Prendo le parole di Zygmunt Bauman, il sociologo della modernità liquida, per ricordare che “per nascere, il sogno utopistico aveva bisogno di due condizioni. In primo luogo, una soverchiante (anche se generica e articolata) sensazione che il mondo non stesse funzionando come doveva e che difficilmente avrebbe potuto essere rimesso in sesto senza una revisione totale. In secondo luogo, la convinzione di essere all’altezza del compito, che «noi esseri umani siamo in grado di farcela»..”,. Erano (e forse sono ancora) condizioni che nel positivismo di oltre cento anni fa potevano attecchire e rendere visibile quell’idea di progresso tanto cara ai creatori del mondo globalizzato in cui viviamo. Oggi, dove il meccanismo dei desideri e dei bisogni si sviluppa in un eccesso di consumo (e di offerta di esso) e in un processo di condivisione in cui tutti offrono “servizi individuali a individui in cerca di soddisfazione individuale ed evasione individuale a disagi individuali”, si ha l’impressione che l’immagine di un’idea capace di esprimere un miglioramento collettivo (per sottendere e forse realmente significare il bisogno o l’esigenza di sopravvivenza di ciascuno di noi) non risulti pronta a configurarsi. Sfrutto la forza dell’utopia (Giordani) per cercare di trovare un parallelismo tra una modalità di sviluppo e una prassi di diffusione di (modelli, metodiche, nuove o vecchie abilità e soprattutto di comportamenti). Mi spiego meglio. La sostenibilità è un ingrediente (descrittivo, prequalificativo, funzionale) che può costituire il tessuto di connessione di molti aspetti liquidi, direbbe Bauman, delle modalità di vita e dell’abitare; ha il potere di rileggere la tradizione in chiave di contemporaneità: - recuperando tecniche costruttive e diffondendo processi costruttivi, generati nelle nicchie di esigenze locali dei territori, al livello di modelli di integrazione tecnologica; questo non è assolutamente marginale; è un processo che può aprire le strade ad un diverso concetto di produzione dei materiali per fare case e all’idea (pratica) dell’autocostruzione totale (utopia!) o parziale; - toccando l’aspetto energetico del ciclo di vita dei luoghi dell’abitare, delle loro modalità di gestione, dei tempi e dei costi di realizzazione dei prodotti (dal componente all’edificio) mette sotto i riflettori i fattori discriminanti e facilita la scelta; forse il consumismo della sostenibilità (ovvero di una specializzazione modaiola) è alle porte e finirà per svilupparsi, crescere e morire nell’arco di un ciclo, oppure (come alcuni indicatori già individuano) potrà generare un’utopia nel senso positivo del termine, secondo quel “rapporto di due condizioni” che citavo poche righe fa; - concretizzando un’idea di risparmio trova (a scale e linguaggi diversi) le combinazioni per tradurre, in chiave democratica, i suoi effetti; è probabile che non sia ancora il tempo per rendercene conto, in quanto ora l’effetto di novità in fase di attecchimento diffuso produce ovvie azioni-reazioni di mercato, ma se la direzione di “vivere un’utopia” prendesse corpo, data la semplicità del significato e la potente capacità autopromuovente della “idea sostenibile” (verificabile direttamente da tutti senza difficoltà), si potrebbe anche pensare che la lepre meccanica ha giocato bene il suo ruolo. Insomma, senza aprire altri scenari, e guardando la parzialità delle realizzazioni contenute in questo volume, è facile vedere come non sia ancora limpido l’orizzonte (se ma lo potrà essere per l’umanità in qualche istante della propria esistenza) e come la discriminante che genera lo spartiacque, il reflusso o il getto di avvio mantenga ancora nascosti i suoi effetti. Tuttavia, per il pensiero che lega l’azione del fare per qualcosa allo scopo di formazione del progettista, credo che valga la pena perdersi nel tentativo di interpretare, con mente libera, il processo di trasformazione in corso. Divaricazioni Le problematiche dell’inquinamento