Gli sguardi dell’archeologo e dell’architetto si sono spesso incontrati nella storia dell’architettura. Nei loro sguardi, vi è da una parte la ricerca del principio, dell’arché: leggere insieme la forma e la tettonica dell’opera consumata dal tempo o degradata dall’uso e cogliere di queste vestigia, di queste strutture ormai inabitate, le possibili virtualità nascoste, le diverse e necessarie realtà future. Al punto, in alcuni casi, di leggere la rovina come un cantiere, come un edificio che nel suo decomporsi rivela le proprie regole figurative e costruttive. Dall’altra parte, la consapevolezza delle stratificazioni può produrre una sorta di cristallizzazione dei valori dell’opera: la ricerca e l’indagine si confrontano con le tracce, ma devono diventare uno strumento per leggere i possibili modi di formazione e futura trasformazione dell’opera. Una “tradizione moderna” che ha saputo imparare dall’architettura industriale ha via via lasciato il campo a un’articolazione dei saperi che spesso è apparsa come una frammentazione: la composizione e il restauro, la storia e il progetto, lo studio degli elementi costruttivi e la tecnologia. La congiunzione è diventata una distinzione. Il filtro conoscitivo dell’archeologia applicato al patrimonio industriale, rivela d’altronde una sorta di archeologia dei saperi implicati nella riqualificazione degli edifici, permettendo di mettere alla prova le cognizioni consolidate all’interno delle singole discipline, definendone i limiti epistemologici e tentando nuove relazioni cognitive tra le stesse. L’architettura industriale assume infatti il ruolo di veicolo di altri significati nell’ambito delle ricerche compiute nell’Ottocento e Novecento da alcuni architetti che inaugurano o caratterizzano il Movimento moderno. La città come regno del lavoro, la fabbrica come tempio sociale, il mito della purezza geometrica degli edifici industriali sono solo alcuni esempi di questi fenomeni di mutazione del significato, che avvengono spesso associando al paesaggio industriale un carattere archeologico, legato a civiltà antiche, come negli appunti di viaggio di Schinkel in Gran Bretagna (1826).

Da archeologia a patrimonio industriale, Editoriale

MASSARENTE, Alessandro
2005

Abstract

Gli sguardi dell’archeologo e dell’architetto si sono spesso incontrati nella storia dell’architettura. Nei loro sguardi, vi è da una parte la ricerca del principio, dell’arché: leggere insieme la forma e la tettonica dell’opera consumata dal tempo o degradata dall’uso e cogliere di queste vestigia, di queste strutture ormai inabitate, le possibili virtualità nascoste, le diverse e necessarie realtà future. Al punto, in alcuni casi, di leggere la rovina come un cantiere, come un edificio che nel suo decomporsi rivela le proprie regole figurative e costruttive. Dall’altra parte, la consapevolezza delle stratificazioni può produrre una sorta di cristallizzazione dei valori dell’opera: la ricerca e l’indagine si confrontano con le tracce, ma devono diventare uno strumento per leggere i possibili modi di formazione e futura trasformazione dell’opera. Una “tradizione moderna” che ha saputo imparare dall’architettura industriale ha via via lasciato il campo a un’articolazione dei saperi che spesso è apparsa come una frammentazione: la composizione e il restauro, la storia e il progetto, lo studio degli elementi costruttivi e la tecnologia. La congiunzione è diventata una distinzione. Il filtro conoscitivo dell’archeologia applicato al patrimonio industriale, rivela d’altronde una sorta di archeologia dei saperi implicati nella riqualificazione degli edifici, permettendo di mettere alla prova le cognizioni consolidate all’interno delle singole discipline, definendone i limiti epistemologici e tentando nuove relazioni cognitive tra le stesse. L’architettura industriale assume infatti il ruolo di veicolo di altri significati nell’ambito delle ricerche compiute nell’Ottocento e Novecento da alcuni architetti che inaugurano o caratterizzano il Movimento moderno. La città come regno del lavoro, la fabbrica come tempio sociale, il mito della purezza geometrica degli edifici industriali sono solo alcuni esempi di questi fenomeni di mutazione del significato, che avvengono spesso associando al paesaggio industriale un carattere archeologico, legato a civiltà antiche, come negli appunti di viaggio di Schinkel in Gran Bretagna (1826).
2005
Massarente, Alessandro
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11392/1206052
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact