L'articolo analizza criticamente il modello di integrazione delle minoranze religiose delineato dalla Costituzione: la stipula delle intese con le confessioni diverse dalla cattolica, ex art. 8 Cost. Si tratta di un modello politico di riconoscimento dei gruppi e delle identità collettive, esposto ai rischi dello sfruttamento politico-ideologico delle differenze identitarie. Negare l'intesa a gruppi considerati intolleranti o comunque a gruppi poco graditi da parte dell'opinione pubblica, come testimoni di Geova o musulmani, costituisce un facile strumento nelle mani di quelle forze politiche che vogliano sfruttarlo, anche per la scarsa praticabilità di rimedi giurisdizionali contro l'inerzia immotivata del Governo dinanzi alla richiesta dell'intesa. Il modello costituzionale delle intese è caratterizzato da un'ambiguià di fondo, per cui le intese si presentano come garanzia di libertà per le minoranze religiose ma anche come limite (l'impossibilità di accedere ai benefici speciali concessi ad altri gruppi religiosi con una legislazione negoziata, come tale insuscettibile di estensione analogica). I giudici (quelli comuni oltre che quelli costituzionali) possono contribuire più di quanto normalmente si creda all'assetto costituzionale dei rapporti tra Stato e confessioni religiose, proprio nella misura in cui volessero procedere a uno stretto scrutinio della ragionevolezza delle distinzioni operate con il diritto c.d. "pattizio": se le intese non tutelano più delle specificità del gruppo religioso in questione ma si limitano a riprodurre discipline "fotocopia", sulla falsariga di quanto già garantito alla Chiesa con il concordato (es., l'otto per mille), non ha più senso ritenere il diritto pattizio come speciale e insuscettibile di estensione analogica. Altro strumento per correggere l'eccesso di politicità nel riconoscimento dei gruppi religiosi minoritari è dato dalla giustiziabilità della decisione sull'accesso all'intesa: non più atto politico insindacabile dal giudice, ma atto che, per le sue conseguenze giuridiche (disparità di trattamento), necessita di adeguata motivazione, sindacabile per le vie giurisdizionali. Una panoramica di diritto comparato dimostra come in altri ordinamenti si stia andando verso la sindacabilità giurisdizionale delle decisioni sul (mancato) riconoscimento delle minoranze religiose. Lo strumento per la giustiziabilità del diniego di intesa potrebbe essere quello - solo apparentemente eccentrico - del conflitto d'attribuzione tra poteri dello Stato. Sulla falsariga della giurisprudenza costituzionale che ha ammesso al conflitto il comitato promotori per il referendum abrogativo, anche le rappresentanze confessionali potrebbero sollevare conflitto contro il governo dinanzi alla Corte costituzionale.

Le minoranze religiose tra potere politico e funzione giurisdizionale: bontà e i limiti del modello italiano

GUAZZAROTTI, Andrea
2002

Abstract

L'articolo analizza criticamente il modello di integrazione delle minoranze religiose delineato dalla Costituzione: la stipula delle intese con le confessioni diverse dalla cattolica, ex art. 8 Cost. Si tratta di un modello politico di riconoscimento dei gruppi e delle identità collettive, esposto ai rischi dello sfruttamento politico-ideologico delle differenze identitarie. Negare l'intesa a gruppi considerati intolleranti o comunque a gruppi poco graditi da parte dell'opinione pubblica, come testimoni di Geova o musulmani, costituisce un facile strumento nelle mani di quelle forze politiche che vogliano sfruttarlo, anche per la scarsa praticabilità di rimedi giurisdizionali contro l'inerzia immotivata del Governo dinanzi alla richiesta dell'intesa. Il modello costituzionale delle intese è caratterizzato da un'ambiguià di fondo, per cui le intese si presentano come garanzia di libertà per le minoranze religiose ma anche come limite (l'impossibilità di accedere ai benefici speciali concessi ad altri gruppi religiosi con una legislazione negoziata, come tale insuscettibile di estensione analogica). I giudici (quelli comuni oltre che quelli costituzionali) possono contribuire più di quanto normalmente si creda all'assetto costituzionale dei rapporti tra Stato e confessioni religiose, proprio nella misura in cui volessero procedere a uno stretto scrutinio della ragionevolezza delle distinzioni operate con il diritto c.d. "pattizio": se le intese non tutelano più delle specificità del gruppo religioso in questione ma si limitano a riprodurre discipline "fotocopia", sulla falsariga di quanto già garantito alla Chiesa con il concordato (es., l'otto per mille), non ha più senso ritenere il diritto pattizio come speciale e insuscettibile di estensione analogica. Altro strumento per correggere l'eccesso di politicità nel riconoscimento dei gruppi religiosi minoritari è dato dalla giustiziabilità della decisione sull'accesso all'intesa: non più atto politico insindacabile dal giudice, ma atto che, per le sue conseguenze giuridiche (disparità di trattamento), necessita di adeguata motivazione, sindacabile per le vie giurisdizionali. Una panoramica di diritto comparato dimostra come in altri ordinamenti si stia andando verso la sindacabilità giurisdizionale delle decisioni sul (mancato) riconoscimento delle minoranze religiose. Lo strumento per la giustiziabilità del diniego di intesa potrebbe essere quello - solo apparentemente eccentrico - del conflitto d'attribuzione tra poteri dello Stato. Sulla falsariga della giurisprudenza costituzionale che ha ammesso al conflitto il comitato promotori per il referendum abrogativo, anche le rappresentanze confessionali potrebbero sollevare conflitto contro il governo dinanzi alla Corte costituzionale.
2002
Guazzarotti, Andrea
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