e dell’esaurimento delle risorse naturali e del tentativo di interpretare tutto ciò con norme e leggi cogenti stanno portando ad un’ineludibile trasformazione dell’approccio al progetto integrato (forma, struttura, impianti) e al processo edilizio (tecnologie, materiali, tecniche costruttive). La normativa cavalca un effetto e propone una risoluzione del problema adeguando processi. Tuttavia non sono scevro dal pensare a come anch’esse possano divenire un surrogato attivo dell’atto di consumo tanto dibattuto ed ostacolato (nel rapporto con il pensiero sostenibile). Scorrendo anche con rapidità i quaranta esempi che compongono il catalogo di questo volume è facile comprendere come l’esperienza della “regione del progetto sostenibile” (con un cuore puntato soprattutto sul centro europeo) presentino una situazione che, confrontata con quella italiana, mostra un quadro divaricato e complesso. L’Italia, da sempre fanalino di coda nel campo del risparmio e dell’efficienza energetica dell’edificato, deve recuperare decenni di ritardi normativi, sperimentali e applicativi. Inoltre bisogna anche ricordare come gli ultimi governi nazionali, sull’onda di una rinvigorita attenzione al problema economico/ambientale della sostenibilità dei processi costruttivi e produttivi non solo hanno reso più concreti e vincolanti gli estremi legislativi ma hanno condotto azioni tali tentare di anticipare (rispetto a tutti gli altri paesi europei) la cogenza di certificazione anche sul patrimonio esistente. Già facendo il punto su quanto sta accadendo oggi nella sfaccettata e multiforme varietà di politiche (locali, provinciali, regionali), si può immaginare cosa potrà innescare l’obbligo di procedure di certificazione di efficienza energetica (da allegare in ogni passaggio di proprietà) nel vasto, multiforme e per lo più sconosciuto paesaggio delle periferie urbane, dei centri storici, dei comparti residenziali realizzati dal secondo dopoguerra ad oggi. Ora, se tutto ciò si sta attuando o si dovrà attuare, le figure professionali coinvolte dovranno per forza essere tecniche e dovranno acquisire nuove competenze e nuove sensibilità. Non voglio cadere nel tradizionale tranello dei confini e dei recinti protezionistici che legano e avviluppano antiche ostilità tra la multiforme articolazione delle “tipologie di tecnico”, tuttavia nella difficile definizione/comunicazione per ogni progettista dei propri ambiti di competenza professionale ad esempio l’architetto ha perso (anche per inedia, snobismo, passività, e non so che altro) le quotidiane battaglie sul mercato del lavoro. Non vorrei che dato che anche questa volta si parla di norme, di processi, di certificazioni, di impianti (di argomenti apparentemente non digeribili o metabolizzabili con il consueto “cuore” del progetto architettonico) si concedessero, per delega, spazi e competenze agli specialisti (spesso ingegneri, e quasi sempre impiantisti) perdendo di vista un’importante ambito professionalizzante. Dietro la porta c’è molto di più e ben altro. Spetta al progettista (nella completezza e nella ricchezza del termine) finalmente decidere di entrare e di valorizzare il ruolo integrale che gli spetta, dato che solo attraverso un quadro di competenze e di sensibilità a livello di conoscenze e di attenzioni interdisciplinari e possibile affrontare il merito della questione sul campo della qualità e dell’efficienza del progetto quanto della sua realizzazione. Come si potrà certificare nel tempo il mantenimento dei requisiti impiantistici, con quale grado di efficienza, con quali attività di manutenzione, di controllo, con quali procedure di misurazione e di verifica, con quali costi? L’argomento è molto complesso e non di facile risoluzione se messo al confronto con un mondo della quotidianità dove la manutenzione programmata è ancora lontana per il grande monumento, figuriamoci, per l’edilizia e il costruito diffuso. Diverso è invece poter pensare ad un approccio di sistema integrato in cui anche le componenti architettoniche collaborano attivamente alla definizione dei requisiti e quindi delle prestazioni di efficienza energetica. Le condizioni ambientali, la giacitura, l’orientamento, la distribuzione, la forma complessiva, la morfologia dei componenti in un diretto rapporto di significato/funzione/tecnologia costruttiva divengono parti integranti e fortemente collaborative degli impianti e della loro messa a norma di risparmio e di ridotto consumo. Un progetto corretto morfologicamente definisce una struttura e un ambiente costruito che resiste nel tempo, mantiene con meno difficoltà i propri requisiti ed aiuta il risultato ottenibile impiantisticamente. C’è solo un piccolo problema. Pensare di progettare e di costruire con queste e nuove attenzione non vuol dire modificare solamente i processi e le modalità costruttive, ma significa anche cominciare a comprendere che il paesaggio urbano, i contesti rurali, i modelli residenziali e dell’edilizia specialistica dovranno progressivamente cambiare. Come trovare una mediazione con i fattori e le aspirazioni di identità dei luoghi, i tentativi di recupero e di conservazione dell’appropriato storico, con la definizione dei modelli urbanistici di espansione, di saturazione, di nuova configurazione urbana? Come si porranno le Soprintendenze e le Pubbliche Amministrazioni sottoposte ai diversi gradi di programmazione, tutela e controllo di fronte ad un progredire sperimentale che può importare nuovi materiali, ibridare forme, diffondere ingredienti e modelli centroeuropei (come questo volume rende visibilmente) in un tessuto già compromesso dal degrado e dalla progressiva omologazione? E tutto questo non solo nel nuovo costruito ma anche nell’adeguamento dell’esistente? Non credo che gli impiantisti saranno da soli capaci di dare risposte a tali domande. Penso invece che lavorando finalmente tutti insieme e recuperando il nostro ruolo di veri e completi progettisti, lettori attenti e critici di una realtà articolata e complessa alle diverse scale (territoriale, urbana, di regolamento edilizio quanto architettonica, di struttura, di dettaglio e di impianto) si potrà dare un contributo importante all’innovazione e alla trasformazione qualitativa delle città. Ecco perché, nel tentativo di realizzare un’utopia, se saremo disponibili ad aprire questa porta che ci viene offerta potremo anche disporre di un’importante opportunità per far comprendere meglio cosa siamo (noi progettisti) e a cosa serviamo (nel dare una risposta ai bisogni collettivi della nostra società)! Riqualificazione e ristrutturazione energetica Riconoscibile è ormai una tendenza che si delinea nello scenario dei processi di trasformazione e riqualificazione urbana. Una tendenza che corre su un doppio binario, forse anche contraddittorio nei risultati e comunque sbilanciato nei livelli di operatività. Da un lato l’architettura integra sempre di più, come parte essenziale di se stessa, la componente impiantistica nel modello di intervento e di realizzazione. È un progetto di impianto non sempre paritetico sul piano della coerenza ideativa e metaprogettuale; spesso risulta più un ambito di collaborazione tecnica, ma è innegabile che, anche per quanto riguarda il grado degli investimenti industriali e dei costi di esecuzione, la risposta prestazionale della componente impiantistica risulti in crescita come è crescente e diffusa la domanda e l’esigenza di comfort e di funzionalità integrate e flessibili. Dall’altro i temi della sostenibilità e dell’efficienza energetica stanno sviluppando un’attenzione sempre più diffusa da parte di tutti gli attori del processo di trasformazione del territorio, indirizzata soprattutto al risparmio e alla riduzione dei costi complessivi (proiettati anche in chiave temporale nella vita media del manufatto architettonico) che normalmente si sopportano per ottenere prestazioni di comfort ambientale livellati tendenzialmente