“Oltre agli spazi conoscitivi, bisognerà distinguere, entro la dimensione psicologica, tra spazio percettivo immediato, e schemi spaziali più stabili. Questi ultimi sono composti di elementi dotati di un certo grado di invariabilità, come le strutture universali elementari (archetipi), le strutture condizionate socialmente e culturalmente, e alcune idiosincrasie personali. Nella loro totalità, questi elementi formano l’immagine che l’uomo ha dell’ambiente, cioè un sistema fisso di relazioni tridimensionali, intercorrenti tra oggetti significativi. A nostro parere gli schemi vanno unificati nel concetto di spazio esistenziale”. Christian Norberg-Schulz, Esistenza, Spazio e Architettura, 1971 “Mentre le «cose della natura» sono «date» una sola volta, l’uomo si raddoppia, in quanto esiste di per sé come oggetto naturale, ma poi esiste anche in quanto riesce a creare a sua volta altri oggetti”. Gillo Dorfles, Artificio e natura, 1968 Le cose corrono. Le cose scivolano. Le cose cadono (forse). Ma dove? Su cosa? In fondo le risposte si compongono sempre con la medesima sintassi. Sono condizioni che si producono e si riproducono perché l’energia (sotto forma di forza gravitazionale e di radiazione elettromagnetica) combina qualche guaio intorno e dentro la materia, che non è esente da essere eccitata qualora si fecondi in essa. Che poi l’amplesso possa avvenire nell’antro sconosciuto di un satellite di Saturno o nel pianeta più popolato del sistema solare fa la differenza. In qualche modo si potrebbe aggiungere al processo di causa ed effetto anche un’interazione voyeuristica per mezzo di una moltitudine di spettatori (apparentemente passivi) che espongono i loro sensi (soprattutto vista e tatto) al multiforme florilegio di scatenanti effetti. Spettatori o comparse rimane indiscutibile il fatto che per molti di noi, che non siamo nella fucina di Vulcano (il dio handicappato che sposa la più bella di tutte le dee perché, forse, la creatività finalizzata all’azione non è poi tanto male) il risultato è quasi magico. I meta-creatori (architetti, tecnologici, designer), riconoscono le tracce dell’invenzione e si divertono nel puzzle, nel cruciverba, nel patchwork dell’artificio e della rappresentazione. Ma tutto accade sopra, perché è superficiale. Certo è limitato allo strato, alla pelle, al rivestimento, ma quanto è straordinario! Forse il prefisso super, inserito nel termine per porre i prodromi di uno stato topologico, in realtà è un’allegoria della metamorfosi, dell’eterno mutamento di un luogo che è tridimensionale, ma con il pregio di possedere un fuori scala infinitesimale per la profondità rispetto l’estensione. La superficie, che nella geometria è un astratto ente, nella realtà si configura proporzionata dallo spessore e dalle caratteristiche di finitura, di lavorazione, di alterazione, di pezzatura, di montaggio che si proporzionano al contesto architettonico e ambientale ma anche alla forma umana. Luogo della sinestesia per elezione la superficie alleva la luce, perché le gradazioni dei rapporti materia-colore e luce-ombre si declinano con la scansione temporale del tempo e del luogo. Forse la luce della superficie è veramente una super_luce! In qualche modo dimensioni, cinematismi, percezioni tattili, aptiche si combinano con quelle visive e uditive e rendono il mondo che ci circonda (vestito di superfici) un mondo plurisensoriale e in parte anche extravisivo. Il metabolismo delle superfici vive di ritmi ultradiani in cui il caldo e il freddo non sono solo caratteristiche termiche ma qualità in cui la luce e la forma della materia mostrano livelli di energia e sforzo di contaminazione. In fondo potremmo anche estendere il significato ed ammettere che queste qualità possono essere assimilate a veri poteri della superficie. Una potenza che si esprime anche con la variazione formale. Se un tempo l’artificio combinava su componenti geometrizzati patterns mutevoli (Piaget diceva che la “vita è creatrice di patterns”), oggi la tecnologia (e le nanotecnologie) ci permettono di creare superficie più intime, più esistenziali (Norberg-Schulz) in cui la relazione topologica, evocata nelle casualità direzionali della forma, non viene geometrizzata. In altre parole le superfici si definiscono con orientamenti, vettori, percorsi, reticoli, trame in cui i solchi sono variazioni macro o microscopiche del medesimo tassello di territorio o di tessuto cellulare, ma sono anche captatori energetici, interruttori cromodinamici,……. Le cose corrono. Le cose scivolano. Le cose cadono (forse). Ma dove? Su cosa? Sulle superfici inondate di luce.

