Anche nel pensiero utopico irrompe la morte, e quando l’utopista indaga fra gli umani limiti il “dovere morire”, deve comprendere l’invulnerabilità dell’evento mortale. Nel confrontarsi con le istanze filosofiche e religiose, medico-igieniche ed economiche che dall’antichità la morte ha posto alla cultura occidentale, l’età vittoriana segna uno snodo epocale sia nella definizione delle componenti materiali e fenomeniche della morte sia nell’elaborazione di norme, simboli ed ermeneutiche della finitudine. Il processo di industrializzazione e le teorie della sopravvivenza della specie, che caratterizzano il contesto socio-culturale inglese, richiedono una radicale riconfigurazione degli spazi fisici e mentali del vivere e del morire. L’utopista vittoriano deve confrontarsi con la concezione economica della vita e con la retorica del lutto dominanti nell’Inghilterra industriale e capitalistica, e con le strategie di controllo della mortalità acquisite con l’evolversi della scienza e della tecnologia. L’eutanasia e la cremazione sono i modi fondamentali per progettare “come e quando morire”, per interrogarsi su “cosa muore”, stabilendo un dialogo intertestuale con autori coevi e appropriandosi di concezioni antiche. Le definizioni del confine fra eutanasia, omicidio e suicidio, l’indagine sulle finalità, la liceità, le modalità della “buona morte” sono problematiche costitutive del genere utopico, come evidenziano le argomentazioni che Thomas More adduce a favore della morte volontaria del malato terminale in Utopia. Oltre a implicare questioni di ordine pratico legate alla storia del paese dell’utopista, il trattamento da riservare al corpo del defunto è stato un tema costantemente affrontato nelle disquisizioni sulla sopravvivenza dell’anima alla morte del corpo, oppure sulla fine dell’esistenza con il decesso che disgrega la materia e decreta la fine della persona. Per specifiche ragioni storiche la cremazione, che a partire dall’utopia tardo-rinascimentale di Campanella si configura come una costante tematica del genere, diviene un argomento fondamentale di dibattito per l’utopista vittoriano, sollecitato a prendere posizione nei confronti delle proposte di legge volte a istituzionalizzare la pratica. Presentata come alternativa alle pratiche funebri vigenti, perché risponde a istanze igieniste, diminuisce la densità degli spazi cimiteriali e ridimensiona l’eccesso di pompa funebre, la cremazione è una pratica intorno alla quale le utopie dell’Inghilterra tardo vittoriama costruiscono un fitto dialogo intertestuale, come rivelano The Fixed Period (1882) di Anthony Trollope, The Coming Race (1871) di Edward Bulwer-Lytton ed Erewhon (1872) di Samuel Butler. Non è facile comprendere quali motivazioni spinsero Anthony Trollope a scrivere un romanzo interamente dedicato all’eutanasia e alla cremazione, in cui il progetto che scaturisce dalla tensione utopica del protagonista si configura agli occhi del lettore come una distopia. I dati biografici offrono una chiave di lettura per cogliere la scrittura obliqua che costituisce la cifra stilistica dell’intera opera. Trollope espone un disegno di legge fondato su una concezione di eutanasia assurda e paradossale come il “termine fisso” per mettere in scena una parodia sia del termine di pensionamento stabilito dal governo britannico, sia della nozione di decadimento fisico e mentale associato alla vecchiaia. All’inattività conseguente alla pensione lo sottrasse la longevità straordinaria della sua creatività artistica. Eppure, se le vicende personali chiariscono al lettore come la morte metaforica imposta alla società anglosassone con l’età pensionabile sia traslata in forma parodica nella morte fisica coatta a Britannula, esse non svelano perché anche la cremazione, una pratica funeraria strenuamente sostenuta dall’autore, sia intaccata dalla corrosività della parodia.