sempre più verso l’alto. La duplice tendenza risulta contraddittoria, in quanto l’approccio al problema si riduce, nella prassi, a correre un’evidente doppia velocità, con diversi gradi di vincolo e con una innegabile difficoltà a sperimentare e a trasferire modelli e risposte della seconda tendenza sulla prima. Se poi si inquadra il problema nell’ambito della riqualificazione energetica, ovvero si cerca di individuare nell’articolato e complesso arcipelago delle “forme in divenire” della città il risultato di tale doppia tendenza nel settore del patrimonio esistente e delle costruzioni di interesse storico, appare ancora più evidente un’assenza di riflessione specifica sui temi del rapporto restauro-impianti, recupero tipologico-impianti, efficienza energetica-tecniche costruttive. Forse, proprio per dare valore ad un ambito di interesse che nel nostro Paese si rapporta ad un ampio settore di tessuto edificato, sarebbe necessario un cambio radicale di prospettiva metaprogettuale rispetto a quanto normalmente accade per l’approccio ideativo e tecnico-prestazionale rivolto alla fase di progettazione e di realizzazione di una nuova costruzione. Al di là delle problematiche connesse agli interventi sul patrimonio edilizio di recente costruzione e alla necessaria e opportuna regolamentazione dei requisiti minimi delle future costruzioni, quindi, è importante cercare di comprendere cosa può significare estendere le disposizioni del D. Lgs. 311/06 anche al patrimonio edilizio storico e di pregio. Le valutazioni di natura storico-critica sul bene esistente, infatti, devono poter costituire la traccia di riferimento di tutte le scelte (anche di natura tecnica) da operare sul bene architettonico. Spesso se si vuole rispettare e preservare le caratteristiche storiche dell’architettura (morfologiche, distributive, tipologiche) bisogna avere a disposizione strumenti di conoscenza sulle tecniche costruttive e sullo stato di conservazione dei materiali esistenti e solo dopo una attento confronto critico (da sviluppare soprattutto nella fase metaprogettuale) sarà possibile confrontare la “griglia degli interventi” di recupero e di restauro con i modelli esigenziali propri della progettazione di edifici ad alta efficienza energetica. Appare di primaria importanza individuare questi diversi ambiti di intervento, porli a confronto e da questi modelli (appropriati ai contesti ambientali ed alle tradizioni costruttive) raggiungere l’obiettivo di definire delle linee guida di ciò che è possibile fare e (soprattutto) di ciò che invece è opportuno non realizzare in rapporto alle esigenze di riqualificazione energetica. Forse sarebbe bene rendersi conto come proprio gli ambiti del recupero del patrimonio edilizio storico e del restauro in rapporto l’integrazione delle problematiche di efficienza energetica pongano la figura dell’architetto in un ruolo determinante per definire i rapporti di “dialogo” tra i diversi attori che intervengono nel progetto e nel cantiere di restauro. Una visione articolata ed interdisciplinare che deve valorizzare, ad esempio, il “progetto diagnostico” anche in relazione alla doppia valenza di conoscenza qualitativa che può scaturire sia sul versante dell’aspetto materico e della consistenza conservativa, sia sul versante delle qualità fisico-tecniche che i materiali storici possono e riescono ad esprimere in rapporto a tutte le interazioni ambientali connesse all’uso ed alla potenzialità di riqualificazione. Nel processo di trasformazione (più o meno silenzioso) a cui sono incessantemente sottoposti i centri urbani (storici, recenti di una storia vicina, ecc.) un’integrata e coordinata partecipazione di professionalità differenti, soprattutto nel delicato settore del recupero e del restauro può consentire un maggiore processo di conoscenza applicativa sugli sviluppi delle tecniche costruttive e dell’innovazione tecnologica, ma in definitiva anche una più moderna e cosciente progettualità.

