L'avvento delle biotecnologie avanzate, applicate alla vita, mette a disposizione degli individui e del mercato un potere bio-tecnico, che ha la capacità di modellare la vita intervenendo sulla sua struttura biologica molecolare e genetica, e non più solo su quella somatica. Questa novità produce un vero e proprio sconvolgimento del modo di rapportarci con la vita, in generale, e con la vita umana, in particolare. Le biotecnologie mediche avanzate impongono una riformulazione delle forme di vita ritenute, fino ad ora, comuni e consolidate, cambiano la rete delle relazioni affettive e di parentela, trasformano il ruolo della sessualità, modificano la coscienza della propria identità personale, sconvolgono l’ambito delle scelte personali in materia di nascita, maternità, paternità, esistenza, cura e morte. Ancor più incisivamente, la rivoluzione biotecnologica rende disponibile il bene della vita alla libera autodeterminazione dei singoli e alle logiche del mercato biocapitalistico. Come aveva intuito Michel Foucault, al vecchio diritto di «far morire o di lasciar vivere» (lo ius vitae ac necis, di cui titolare era il sovrano assoluto) si è sostituito il potere (il biopotere prodotto dal sapere tecnico-medico) di «far vivere o di respingere nella morte». La vita umana, ormai, non è più un «fondo inaccessibile», ma è diventata «qualcosa» che, al pari delle altre cose, può essere plasmata, programmata e fabbricata. Alla «spada», cioè al potere del sovrano di decidere se ucciderti o farti salva la vita, si è sostituito l’«aratro», che rappresenta iconicamente il potere di produrre e di manipolare la vita. La storia moderna della civiltà del diritto si è contrassegnata come la storia di una lotta, di una lotta per il diritto alla vita, affinché la spada del sovrano fosse deposta per sempre; ora, però, l’uomo è chiamato ad una nuova sfida: regolare e controllare l’opera dell’«aratro». L’intento di questo saggio è duplice: dimostrare che né la «spada» né l’«aratro» hanno alcun potere e alcun diritto sulla vita; giustificare un’interpretazione naturalistica «forte» del valore della vita umana, cioè giustificare l’affermazione della rilevanza normativa della vita umana in senso meramente biologico. Il bios umano, per il fatto di essere biologico e di non avere bisogno di alcuna specificazione qualitativa soprannaturale o accidentale, ha in sé la capacità normativa per legittimare determinate decisioni nel campo della bioetica. Non c’è alcuna necessità di utilizzare concetti soprannaturali, quali anima, grazia o spirito per difendere la vita umana; allo stesso tempo, non c’è alcuna necessità di porre l’accento sul possesso di determinate qualità razionali e cognitive per ritenere la vita degna di essere vissuta.
Giudizi di esistenza. Deliberare sulla vita umana nella riflessione bioetica contemporanea
MAESTRI, Enrico
2009
Abstract
L'avvento delle biotecnologie avanzate, applicate alla vita, mette a disposizione degli individui e del mercato un potere bio-tecnico, che ha la capacità di modellare la vita intervenendo sulla sua struttura biologica molecolare e genetica, e non più solo su quella somatica. Questa novità produce un vero e proprio sconvolgimento del modo di rapportarci con la vita, in generale, e con la vita umana, in particolare. Le biotecnologie mediche avanzate impongono una riformulazione delle forme di vita ritenute, fino ad ora, comuni e consolidate, cambiano la rete delle relazioni affettive e di parentela, trasformano il ruolo della sessualità, modificano la coscienza della propria identità personale, sconvolgono l’ambito delle scelte personali in materia di nascita, maternità, paternità, esistenza, cura e morte. Ancor più incisivamente, la rivoluzione biotecnologica rende disponibile il bene della vita alla libera autodeterminazione dei singoli e alle logiche del mercato biocapitalistico. Come aveva intuito Michel Foucault, al vecchio diritto di «far morire o di lasciar vivere» (lo ius vitae ac necis, di cui titolare era il sovrano assoluto) si è sostituito il potere (il biopotere prodotto dal sapere tecnico-medico) di «far vivere o di respingere nella morte». La vita umana, ormai, non è più un «fondo inaccessibile», ma è diventata «qualcosa» che, al pari delle altre cose, può essere plasmata, programmata e fabbricata. Alla «spada», cioè al potere del sovrano di decidere se ucciderti o farti salva la vita, si è sostituito l’«aratro», che rappresenta iconicamente il potere di produrre e di manipolare la vita. La storia moderna della civiltà del diritto si è contrassegnata come la storia di una lotta, di una lotta per il diritto alla vita, affinché la spada del sovrano fosse deposta per sempre; ora, però, l’uomo è chiamato ad una nuova sfida: regolare e controllare l’opera dell’«aratro». L’intento di questo saggio è duplice: dimostrare che né la «spada» né l’«aratro» hanno alcun potere e alcun diritto sulla vita; giustificare un’interpretazione naturalistica «forte» del valore della vita umana, cioè giustificare l’affermazione della rilevanza normativa della vita umana in senso meramente biologico. Il bios umano, per il fatto di essere biologico e di non avere bisogno di alcuna specificazione qualitativa soprannaturale o accidentale, ha in sé la capacità normativa per legittimare determinate decisioni nel campo della bioetica. Non c’è alcuna necessità di utilizzare concetti soprannaturali, quali anima, grazia o spirito per difendere la vita umana; allo stesso tempo, non c’è alcuna necessità di porre l’accento sul possesso di determinate qualità razionali e cognitive per ritenere la vita degna di essere vissuta.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.