The Fixed Period di Anthony Trollope e la pedagogia del ‘giusto’ morire nelle utopie della seconda metà dell’Ottocento inglese
SPINOZZI, Paola
2004
Abstract
Anche nel pensiero utopico irrompe la morte, e quando l’utopista indaga fra gli umani limiti il “dovere morire”, deve comprendere l’invulnerabilità dell’evento mortale. Nel confrontarsi con le istanze filosofiche e religiose, medico-igieniche ed economiche che dall’antichità la morte ha posto alla cultura occidentale, l’età vittoriana segna uno snodo epocale sia nella definizione delle componenti materiali e fenomeniche della morte sia nell’elaborazione di norme, simboli ed ermeneutiche della finitudine. Il processo di industrializzazione e le teorie della sopravvivenza della specie, che caratterizzano il contesto socio-culturale inglese, richiedono una radicale riconfigurazione degli spazi fisici e mentali del vivere e del morire. L’utopista vittoriano deve confrontarsi con la concezione economica della vita e con la retorica del lutto dominanti nell’Inghilterra industriale e capitalistica, e con le strategie di controllo della mortalità acquisite con l’evolversi della scienza e della tecnologia. L’eutanasia e la cremazione sono i modi fondamentali per progettare “come e quando morire”, per interrogarsi su “cosa muore”, stabilendo un dialogo intertestuale con autori coevi e appropriandosi di concezioni antiche. Le definizioni del confine fra eutanasia, omicidio e suicidio, l’indagine sulle finalità, la liceità, le modalità della “buona morte” sono problematiche costitutive del genere utopico, come evidenziano le argomentazioni che Thomas More adduce a favore della morte volontaria del malato terminale in Utopia. Oltre a implicare questioni di ordine pratico legate alla storia del paese dell’utopista, il trattamento da riservare al corpo del defunto è stato un tema costantemente affrontato nelle disquisizioni sulla sopravvivenza dell’anima alla morte del corpo, oppure sulla fine dell’esistenza con il decesso che disgrega la materia e decreta la fine della persona. Per specifiche ragioni storiche la cremazione, che a partire dall’utopia tardo-rinascimentale di Campanella si configura come una costante tematica del genere, diviene un argomento fondamentale di dibattito per l’utopista vittoriano, sollecitato a prendere posizione nei confronti delle proposte di legge volte a istituzionalizzare la pratica. Presentata come alternativa alle pratiche funebri vigenti, perché risponde a istanze igieniste, diminuisce la densità degli spazi cimiteriali e ridimensiona l’eccesso di pompa funebre, la cremazione è una pratica intorno alla quale le utopie dell’Inghilterra tardo vittoriama costruiscono un fitto dialogo intertestuale, come rivelano The Fixed Period (1882) di Anthony Trollope, The Coming Race (1871) di Edward Bulwer-Lytton ed Erewhon (1872) di Samuel Butler. Non è facile comprendere quali motivazioni spinsero Anthony Trollope a scrivere un romanzo interamente dedicato all’eutanasia e alla cremazione, in cui il progetto che scaturisce dalla tensione utopica del protagonista si configura agli occhi del lettore come una distopia. I dati biografici offrono una chiave di lettura per cogliere la scrittura obliqua che costituisce la cifra stilistica dell’intera opera. Trollope espone un disegno di legge fondato su una concezione di eutanasia assurda e paradossale come il “termine fisso” per mettere in scena una parodia sia del termine di pensionamento stabilito dal governo britannico, sia della nozione di decadimento fisico e mentale associato alla vecchiaia. All’inattività conseguente alla pensione lo sottrasse la longevità straordinaria della sua creatività artistica. Eppure, se le vicende personali chiariscono al lettore come la morte metaforica imposta alla società anglosassone con l’età pensionabile sia traslata in forma parodica nella morte fisica coatta a Britannula, esse non svelano perché anche la cremazione, una pratica funeraria strenuamente sostenuta dall’autore, sia intaccata dalla corrosività della parodia.I documenti in SFERA sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.