Realizzare un’utopia. Modalità e risorse del progetto sostenibile tra divari regionali e approcci normativi

BALZANI, Marcello
2008

Abstract

Prendo le parole di Zygmunt Bauman, il sociologo della modernità liquida, per ricordare che “per nascere, il sogno utopistico aveva bisogno di due condizioni. In primo luogo, una soverchiante (anche se generica e articolata) sensazione che il mondo non stesse funzionando come doveva e che difficilmente avrebbe potuto essere rimesso in sesto senza una revisione totale. In secondo luogo, la convinzione di essere all’altezza del compito, che «noi esseri umani siamo in grado di farcela»..”,. Erano (e forse sono ancora) condizioni che nel positivismo di oltre cento anni fa potevano attecchire e rendere visibile quell’idea di progresso tanto cara ai creatori del mondo globalizzato in cui viviamo. Oggi, dove il meccanismo dei desideri e dei bisogni si sviluppa in un eccesso di consumo (e di offerta di esso) e in un processo di condivisione in cui tutti offrono “servizi individuali a individui in cerca di soddisfazione individuale ed evasione individuale a disagi individuali”, si ha l’impressione che l’immagine di un’idea capace di esprimere un miglioramento collettivo (per sottendere e forse realmente significare il bisogno o l’esigenza di sopravvivenza di ciascuno di noi) non risulti pronta a configurarsi. Sfrutto la forza dell’utopia (Giordani) per cercare di trovare un parallelismo tra una modalità di sviluppo e una prassi di diffusione di (modelli, metodiche, nuove o vecchie abilità e soprattutto di comportamenti). Mi spiego meglio. La sostenibilità è un ingrediente (descrittivo, prequalificativo, funzionale) che può costituire il tessuto di connessione di molti aspetti liquidi, direbbe Bauman, delle modalità di vita e dell’abitare; ha il potere di rileggere la tradizione in chiave di contemporaneità: - recuperando tecniche costruttive e diffondendo processi costruttivi, generati nelle nicchie di esigenze locali dei territori, al livello di modelli di integrazione tecnologica; questo non è assolutamente marginale; è un processo che può aprire le strade ad un diverso concetto di produzione dei materiali per fare case e all’idea (pratica) dell’autocostruzione totale (utopia!) o parziale; - toccando l’aspetto energetico del ciclo di vita dei luoghi dell’abitare, delle loro modalità di gestione, dei tempi e dei costi di realizzazione dei prodotti (dal componente all’edificio) mette sotto i riflettori i fattori discriminanti e facilita la scelta; forse il consumismo della sostenibilità (ovvero di una specializzazione modaiola) è alle porte e finirà per svilupparsi, crescere e morire nell’arco di un ciclo, oppure (come alcuni indicatori già individuano) potrà generare un’utopia nel senso positivo del termine, secondo quel “rapporto di due condizioni” che citavo poche righe fa; - concretizzando un’idea di risparmio trova (a scale e linguaggi diversi) le combinazioni per tradurre, in chiave democratica, i suoi effetti; è probabile che non sia ancora il tempo per rendercene conto, in quanto ora l’effetto di novità in fase di attecchimento diffuso produce ovvie azioni-reazioni di mercato, ma se la direzione di “vivere un’utopia” prendesse corpo, data la semplicità del significato e la potente capacità autopromuovente della “idea sostenibile” (verificabile direttamente da tutti senza difficoltà), si potrebbe anche pensare che la lepre meccanica ha giocato bene il suo ruolo. Insomma, senza aprire altri scenari, e guardando la parzialità delle realizzazioni contenute in questo volume, è facile vedere come non sia ancora limpido l’orizzonte (se ma lo potrà essere per l’umanità in qualche istante della propria esistenza) e come la discriminante che genera lo spartiacque, il reflusso o il getto di avvio mantenga ancora nascosti i suoi effetti. Tuttavia, per il pensiero che lega l’azione del fare per qualcosa allo scopo di formazione del progettista, credo che valga la pena perdersi nel tentativo di interpretare, con mente libera, il processo di