Gli intellettuali italiani furono tra i più pronti a recepire e ad adattare alle loro esigenze il modello francese dell’Institut, anche perché erano uniti da un’unica lingua. L’adozione delle Costituzioni repubblicane Cispadana (1797), Cisalpina (1797), Ligure (1797), Romana (1798), la creazione della Repubblica Napoletana (1799), basate sulla Costituzione francese dell’anno 3, che prevedeva l’Institut, pose naturalmente la questione della creazione di Istituti Nazionali per le varie repubbliche: questione che venne risolta positivamente. L’esperienza dell’Europa continentale del secolo XVIII aveva mostrato come solo una coerente politica culturale ispirata e sostenuta economicamente dallo Stato, rappresentato da sovrani illuminati, aveva consentito la creazione di accademie all’avanguardia del progresso scientifico: era stato il caso dall’Académie des sciences et belles lettres di Berlino di Federico II, dell’Accademia di San Pietroburgo di Caterina II, e prima dell’Académie des sciences protetta e finanziata dai sovrani francesi. Gli Ideologi, che ispirarono le fondazione dell’Institut, vollero assicurare a questo un’analoga prosperità mettendolo a carico dello Stato e, cosa unica nelle costituzioni moderne, inserendolo direttamente nel testo costituzionale dell’anno 3 (1795). Gli statuti garantivano all’Institut la possibilità dei governi di indicarne gli obiettivi, di chiederne l’intervento per particolari questioni, di stabilirne i finanziamenti, ma l’autorità politica non poteva intervenire sui giudizi e sulle concrete scelte dell’Institut: il parere di questo su questioni fondamentali dell’istruzione e della cultura era stabilito per legge e non eludibile. I membri dell’Institut nelle loro attività di ricerca avevano quindi la garanzia dei finanziamenti ordinari, senza dover dipendere dai capricci dei sovrani, che anche uomini come Eulero avevano dovuto subire ai tempi dell’assolutismo illuminato. Messa in questi termini l’influenza dell’Institut, e in particolare degli scienziati che ne costituivano il gruppo più numeroso, all’inizio insieme con i cultori delle scienze morali e politiche, poteva essere notevole. Con la sua intelligenza e il suo tempismo Bonaparte volle essere membro dell’Institut e questo fu il suo principale riconoscimento pubblico al ritorno della Campagna d’Italia (1797). Primo Console, Bonaparte, mentre continuava a circondarsi di scienziati e di uomini di cultura, nominandone diversi nel Senato conservatore, volle limitare l’influenza politica dell’Institut che si manifestava con l’opposizione di diversi membri al Concordato con la Chiesa Cattolica nel 1801 e alla trasformazione del Consolato in Consolato a vita. Per questo egli volle la soppressione nel 1803 della seconda classe dell’Institut, quella di scienze morali e politiche. In qualche modo sterilizzato quanto all’influenza politica diretta, l’Institut sopravviveva come insieme di Accademie che gli interessi scientifici e culturali diversi spingevano verso una sempre maggiore separazione. Tuttavia nel compromesso tra istanze della Rivoluzione e forme di potere consolidate dalle pratiche degli antichi regimi che caratterizzava, spesso con soluzioni geniali, il governo napoleonico, l’Institut non venne smembrato e Napoleone continuò a fregiarsi della sua appartenenza ad esso, accettando anche nel 1803 la nomina a membro dell’Istituto Nazionale della Repubblica Italiana. In Italia non si arrivò ad una rottura tra Napoleone e gli intellettuali più impegnati in politica, come avvenne in Francia con gli ambienti che erano stati protagonisti dell’uscita dal Terrore. Al contrario molti studiosi, che per primi avevano partecipato ai governi repubblicani, divennero funzionari napoleonici, professori universitari, animatori della vita culturale e sociale. Napoleone non credeva che il liberismo economico, praticato in Inghilterra, potesse da solo garantire le libertà civili: a suo avviso esso portava invece all’egemonia di una minoranza fondata sul denaro. Solo salde strutture amministrative e giuridiche permettevano di realizzare in pratica i principi della Rivoluzione: uguaglianza di fronte alla legge, uguaglianza delle possibilità offerte ai cittadini, libero accesso alle responsabilità in funzione delle competenze. L’Institut, pur non essendo parte della pubblica amministrazione, garantiva con le sue prerogative e il prestigio dei suoi membri la possibilità di una politica culturale ordinata che premiava i meriti, assicurava elevati livelli di qualità nella produzione scientifica e culturale, promuoveva i portatori di nuove competenze. Per questo, nonostante le difficoltà organizzative, derivate in primo luogo dalle tradizioni di decentramento delle attività culturali, il modello dell’Institut nell’Europa napoleonica non venne abbandonato dopo gli iniziali entusiasmi che avevano portato in Italia alla creazione degli Istituti delle Repubbliche del 1798 e 1799. Nel 1802 una delle prime leggi della Repubblica Italiana metteva in attività l’Istituto Nazionale, poi Istituto di scienze lettere e arti del Regno d’Italia (1810). In Olanda Luigi Bonaparte creava l’Istituto Nazionale del Regno d’Olanda (1809); Giuseppe Bonaparte progettava, quasi contemporaneamente, un Istituto per il Regno di Spagna e Girolamo riformava, secondo il modello dell’Institut, la gloriosa Societas di Gottinga

Istituti Nazionali, Accademie e Società scientifiche nell'Europa di Napoleone

PEPE, Luigi
2005

Abstract

Gli intellettuali italiani furono tra i più pronti a recepire e ad adattare alle loro esigenze il modello francese dell’Institut, anche perché erano uniti da un’unica lingua. L’adozione delle Costituzioni repubblicane Cispadana (1797), Cisalpina (1797), Ligure (1797), Romana (1798), la creazione della Repubblica Napoletana (1799), basate sulla Costituzione francese dell’anno 3, che prevedeva l’Institut, pose naturalmente la questione della creazione di Istituti Nazionali per le varie repubbliche: questione che venne risolta positivamente. L’esperienza dell’Europa continentale del secolo XVIII aveva mostrato come solo una coerente politica culturale ispirata e sostenuta economicamente dallo Stato, rappresentato da sovrani illuminati, aveva consentito la creazione di accademie all’avanguardia del progresso scientifico: era stato il caso dall’Académie des sciences et belles lettres di Berlino di Federico II, dell’Accademia di San Pietroburgo di Caterina II, e prima dell’Académie des sciences protetta e finanziata dai sovrani francesi. Gli Ideologi, che ispirarono le fondazione dell’Institut, vollero assicurare a questo un’analoga prosperità mettendolo a carico dello Stato e, cosa unica nelle costituzioni moderne, inserendolo direttamente nel testo costituzionale dell’anno 3 (1795). Gli statuti garantivano all’Institut la possibilità dei governi di indicarne gli obiettivi, di chiederne l’intervento per particolari questioni, di stabilirne i finanziamenti, ma l’autorità politica non poteva intervenire sui giudizi e sulle concrete scelte dell’Institut: il parere di questo su questioni fondamentali dell’istruzione e della cultura era stabilito per legge e non eludibile. I membri dell’Institut nelle loro attività di ricerca avevano quindi la garanzia dei finanziamenti ordinari, senza dover dipendere dai capricci dei sovrani, che anche uomini come Eulero avevano dovuto subire ai tempi dell’assolutismo illuminato. Messa in questi termini l’influenza dell’Institut, e in particolare degli scienziati che ne costituivano il gruppo più numeroso, all’inizio insieme con i cultori delle scienze morali e politiche, poteva essere notevole. Con la sua intelligenza e il suo tempismo Bonaparte volle essere membro dell’Institut e questo fu il suo principale riconoscimento pubblico al ritorno della Campagna d’Italia (1797). Primo Console, Bonaparte, mentre continuava a circondarsi di scienziati e di uomini di cultura, nominandone diversi nel Senato conservatore, volle limitare l’influenza politica dell’Institut che si manifestava con l’opposizione di diversi membri al Concordato con la Chiesa Cattolica nel 1801 e alla trasformazione del Consolato in Consolato a vita. Per questo egli volle la soppressione nel 1803 della seconda classe dell’Institut, quella di scienze morali e politiche. In qualche modo sterilizzato quanto all’influenza politica diretta, l’Institut sopravviveva come insieme di Accademie che gli interessi scientifici e culturali diversi spingevano verso una sempre maggiore separazione. Tuttavia nel compromesso tra istanze della Rivoluzione e forme di potere consolidate dalle pratiche degli antichi regimi che caratterizzava, spesso con soluzioni geniali, il governo napoleonico, l’Institut non venne smembrato e Napoleone continuò a fregiarsi della sua appartenenza ad esso, accettando anche nel 1803 la nomina a membro dell’Istituto Nazionale della Repubblica Italiana. In Italia non si arrivò ad una rottura tra Napoleone e gli intellettuali più impegnati in politica, come avvenne in Francia con gli ambienti che erano stati protagonisti dell’uscita dal Terrore. Al contrario molti studiosi, che per primi avevano partecipato ai governi repubblicani, divennero funzionari napoleonici, professori universitari, animatori della vita culturale e sociale. Napoleone non credeva che il liberismo economico, praticato in Inghilterra, potesse da solo garantire le libertà civili: a suo avviso esso portava invece all’egemonia di una minoranza fondata sul denaro. Solo salde strutture amministrative e giuridiche permettevano di realizzare in pratica i principi della Rivoluzione: uguaglianza di fronte alla legge, uguaglianza delle possibilità offerte ai cittadini, libero accesso alle responsabilità in funzione delle competenze. L’Institut, pur non essendo parte della pubblica amministrazione, garantiva con le sue prerogative e il prestigio dei suoi membri la possibilità di una politica culturale ordinata che premiava i meriti, assicurava elevati livelli di qualità nella produzione scientifica e culturale, promuoveva i portatori di nuove competenze. Per questo, nonostante le difficoltà organizzative, derivate in primo luogo dalle tradizioni di decentramento delle attività culturali, il modello dell’Institut nell’Europa napoleonica non venne abbandonato dopo gli iniziali entusiasmi che avevano portato in Italia alla creazione degli Istituti delle Repubbliche del 1798 e 1799. Nel 1802 una delle prime leggi della Repubblica Italiana metteva in attività l’Istituto Nazionale, poi Istituto di scienze lettere e arti del Regno d’Italia (1810). In Olanda Luigi Bonaparte creava l’Istituto Nazionale del Regno d’Olanda (1809); Giuseppe Bonaparte progettava, quasi contemporaneamente, un Istituto per il Regno di Spagna e Girolamo riformava, secondo il modello dell’Institut, la gloriosa Societas di Gottinga
2005
9788822254771
ISTITUTI NAZIONALI; ACCADEMIE; NAPOLEONE; ITALIA; EUROPA
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