Nel capitolo introduttivo si chiarisce come il termine “finitudine” in rapporto all’utopia come genere letterario si riferisca al paradosso della morte: la perfezione perseguita dall’utopista nella costruzione di una società migliore di quella reale deve confrontarsi con la fine della vita. Attraverso strategie molteplici l'utopista tenta di attutire, neutralizzare oppure ignorare il limite umano per eccellenza. Da un punto di vista metodologico la novità delle prospettive di ricerca indagate nel volume consiste nel confronto fecondo fra gli studi tanatologici e gli studi utopici. Il tema della morte è inestricabilmente connesso al dibattito sulla vecchiaia e la corruzione del corpo, il diritto a morire e il post mortem, i riti funebri e il culto dei morti, sia da un punto di vista teorico sia in rapporto a specifici contesti socio-culturali. L’apporto specifico degli studi utopici al dibattito consiste nel fatto che per il pensatore utopico il concetto di mortalità ha origine dal conflitto fra l’essere, il tempo, e la condizione di straniamento che lo proietta al di fuori. Il pensiero dell’utopista sulla fine della vita si colloca all’intersezione fra la realtà storica e l’altrove utopico. Nei testi utopici e nelle progettazioni architettoniche dei monumenti funebri le complesse relazioni fra la perfettibilità dell’uomo e la sua finitudine ontologica si definiscono ed evolvono attraverso l’osmosi profonda fra i modelli culturali dell’epoca e del paese nei quali l’utopista opera e la tensione speculativa che lo spinge a superare la datità del reale. Proprio le relazioni fra la dimensione storica della morte, ampiamente indagata nel suo sviluppo diacronico da Philippe Ariès e da Michel Vovelle, e la progettualità degli scrittori utopici hanno aperto agli studiosi che contribuiscono al presente volume nuovi percorsi d’indagine comparata, che si articolano attraverso il confronto constante fra discipline letterarie, storiche e filosofiche.

Introduzione

SPINOZZI, Paola;
2004

Abstract

Nel capitolo introduttivo si chiarisce come il termine “finitudine” in rapporto all’utopia come genere letterario si riferisca al paradosso della morte: la perfezione perseguita dall’utopista nella costruzione di una società migliore di quella reale deve confrontarsi con la fine della vita. Attraverso strategie molteplici l'utopista tenta di attutire, neutralizzare oppure ignorare il limite umano per eccellenza. Da un punto di vista metodologico la novità delle prospettive di ricerca indagate nel volume consiste nel confronto fecondo fra gli studi tanatologici e gli studi utopici. Il tema della morte è inestricabilmente connesso al dibattito sulla vecchiaia e la corruzione del corpo, il diritto a morire e il post mortem, i riti funebri e il culto dei morti, sia da un punto di vista teorico sia in rapporto a specifici contesti socio-culturali. L’apporto specifico degli studi utopici al dibattito consiste nel fatto che per il pensatore utopico il concetto di mortalità ha origine dal conflitto fra l’essere, il tempo, e la condizione di straniamento che lo proietta al di fuori. Il pensiero dell’utopista sulla fine della vita si colloca all’intersezione fra la realtà storica e l’altrove utopico. Nei testi utopici e nelle progettazioni architettoniche dei monumenti funebri le complesse relazioni fra la perfettibilità dell’uomo e la sua finitudine ontologica si definiscono ed evolvono attraverso l’osmosi profonda fra i modelli culturali dell’epoca e del paese nei quali l’utopista opera e la tensione speculativa che lo spinge a superare la datità del reale. Proprio le relazioni fra la dimensione storica della morte, ampiamente indagata nel suo sviluppo diacronico da Philippe Ariès e da Michel Vovelle, e la progettualità degli scrittori utopici hanno aperto agli studiosi che contribuiscono al presente volume nuovi percorsi d’indagine comparata, che si articolano attraverso il confronto constante fra discipline letterarie, storiche e filosofiche.
2004
9788871805054
Utopia come genere letterario; utopismo; morte; tanatologia; Europa; secoli XV-XX.
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