trasformazione in corso. Divaricazioni Le problematiche dell’inquinamento e dell’esaurimento delle risorse naturali e del tentativo di interpretare tutto ciò con norme e leggi cogenti stanno portando ad un’ineludibile trasformazione dell’approccio al progetto integrato (forma, struttura, impianti) e al processo edilizio (tecnologie, materiali, tecniche costruttive). La normativa cavalca un effetto e propone una risoluzione del problema adeguando processi. Tuttavia non sono scevro dal pensare a come anch’esse possano divenire un surrogato attivo dell’atto di consumo tanto dibattuto ed ostacolato (nel rapporto con il pensiero sostenibile). Scorrendo anche con rapidità i quaranta esempi che compongono il catalogo di questo volume è facile comprendere come l’esperienza della “regione del progetto sostenibile” (con un cuore puntato soprattutto sul centro europeo) presentino una situazione che, confrontata con quella italiana, mostra un quadro divaricato e complesso. L’Italia, da sempre fanalino di coda nel campo del risparmio e dell’efficienza energetica dell’edificato, deve recuperare decenni di ritardi normativi, sperimentali e applicativi. Inoltre bisogna anche ricordare come gli ultimi governi nazionali, sull’onda di una rinvigorita attenzione al problema economico/ambientale della sostenibilità dei processi costruttivi e produttivi non solo hanno reso più concreti e vincolanti gli estremi legislativi ma hanno condotto azioni tali tentare di anticipare (rispetto a tutti gli altri paesi europei) la cogenza di certificazione anche sul patrimonio esistente. Già facendo il punto su quanto sta accadendo oggi nella sfaccettata e multiforme varietà di politiche (locali, provinciali, regionali), si può immaginare cosa potrà innescare l’obbligo di procedure di certificazione di efficienza energetica (da allegare in ogni passaggio di proprietà) nel vasto, multiforme e per lo più sconosciuto paesaggio delle periferie urbane, dei centri storici, dei comparti residenziali realizzati dal secondo dopoguerra ad oggi. Ora, se tutto ciò si sta attuando o si dovrà attuare, le figure professionali coinvolte dovranno per forza essere tecniche e dovranno acquisire nuove competenze e nuove sensibilità. Non voglio cadere nel tradizionale tranello dei confini e dei recinti protezionistici che legano e avviluppano antiche ostilità tra la multiforme articolazione delle “tipologie di tecnico”, tuttavia nella difficile definizione/comunicazione per ogni progettista dei propri ambiti di competenza professionale ad esempio l’architetto ha perso (anche per inedia, snobismo, passività, e non so che altro) le quotidiane battaglie sul mercato del lavoro. Non vorrei che dato che anche questa volta si parla di norme, di processi, di certificazioni, di impianti (di argomenti apparentemente non digeribili o metabolizzabili con il consueto “cuore” del progetto architettonico) si concedessero, per delega, spazi e competenze agli specialisti (spesso ingegneri, e quasi sempre impiantisti) perdendo di vista un’importante ambito professionalizzante. Dietro la porta c’è molto di più e ben altro. Spetta al progettista (nella completezza e nella ricchezza del termine) finalmente decidere di entrare e di valorizzare il ruolo integrale che gli spetta, dato che solo attraverso un quadro di competenze e di sensibilità a livello di conoscenze e di attenzioni interdisciplinari e possibile affrontare il merito della questione sul campo della qualità e dell’efficienza del progetto quanto della sua realizzazione. Come si potrà certificare nel tempo il mantenimento dei requisiti impiantistici, con quale grado di efficienza, con quali attività di manutenzione, di controllo, con quali procedure di misurazione e di verifica, con quali costi? L’argomento è molto complesso e non di facile risoluzione se messo al confronto con un mondo della quotidianità dove la manutenzione programmata è ancora lontana per il grande monumento, figuriamoci, per l’edilizia e il costruito diffuso. Diverso è invece poter pensare ad un approccio di sistema