Super_ficie -> Super_luce

BALZANI, Marcello
2009

Abstract

“Oltre agli spazi conoscitivi, bisognerà distinguere, entro la dimensione psicologica, tra spazio percettivo immediato, e schemi spaziali più stabili. Questi ultimi sono composti di elementi dotati di un certo grado di invariabilità, come le strutture universali elementari (archetipi), le strutture condizionate socialmente e culturalmente, e alcune idiosincrasie personali. Nella loro totalità, questi elementi formano l’immagine che l’uomo ha dell’ambiente, cioè un sistema fisso di relazioni tridimensionali, intercorrenti tra oggetti significativi. A nostro parere gli schemi vanno unificati nel concetto di spazio esistenziale”. Christian Norberg-Schulz, Esistenza, Spazio e Architettura, 1971 “Mentre le «cose della natura» sono «date» una sola volta, l’uomo si raddoppia, in quanto esiste di per sé come oggetto naturale, ma poi esiste anche in quanto riesce a creare a sua volta altri oggetti”. Gillo Dorfles, Artificio e natura, 1968 Le cose corrono. Le cose scivolano. Le cose cadono (forse). Ma dove? Su cosa? In fondo le risposte si compongono sempre con la medesima sintassi. Sono condizioni che si producono e si riproducono perché l’energia (sotto forma di forza gravitazionale e di radiazione elettromagnetica) combina qualche guaio intorno e dentro la materia, che non è esente da essere eccitata qualora si fecondi in essa. Che poi l’amplesso possa avvenire nell’antro sconosciuto di un satellite di Saturno o nel pianeta più popolato del sistema solare fa la differenza. In qualche modo si potrebbe aggiungere al processo di causa ed effetto anche un’interazione voyeuristica per mezzo di una moltitudine di spettatori (apparentemente passivi) che espongono i loro sensi (soprattutto vista e tatto) al multiforme florilegio di scatenanti effetti. Spettatori o comparse rimane indiscutibile il fatto che per molti di noi, che non siamo nella fucina di Vulcano (il dio handicappato che sposa la più bella di tutte le dee perché, forse, la creatività finalizzata all’azione non è poi tanto male) il risultato è quasi magico. I meta-creatori (architetti, tecnologici, designer), riconoscono le tracce dell’invenzione e si divertono nel puzzle, nel cruciverba, nel patchwork dell’artificio e della rappresentazione. Ma tutto accade sopra, perché è superficiale. Certo è limitato allo strato, alla pelle, al rivestimento, ma quanto è straordinario! Forse il prefisso super, inserito nel termine per porre i prodromi di uno stato topologico, in realtà è un’allegoria della metamorfosi, dell’eterno mutamento di un luogo che è tridimensionale, ma con il pregio di possedere un fuori scala infinitesimale per la profondità rispetto l’estensione. La superficie, che nella geometria è un astratto ente, nella realtà si configura proporzionata dallo spessore e dalle caratteristiche di finitura, di lavorazione, di alterazione, di pezzatura, di montaggio che si proporzionano al contesto architettonico e ambientale ma anche alla forma umana. Luogo della sinestesia per elezione la superficie alleva la luce, perché le gradazioni dei rapporti materia-colore e luce-ombre si declinano con la scansione temporale del tempo e del luogo. Forse la luce della superficie è veramente una super_luce! In qualche modo dimensioni, cinematismi, percezioni tattili, aptiche si combinano con quelle visive e uditive e rendono il mondo che ci circonda (vestito di superfici) un mondo plurisensoriale e in parte anche extravisivo. Il metabolismo delle superfici vive di ritmi ultradiani in cui il caldo e il freddo non sono solo caratteristiche termiche ma qualità in cui la luce e la forma della materia mostrano livelli di energia e sforzo di contaminazione. In fondo potremmo anche estendere il significato ed ammettere che queste qualità possono essere assimilate a veri poteri della superficie. Una potenza che si esprime anche con la variazione formale. Se un tempo l’artificio combinava su componenti geometrizzati patterns mutevoli (Piaget diceva che la “vita è creatrice di patterns”), oggi la tecnologia (e le nanotecnologie) ci permettono di creare superficie più intime, più esistenziali (Norberg-Schulz) in cui la relazione topologica, evocata nelle casualità direzionali della forma, non viene geometrizzata. In altre parole le superfici si definiscono con orientamenti, vettori, percorsi, reticoli, trame in cui i solchi sono variazioni macro o microscopiche del medesimo tassello di territorio o di tessuto cellulare, ma sono anche captatori energetici, interruttori cromodinamici,……. Le cose corrono. Le cose scivolano. Le cose cadono (forse). Ma dove? Su cosa? Sulle superfici inondate di luce.
2009
Balzani, Marcello
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