle fonti interne, ma non sulle singole norme costituzionali e non su quelle fonti (legislative) interne che meglio attuano un bilanciamento tra beni costituzionali coinvolti rispetto al bilanciamento offerto dal diritto CEDU (e dalla sua giurisprudenza). Sia pure con un escamotage, l’articolo si conclude proprio con l’auspicare che, in simile eventualità, il confronto tra standard costituzionale interno e standard europeo di tutela della libertà religiosa venga affidato alla Corte costituzionale, nonostante la fonte effettiva dell’obbligo di esporre il crocifisso continui a risiedere nei regolamenti del 1928-29 sugli “arredi scolastici”.

Il crocifisso visto da Strasburgo

GUAZZAROTTI, Andrea
2010

Abstract

L'articolo si incentra sulla decisione della Corte EDU che ha accertato la violazione della libertà religiosa (art. 9 CEDU) da parte dell'Italia per l'esposizione obbligatoria del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche. La vicenda giurisprudenziale è rivelatrice del peculiare ruolo svolto dalla Corte europea nei confronti degli Stati membri, legato alla peculiare posizione "esterna" del giudice europeo rispetto alle vicende storico-politiche che influiscono sulle declinazioni interne di certi diritti costituzionali classici, come la libertà religiosa. La composizione del collegio giudicante è tale da rendere, infatti, il giudice europeo meno esposto al “pre-giudizio” indotto dalla cultura maggioritaria di un determinato Paese (come mostrato in questi anni dalla giurisprudenza italiana in tema di simboli religiosi, specie quella del giudice amministrativo, inequivocabilmente sbilanciata verso un sostegno aprioristico delle ragioni del cattolicesimo contro le ragioni del pluralismo e della neutralità delle istituzioni pubbliche). Non solo. La Chiesa cattolica non assume, all’interno del Consiglio d’Europa, la stessa posizione maggioritaria goduta entro uno (o più) Stati membri, bensì, in qualche caso, il ruolo di minoranza che ricorre al giudice europeo contro le discriminazioni subite (ad es. in Grecia). Il che rende più attrezzato il giudice europeo ad adottare decisioni sulla di libertà religiosa in modo più distaccato rispetto a questa o quella confessione dominante sul piano nazionale. La vicenda giurisprudenziale, inoltre, è rivelatrice del ruolo cruciale della difesa statale nelle cause dinanzi a Strasburgo. Nel caso in questione, il nostro Governo ha incautamente evocato argomenti “politico-ideologici” più che giuridici, guardando più alla platea interna che ai delicati rapporti entro il Consiglio d’Europa (in particolare, legando aprioristicamente la democrazia e la tolleranza ai valori propri del solo cristianesimo, secondo una linea che non può essere fatta propria da un giudice “plurale” come quello europeo). Da ultimo, l’articolo riflette sugli effetti prodotti dalla decisione della Corte europea (nel caso essa diventi irrevocabile, se confermata in appello dalla Grande Camera) sull’ordinamento interno, analizzando la questione delle fonti interne nel loro rapporto con il diritto CEDU. Nel caso in oggetto, la vicenda è complicata dal fatto che la normativa interna sul crocifisso è di rango secondario e non primario, rendendosi difficoltoso l’eventuale coinvolgimento del giudice costituzionale. In tale scenario, il giudice comune (quello amministrativo) sarebbe chiamato a dar seguito alla sentenza definitiva di Strasburgo disapplicando i regolamenti interni sul crocifisso, ponendosi però il rischio che lo stesso giudice nazionale ritenga più conforme alla Costituzione italiana (specialmente al suo specifico rilievo dato alla Chiesa cattolica nell’art. 7) una normativa che privilegi i simboli della religione maggioritaria. Il che potrebbe – problematicamente – attuare lo schema di giudizio fatto valere dalla Corte costituzionale nelle sue decisioni sul rango e valore della CEDU nel sistema delle fonti italiano (sentt. nn. 348 e 349/2007): possibilità della CEDU di prevalere sulle fonti interne, ma non sulle singole norme costituzionali e non su quelle fonti (legislative) interne che meglio attuano un bilanciamento tra beni costituzionali coinvolti rispetto al bilanciamento offerto dal diritto CEDU (e dalla sua giurisprudenza). Sia pure con un escamotage, l’articolo si conclude proprio con l’auspicare che, in simile eventualità, il confronto tra standard costituzionale interno e standard europeo di tutela della libertà religiosa venga affidato alla Corte costituzionale, nonostante la fonte effettiva dell’obbligo di esporre il crocifisso continui a risiedere nei regolamenti del 1928-29 sugli “arredi scolastici”.
2010
Guazzarotti, Andrea
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/1400485
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