integrato in cui anche le componenti architettoniche collaborano attivamente alla definizione dei requisiti e quindi delle prestazioni di efficienza energetica. Le condizioni ambientali, la giacitura, l’orientamento, la distribuzione, la forma complessiva, la morfologia dei componenti in un diretto rapporto di significato/funzione/tecnologia costruttiva divengono parti integranti e fortemente collaborative degli impianti e della loro messa a norma di risparmio e di ridotto consumo. Un progetto corretto morfologicamente definisce una struttura e un ambiente costruito che resiste nel tempo, mantiene con meno difficoltà i propri requisiti ed aiuta il risultato ottenibile impiantisticamente. C’è solo un piccolo problema. Pensare di progettare e di costruire con queste e nuove attenzione non vuol dire modificare solamente i processi e le modalità costruttive, ma significa anche cominciare a comprendere che il paesaggio urbano, i contesti rurali, i modelli residenziali e dell’edilizia specialistica dovranno progressivamente cambiare. Come trovare una mediazione con i fattori e le aspirazioni di identità dei luoghi, i tentativi di recupero e di conservazione dell’appropriato storico, con la definizione dei modelli urbanistici di espansione, di saturazione, di nuova configurazione urbana? Come si porranno le Soprintendenze e le Pubbliche Amministrazioni sottoposte ai diversi gradi di programmazione, tutela e controllo di fronte ad un progredire sperimentale che può importare nuovi materiali, ibridare forme, diffondere ingredienti e modelli centroeuropei (come questo volume rende visibilmente) in un tessuto già compromesso dal degrado e dalla progressiva omologazione? E tutto questo non solo nel nuovo costruito ma anche nell’adeguamento dell’esistente? Non credo che gli impiantisti saranno da soli capaci di dare risposte a tali domande. Penso invece che lavorando finalmente tutti insieme e recuperando il nostro ruolo di veri e completi progettisti, lettori attenti e critici di una realtà articolata e complessa alle diverse scale (territoriale, urbana, di regolamento edilizio quanto architettonica, di struttura, di dettaglio e di impianto) si potrà dare un contributo importante all’innovazione e alla trasformazione qualitativa delle città. Ecco perché, nel tentativo di realizzare un’utopia, se saremo disponibili ad aprire questa porta che ci viene offerta potremo anche disporre di un’importante opportunità per far comprendere meglio cosa siamo (noi progettisti) e a cosa serviamo (nel dare una risposta ai bisogni collettivi della nostra società)! Riqualificazione e ristrutturazione energetica Riconoscibile è ormai una tendenza che si delinea nello scenario dei processi di trasformazione e riqualificazione urbana. Una tendenza che corre su un doppio binario, forse anche contraddittorio nei risultati e comunque sbilanciato nei livelli di operatività. Da un lato l’architettura integra sempre di più, come parte essenziale di se stessa, la componente impiantistica nel modello di intervento e di realizzazione. È un progetto di impianto non sempre paritetico sul piano della coerenza ideativa e metaprogettuale; spesso risulta più un ambito di collaborazione tecnica, ma è innegabile che, anche per quanto riguarda il grado degli investimenti industriali e dei costi di esecuzione, la risposta prestazionale della componente impiantistica risulti in crescita come è crescente e diffusa la domanda e l’esigenza di comfort e di funzionalità integrate e flessibili. Dall’altro i temi della sostenibilità e dell’efficienza energetica stanno sviluppando un’attenzione sempre più diffusa da parte di tutti gli attori del processo di trasformazione del territorio, indirizzata soprattutto al risparmio e alla riduzione dei costi complessivi (proiettati anche in chiave temporale nella vita media del manufatto architettonico) che normalmente si sopportano per ottenere prestazioni di comfort ambientale livellati tendenzialmente sempre più verso l’alto. La duplice tendenza risulta contraddittoria, in quanto l’approccio al problema si riduce, nella prassi, a correre un’evidente doppia velocità, con diversi gradi di vincolo e con una innegabile difficoltà a sperimentare e a trasferire modelli e risposte della seconda tendenza sulla prima. Se poi si inquadra il problema nell’ambito della riqualificazione energetica, ovvero si cerca di individuare nell’articolato e complesso arcipelago delle “forme in divenire” della città il risultato di tale doppia tendenza nel settore del patrimonio esistente e delle costruzioni di interesse storico, appare ancora più evidente un’assenza di riflessione specifica sui temi del rapporto restauro-impianti, recupero tipologico-impianti, efficienza energetica-tecniche costruttive. Forse, proprio per dare valore ad un ambito di interesse che nel nostro Paese si rapporta ad un ampio settore di tessuto edificato, sarebbe necessario un cambio radicale di prospettiva metaprogettuale rispetto a quanto normalmente accade per l’approccio ideativo e tecnico-prestazionale rivolto alla fase di progettazione e di realizzazione di una nuova costruzione. Al di là delle problematiche connesse agli interventi sul patrimonio edilizio di recente costruzione e alla necessaria e opportuna regolamentazione dei requisiti minimi delle future costruzioni, quindi, è importante cercare di comprendere cosa può significare estendere le disposizioni del D. Lgs. 311/06 anche al patrimonio edilizio storico e di pregio. Le valutazioni di natura storico-critica sul bene esistente, infatti, devono poter costituire la traccia di riferimento di tutte le scelte (anche di natura tecnica) da operare sul bene architettonico. Spesso se si vuole rispettare e preservare le caratteristiche storiche dell’architettura (morfologiche, distributive, tipologiche) bisogna avere a disposizione strumenti di conoscenza sulle tecniche costruttive e sullo stato di conservazione dei materiali esistenti e solo dopo una attento confronto critico (da sviluppare soprattutto nella fase metaprogettuale) sarà possibile confrontare la “griglia degli interventi” di recupero e di restauro con i modelli esigenziali propri della progettazione di edifici ad alta efficienza energetica. Appare di primaria importanza individuare questi diversi ambiti di intervento, porli a confronto e da questi modelli (appropriati ai contesti ambientali ed alle tradizioni costruttive) raggiungere l’obiettivo di definire delle linee guida di ciò che è possibile fare e (soprattutto) di ciò che invece è opportuno non realizzare in rapporto alle esigenze di riqualificazione energetica. Forse sarebbe bene rendersi conto come proprio gli ambiti del recupero del patrimonio edilizio storico e del restauro in rapporto l’integrazione delle problematiche di efficienza energetica pongano la figura dell’architetto in un ruolo determinante per definire i rapporti di “dialogo” tra i diversi attori che intervengono nel progetto e nel cantiere di restauro. Una visione articolata ed interdisciplinare che deve valorizzare, ad esempio, il “progetto diagnostico” anche in relazione alla doppia valenza di conoscenza qualitativa che può scaturire sia sul versante dell’aspetto materico e della consistenza conservativa, sia sul versante delle qualità fisico-tecniche che i materiali storici possono e riescono ad esprimere in rapporto a tutte le interazioni ambientali connesse all’uso ed alla potenzialità di riqualificazione. Nel processo di trasformazione (più o meno silenzioso) a cui sono incessantemente sottoposti i centri urbani (storici, recenti di una storia vicina, ecc.) un’integrata e coordinata partecipazione di professionalità differenti, soprattutto nel delicato settore del recupero e del restauro può consentire un maggiore processo di conoscenza applicativa sugli sviluppi delle tecniche costruttive e dell’innovazione tecnologica, ma in definitiva anche una più moderna e cosciente progettualità.
2008
9788838745065
Progettazione architettonica; architettura sostenibile; rappresentazione digitale dell'architettura
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